12/11/1982 - Adunanza SG Bosco Storia della Chiesa Il monastero di Cluny

Sant’Ilario d’Enza 12/11/1982
Adunanza

La società di allora era inquieta, in mezzo a sconvolgimenti. A Roma il papato era in balia delle fazioni del partito tedesco e del partito avverso. Addirittura è passata alla storia Marozia, una donna che per vari anni comandava a Roma su tutti, anche sul Papa: farsi comandare da una donna era veramente il minimo a cui si potesse arrivare. E’ stato un tempo di sconvolgimenti, d’inquietudini, di ansie, però abbiamo anche delle grandi figure di santi. Anche in quell’epoca lo Spirito Santo non è mancato: la Chiesa ha trovato nei santi la forza per continuare la sua missione. I santi sono sempre il segno di Dio, i santi hanno come una forte luce che fa vedere nella loro vita Cristo. Il santo è tale perché di più s’assomiglia a Cristo. Come dobbiamo amare i santi! E come nella storia ci dobbiamo fermare sui santi, perché sono loro che hanno potuto far camminare la civiltà, i tempi, la virtù. I santi. Dicevo che allora la vita religiosa aveva come centri di preferenza i conventi, i monasteri. In questa epoca abbiamo la fondazione di alcuni monasteri che diventeranno famosi: in Francia abbiamo l’abbazia di Cluny, che dominerà la vita della Francia e non solo per tantissimi anni. Venne fondata in un luogo deserto e ben presto fiorì, come per incanto, dall’attività illuminata e fervida dei monaci. Cluny divenne centro di cultura, centro d’arte, centro di musica. Questo monastero resterà come faro in una notte di nebbia: si vedeva là, si sentiva là cosa voleva dire essere cristiani. Era un onore diventare monaco di Cluny. Era un monastero enorme. Una delle caratteristiche di Cluny fu che i monasteri, fondati per opera dei suoi monaci, restavano federati a Cluny. Nel tempo del massimo splendore (pensate alla popolazione e alle condizioni di allora) vi erano duemila monasteri federati a Cluny: diventare abbate di Cluny voleva dire diventare potentissimo come influenza nella società, potentissimo come indirizzo ecclesiale. E’ stato proprio a Cluny a fare, il giorno dopo dei santi, la commemorazione dei defunti: il giorno dei morti è nato allora a Cluny. Questo raccogliersi, questo pregare, questo condurre la vita lavorando e servendo i poveri in un tempo di violenze, di tragedie, un tempo in cui nessuno voleva lavorare perché tutti volevano lavorare con la spada, mestiere che piaceva molto (non lavorare e poi andare a prendere la roba dove c’era): l’esempio di questi monasteri è mirabile. In Italia avevamo Montecassino, Subiaco. A Cluny c’era una regola anche più stretta di quelle di Montecassino e Subiaco; silenzio quasi sempre, non parlavano quasi mai, preghiera molto prolungata, i monaci avevano un orario ben preciso per la notte e per il giorno: di notte pregavano due ore, alzarsi a pregare da mezzanotte alle due e poi tornare a letto costituiva una penitenza non indifferente. Furono proprio dei campi seminati da Dio. In Italia in questo periodo abbiamo S. Romualdo. S. Romualdo era andato nei monaci benedettini, era andato a Montecassino e siccome era molto fervente e molto rigido (sapete che quelli che sono rigidi prendono o dei chiusi, o dei matti, o dei fanatici) prese la sua parte dagli altri monaci meno fervorosi e più dediti alle cose mondane che quindi non lo potevano sopportare. Allora lui, con tanta carità, li salutò tutti e se ne andò. Se ne andò e trovò un posto molto solitario che era chiamato “campus maldoli”, che sarà abbreviato in Camaldoli, nell’alta valle dell’Arno. E lì fondò con i suoi amici l’ordine dei camaldolesi, che ci sono ancora, dove era accentuata la vita eremitica. Ogni monaco viveva da solo, pur vivendo insieme: aveva la sua stanza solo per lui. A Cluny era accentuata la convivenza, dormivano insieme in grandi stanzoni (quindi era accentuata la penitenza, perché dormire