09/03/1984 - Adunanza SG Bosco Storia della Chiesa La fede nel Medioevo

Sant’Ilario d’Enza 09/03/1984
Adunanza

Il Medioevo lo intendiamo così, come un periodo in cui dominano i motivi di fede, sia nell’individuo che nella società, il centralizzare di quella vita di fede per cui tutti i valori vengono visti, amati, seguiti. Non che il Medioevo fosse una società di perfetti e di santi, ma un periodo in cui si riconosceva il prevalere, si riconosceva che Dio doveva essere il centro. Sono molte le cause che portano a un decadimento pratico, perché sempre, sempre, torna un principio che noi dobbiamo verificare in tanti momenti: bisogna vivere come si pensa, altrimenti si finisce per pensare come si vive. Quando pur ammettendo dei principi si cade in contraddizione con la vita, ecco che avviene un cedimento sotterraneo, una frana, per cui un po’ alla volta gli stessi principi che erano prima non discussi, che erano sicurissimi, cominciano a scolorirsi, cominciano a diventare meno urgenti e un po’ alla volta, un po’ alla volta si finisce col cedere. Così avviene nel Medioevo: troppi fattori portano a un vivere come non si doveva vivere. Le guerre intestine, le fazioni portavano a un rinnegare quello che è il caposaldo del cristianesimo: la carità. Per cui si venivano, in pratica, a buttare via le pagine più sostanziali del Vangelo. I costumi si corrompevano e la corruzione non risparmiava il clero, i religiosi, settori delicatissimi. Quando Lutero dirà che la Chiesa è corrotta esagerava ed era polemico, però, in realtà, erano avvenute molte corruzioni, molte cose brutte. Non si può cedere; il cedere rappresenta un pericolo per l’integrità della fede mia e tua, perché il mio cattivo esempio ti porta a un contagio che diventa quanto mai pericoloso. Questo ci porta alla considerazione del nostro tempo di adesso, di come è quel che si chiama la società cristiana, di quelli che sono i cristiani. Noi abbiamo anche adesso un’altissima percentuale di battezzati, la stragrande maggioranza sono nominalmente cristiani, ma in realtà, lo abbiamo visto, i cristiani sono la stragrande maggioranza e prendono decisioni in antitesi totale col cristianesimo: divorzio, aborto, ecc. Il momento è perciò drammatico e non sempre abbiamo la sensazione di questa posizione, perché vivendoci in mezzo ci abituiamo. Quale linea prendere? Cioè, i cristiani più responsabili, più fervorosi che atteggiamento devono tenere? Il clero che atteggiamento deve tenere? Ci sono di quelli che chiamiamo conciliatoristi, cioè quelli che vogliono tenere le porte aperte a tutti e chiamare tutti cristiani. Dicono: non verranno a Messa, ma non li dobbiamo escludere. Quando Pio XII fece il famoso decreto di scomunica ai comunisti, dicono che è stato un errore, un errore che ha chiuso a tanti cristiani l’accesso alla Chiesa, ai sacramenti e che vedendolo alla luce del Concilio Vaticano II è stato un errore (questa linea non è la mia). Leggevo qualche tempo fa in una rivista per il clero che uno diceva proprio così. Ci sono questi che dicono: abbracciamoci, anche se uno è comunista, anche se uno ha una linea politica diversa dalla nostra. Altri dicono che il Vaticano II ha fatto un’apertura così grande al dialogo e Paolo VI, che ha scritto un’enciclica sul dialogo, però non ha inteso rinnegare questo principio di chiarezza, cioè che è meglio tenere un contegno rigido, piuttosto rigido, per cui i principi sono principi. I primi non solo sono aperturisti in fatto d’idee, ma certamente anche in costumi. L’altro giorno sull’Avvenire c’era un articolo su un prete che non ha sposato una coppia perché la sposa si è presentata con un vestito molto scollato e trasparente e questo rifiuto ha fatto molto scalpore; l’Avvenire, nell’articolo del suo direttore, dice che poi la scollatura non era poi così pronunciata e che il prete ha esagerato e che, in fondo, è bene che ci aggiorniamo; una volta la sposa era estromessa quando c’era qualche centimetro di pelle scoperta, ma adesso la pelle scoperta si misura a metri quadrati e quindi bisogna adattarsi. Così dice l’Avvenire. Se andiamo sulle spiagge la gente è scoperta a metri quadri e se la sposa viene in chiesa scollata… Così poi per il problema della pastorale dei divorziati, visto che i divorziati si moltiplicano: li escludiamo o abbiamo comprensione? Uno dice: se uno è divorziato lo lasciamo tutta la vita senza sacramenti. L’altro dice: ma no, sono cristiani anche loro. Vi leggo una disposizione fatta avere dal vescovo di Reggio ai parroci: “In chiesa le donne abbiano il capo coperto, portino vesti modestamente accollate e lunghe assai al di sotto delle ginocchia. Abbiano le braccia coperte fino al polso e la calzatura completa. Non usino abiti che coprano soltanto in apparenza con tessuto trasparente. Tali disposizioni valgono anche per le giovani e le adolescenti. I bambini giovinetti portino calzoncini che scendono fino al ginocchio. Le bambine giovinette portino il vestito lungo almeno fino al ginocchio. Gli uni e le altre non siano con le braccia scoperte. Si nota che da qualche tempo e durante l’estate gli uomini e i giovani usano presentarsi in chiesa coprendo il torso con solo la maglietta sportiva senza maniche e notevolmente scollata. Invitiamo che una tale foggia di vestire non deve aversi nelle chiese: sarebbe una sconveniente profanazione. Ai molti reverendi parroci e rettori di chiese facciamo precetto, onerata la coscienza, come appresso. Richiamino essi anche ripetutamente, secondo il bisogno, l’attenzione dei fedeli su queste disposizioni. A chi le trasgredisce neghino i sacramenti e avvisino che le donne, se non si conformeranno alle disposizioni date, non saranno ammesse come madrine al Battesimo e alla Cresima. Non si ammettono inoltre ai sacramenti della Confessione e Comunione donne e fanciulle con facce e labbra vistosamente tinte, anche se quanto al resto esse siano in regola con le disposizioni dette. Avvertano poi pubblicamente che coloro i quali non intendessero osservare queste norme si astengano dall’entrare in chiesa, giacché è meno male stare lontano dalla casa di Dio che profanarla portandovi lo scandalo dell’immodestia e della disobbedienza all’autorità della Chiesa. Finalmente non deve lasciarsi senza una grave parola di condanna la licenziosità di quelle donne e giovani che andando in bicicletta ostentano con incredibile audacia nudità contrarie alla vergogna cristiana. Il peccato d’immodestia e di scandalo che esse così facendo commettono è di per se’ grave e in Confessione non possono essere assolte se non diano seria ed efficace prova di ravvedimento. Reggio Emilia, 4 Aprile 1943 Edoardo vescovo”