insieme, l’esempio degli esercizi spirituali lo dice…ci sono sempre delle vittime tra quelli che hanno il sonno leggero), mentre a Camaldoli ognuno ha la sua stanza e ognuno vive la sua vita: pregare si prega insieme, tutta l’ufficiatura, e basta. Nella regola primitiva non si parlava mai, c’era qualche eccezione il pomeriggio di Pasqua, nel quale scambiavano qualche frase. Vita di silenzio, di umiltà, di preghiera. Solo quando c’erano calamità, cioè che il prossimo aveva bisogno di loro erano i primi a muoversi: soccorso degli indigenti, degli appestati, ecc. Famosa è la loro farmacia, lo loro medicine a base di erbe. Si resta commossi nel vedere come sapessero comporsi in molto equilibrio, molto equilibrio, cioè quando si richiedeva la solitudine rimanevano in solitudine, quando la carità richiedeva un intervento erano i primi, dimostrando bene che non per egoismo si ritiravano nella solitudine, ma per poter ottenere da Dio bene e grazie per tutti il popolo. Offrivano così la loro vita in olocausto. S. Romualdo è ancora molto venerato: nonostante una vita così morì nel 1012 più che centenario. In fondo cosa c’insegnano questi monaci? Ci insegnano proprio a comporre la nostra vita tra quella che è l’attività e quella che è la preghiera. Perché troppo spesso siamo portati a quella che è chiamata “l’eresia dell’azione”, cioè il dare tanto spazio e tanto tempo all’azione, alle occupazioni, ai problemi del lavoro, dell’esistenza e dare un tempo molto scarso al Signore, infiacchendo così le nostre energie fino a perdere di vista le cose più importanti. Vorrei che ci pensassimo bene a questa cosa, perché quando si fanno gli esercizi spirituali si fa un programma e nel programma c’è un orario, l’orario della propria giornata. Abbiamo sempre paura di dormire poco: certo, una certa qualità di sonno ci vuole soprattutto per chi è giovane, ma non bisogna esagerare. Abbiamo paura di dormire poco, ci preoccupiamo di tante sciocchezze e preghiamo troppo poco. Uno di voi, tra tante occupazioni, quanto tempo dovrebbe pregare sul serio una giornata, come norma? Se uno di voi partecipa all’Eucarestia, certamente non dovrebbe fare meno di due ore. Questi monaci che pregavano tanto sono stati gli evangelizzatori. Infatti in quel tempo si è intensificata l’evangelizzazione: sono diventati cristiani i boemi per opera di S. Venceslao, i polacchi per opera di evangelizzatori venuti soprattutto dalla Germania e c’è alla base la duchessa che, cristiana, riesce a trarre alla vera fede il marito Miceslao; in quel tempo vengono evangelizzati anche i magiari, gli ungheresi, per opera soprattutto del loro re, S. Stefano, poi i bulgari da missionari venuti dall’Oriente. Tutte le popolazioni dei Balcani, allora pagane, vengono evangelizzate per opera soprattutto di anime che prima rimangono nel chiostro, prima restano lungo tempo a contemplare le cose divine e poi danno agli altri le cose che si sono contemplate. Ed è una cosa soavissima pensare come proprio dalla preghiera nascono tutte le opere buone, perché non nascono dalla nostra frenesia, meno ancora dal nostro orgoglio, dal nostro desiderio di gloria: nascono dalla preghiera prolungata, dalla contemplazione di Cristo, dall’assimilazione a Cristo. E’ appunto attorno a questo tempo, per tanta parte oscuro, che la maggior parte delle popolazioni dell’Europa vengono condotte al cristianesimo, soprattutto dell’Europa orientale. Sarà in questo tempo che la Russia riceverà il Vangelo. Perché si insiste sulla preghiera? Perché un’anima di preghiera fa, illuminata dallo Spirito Santo, in poco tempo ciò che un peccatore fa in un lunghissimo tempo e l’efficacia, poi, non è paragonabile. Bisogna avere molta stima: se adoperiamo venti minuti, mezz’ora per fare meditazione non è tempo perduto, ma è un tempo che ci dà le energie da fare tutto e da fare bene. Molti di questi monaci restarono poi