… la prima spada significa il potere spirituale e la seconda spada il potere temporale: chi deve governare? Lo spirito o la materia? Lo spirito: quindi la Chiesa ha autorità nel campo temporale. In fondo non diceva niente di nuovo, ma sul momento suscitò molta tensione. soprattutto si fece acuta la lotta con Filippo il bello, il quale era un re molto devoto, che tutti i giorni ascoltava la Messa, ma che era molto orgoglioso e gli diede molto fastidio questa asserzione del Papa Bonifacio VIII. Poi ne vennero dei contrasti per benefici in Francia con l’ambasciatore del Papa. Lo scontro crebbe e si arrivò all’invasione dell’Italia: i francesi presero prigioniero il Papa, incendiarono una parte del duomo dov’era il Papa e lo presero. Si dice che Colonna, alleato dei francesi, diede il famoso schiaffo al Papa. Costrinsero il Papa a dare le dimissioni e a dichiarare davanti al Concilio tutte le sue colpe. Il Papa fu liberato dal popolo che insorse: da lì le scomuniche e tutto il resto che funestarono il resto del suo pontificato.

Il problema, quindi, che allora era assoluto era questo distacco dai beni terreni, che pone anche per noi una posizione di molta meditazione. Abbiamo già parlato dello spirito di povertà, dello spirito di distacco e so che ne avete parlato negli incontri comunitari e il discorso si è in varie maniere articolato. Indubbiamente vedo in questa posizione, la posizione del distacco, uno dei segreti della nostra testimonianza, della fruttuosità del nostro agire. Il fatto più difficile si dimostra questo, il più difficile. Infatti che cosa domanda da noi? Domanda una stima molto grande dei beni spirituali, una stima molto grande che non è possibile se non che con una grande fede. Se non abbiamo una fede massiccia, noi non tocchiamo il soprannaturale; il soprannaturale lo si tocca con la fede. Noi siamo in mezzo a cose materiali, respiriamo di cose materiali, ci preoccupiamo sotto l’assillo di cose materiali, siamo così fatti di carne e di ossa, le questioni della famiglia si fanno sentire: se non abbiamo una grande fede, soccombiamo. La fede è un vedere l’invisibile, la fede è la stessa visione delle cose che ha Dio. Bisogna avere questa fede a tutti i costi, altrimenti il discorso diventa ipocrita e l’amore delle cose terrene, la cupidigia delle cose terrene prende delle forme diverse, delle forme subdole, ma che condizionano. In questo tempo del Medioevo erano passati ottant’anni da S. Francesco d’Assisi e abbiamo visto la funzione degli ordini mendicanti, ma in gran parte dei vertici s’era perso l’amore per la povertà. Casomai i pretesti erano i beni della Chiesa, i poveri, ecc.: tutto serviva per essere ricchi. “Devo fare l’elemosina, dunque devo avere della roba.” Tutto serviva per questo. Anche in seguito è così. Ci sono molti pretesti per non essere poveri, perché essere poveri, amare la povertà è possibile solo amando molto Gesù Cristo veramente. Se uno è mediocre scende a patti, scende a patti. Bisogna essere santi della santità della fede ed esercitarla con una inesorabile decisione. Tendere ai beni celesti richiede una forte forma d’esercizio che può diventare, in certi momenti, anche eroica. Vorrei che il discorso seguitasse nel contesto dei vostri incontri, vorrei però che scendeste possibilmente a un discorso non solo forte di fede, ma concreto nella fede, fino in fondo. La Chiesa è nata dalla povertà di Gesù. Gesù è stato il vero povero. Lui stesso lo ha sottolineato, Lui stesso lo ha detto: quando quel giovane gli ha chiesto: “posso diventare tuo discepolo?”, Lui ha detto: “gli uccelli del cielo hanno il nido, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo.”. Al giovane ricco la raccomandazione è stata sulla povertà. Quindi noi dobbiamo fare un discorso che onora la Chiesa, che porta alla Chiesa tanta grazia d’ossigeno con la povertà. Nella Chiesa di adesso abbiamo esempi robusti di povertà e di servizio: dobbiamo sentire che la Chiesa ha bisogno della schietta nostra testimonianza e ne abbiamo bisogno anche noi di noi stessi. Bisogna impostare la vita in un modo concreto, radicale e deciso. Allora la Chiesa subì delle situazioni tremende, quando tutti credevano, tutti, tutti, tutti si dicevano cristiani, principi, governatori, che ascoltavano Messa tutti i giorni e facevano forme esteriori di pietà, ma erano avidi, avidi. Filippo il Bello era orgoglioso, ma anche avaro. Il discorso non può essere un discorso tenuto nel vago, perché se teniamo il discorso nel vago finiamo per non concludere niente.

CODICE 84C8A103
LUOGO E DATA Sant’Ilario d’Enza 09/03/1984
OCCASIONE Adunanza
DESTINATARIO Gruppo S. Giovanni Bosco
ORIGINE Registrazione
ARGOMENTI Storia della Chiesa XIV secolo L’importanza della fede nel Medioevo La fede base dello spirito di povertà
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