martiri, perché capitavano in popolazioni barbare, fanatiche della loro religione primitiva: tante volte perciò hanno dato suprema testimonianza di amore al Signore. Noi dobbiamo ammirare e capire che se le nostre opere non danno quello che potrebbero dare è per la nostra scarsa vita interiore. Alla base del nostro apostolato e dell’efficacia della nostra testimonianza c’è sempre questa esigenza: la vita interiore. Perché allora diventiamo proprio causa strumentale della grazia di Dio. L’evangelizzatore dovrebbe essere un calice che trabocca: il suo apostolato è quello che va di sopra, allora rende! Quanti mezzi ci sono nella Chiesa, quante prediche, quante letture dei libri santi, quante liturgie: perché portano così poco frutto? Per la nostra scarsa virtù. Quando io mi paragono al curato d’Ars mi affloscio come un palloncino da fiera bucato, perché il santo curato d’Ars bastava che dicesse “è là, è la nel tabernacolo” e tutti a piangere, tutti fervorosi, tutti santi. Ma io faccio tante prediche, centinaia di prediche, ma vedete l’effetto che ottengo: quando vi dico di pregare per la mia conversione ho ragione. Anche per voi è così: quando un delegato parla dovrebbe sprizzare la sua spiritualità in maniera che basta una sua esortazione. E’ vero, è vero, è vero: abbiamo bisogno di vita interiore, abbiamo bisogno di spiritualità, abbiamo bisogno cioè di preghiera. Ecco perché dobbiamo insistere tanto sulla preghiera, ma tanto! Vi ricordate l’episodio dei due frati, un fatto storico. C’erano due frati che andavano a predicare: uno faceva il predicatore, l’altro era un frate laico, cioè non sapeva neanche parlare e andava dietro all’altro per servirlo, per aiutarlo nelle sue cose. E questo predicatore riscuoteva un successo incredibile: le chiese non bastavano e doveva predicare nelle piazze. Si era così gonfiato discretamente, senza accorgersene, perché se se ne fosse accorto non si sarebbe gonfiato, nella persuasione di essere un uomo che convertiva, perché si convertiva molta gente. Il Signore ha avuto compassione di lui e gli ha mandato una visione che gli ha detto: “Sai chi fa tutte quelle conversioni? Non sei tu, ma quell’altro frate, quello che quando tu predichi sta là col rosario in mano, che sembra che valga niente: è lui che con la sua umiltà, con la sua preghiera e il suo sacrificio ottiene tutto questo bene. Tu no: convertiti perché hai bisogno di convertirti!” Capite? Quello che salva è la vita interiore, cioè la nostra reale comunione col Cristo, la nostra partecipazione al Cristo. Quindi un bravo delegato, un bravo dirigente sportivo, ecc. devono capire che fanno del bene reale se hanno molta vita interiore, molto fervore, molto amore di Dio, molta unione col Cristo eucaristico: solo così, il resto non conta niente. Certo, il resto lo dobbiamo fare perché il Signore si serve anche di quello, ma non è quello che interessa: interessa il di dentro. “Se avrete tanta fede come un granello di senapa”: ecco la comunione con Cristo, la partecipazione alla sua virtù, altrimenti non si diventa cause, ma se si fa un po’ di bene si diventa solo occasione. Capite la differenza tra cause e occasione: in occasione della tua attività Dio manda una grazia, perché è misericordioso; la causa: tu hai tanta vita interiore da generare nel bene. C’è il vecchio principio: uno che mette al mondo, che genera, mette al mondo uno simile a se’. La stessa cosa in dialetto si dice con la frase “un pero non fa una mela”. I figli sono della stessa costituzione del padre e se un apostolo è pieno di fumo genera fumo, se è pieno di boria genera boria: è un principio molto vero.

CODICE 82MBA103
LUOGO E DATA Sant’Ilario d’Enza 12/11/1982
OCCASIONE Adunanza
DESTINATARIO Gruppo S. Giovanni Bosco
ORIGINE Registrazione
ARGOMENTI Storia della Chiesa IX e X secolo Monastero di Cluny, Camaldoli
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