03/12/1982 - Adunanza SG Bosco Storia della Chiesa La lotta per le investiture

Sant’Ilario d’Enza 03/12/1982
Adunanza

Nella Roma imperiale l’imperatore faceva e disfaceva a suo piacimento: a lui non ci si poteva opporre. Presso i romani l’imperatore era anche il “summus pontifex”, il pontefice. Addirittura, durante l’Impero assistevamo che venivano attribuiti all’imperatore degli onori divini e dopo che moriva un imperatore gli si facevano i templi a nome dell’imperatore. Il cristianesimo è perseguitato proprio per questo: perseguitato perché non accetta l’autorità civile a guida della coscienza; i martiri all’Ingiunzione “tu devi tenere questa religione perché l’ha ordinato l’imperatore”, rispondevano ciò che rispondevano gli apostoli davanti al sinedrio: “E’ meglio ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini” e non ubbidivano. In fondo dicevano: che c’entra l’imperatore con la mia coscienza, che c’entra l’imperatore con la religione, comandi altre cose ma queste no. Era inammissibile invece che uno si sottraesse all’imperatore in qualunque sfera: si doveva ubbidire dappertutto: quindi l’imperatore voleva che si onorasse quella statua e bisognava farlo, domani diceva di no e non bisognava più farlo. Qui non è più questione d’idolatria, però l’imperatore, i duchi, i marchesi, i grandi e i piccoli feudatari vogliono entrare nel sacro e vogliono perciò conferire le potestà sacre. Voi sapete perché si chiama Investitura: perché quando uno era nominato a un ufficio c’era l’atto con il quale si immetteva nel possesso: per esempio se volevano dare il possesso di un campo usavano dare una zolla di terra per dire che i beneficiari venivano investiti del possesso di quel campo, oppure davano uno scettro, oppure davano una spada. Questa era l’Investitura. I vescovi erano investiti mediante la consegna dell’anello e del pastorale. Siccome, i vescovi, gli abbati non avevano solo un ufficio sacro, ma erano feudatari, avevano il governo di città, il possesso di vasti possedimenti, allora l’imperatore, o il feudatario, era molto geloso che quel posto andasse a degli amici, a dei fidati. Davano quindi l’investitura a un loro parente, ad amici, ad altri che avevano con loro particolari relazioni: non importava che condotta avessero. Sicché è il periodo in cui abbiamo dei vescovi che non sanno dire Messa. Molti vescovi dell’epoca dicevano Messa una volta l’anno e siccome non sapevano, a volte, neanche leggere c’era il cerimoniere vicino che suggeriva le parole e i gesti. Molto spesso era gente scostumata: quindi abbiamo l’epoca dei vescovi e dei preti concubinari, affaristi, perché poi il feudatario o l’imperatore erano sempre assetati di soldi e sempre il soldo era la grande fame che avevano e quindi non solo investivano amici, ma a quelli che pagavano meglio: banditi, soldatacci conquistavano così il feudo per sfruttare la gente e poterne trarre il maggior tornaconto economico. Quindi abbiamo un momento tristissimo della gerarchia della Chiesa. Come ha reagito la Chiesa? È chiaro che protestavano, protestavano, ma non ottenevano niente: se protestavano un po’ più velocemente le prendevano e finiva così. Come ha reagito la Chiesa? La Chiesa ha reagito con i suoi santi, con i suoi monaci e con i suoi pontefici. Con i suoi santi: sorge in quest’epoca una grandissima figura d’asceta e di santi, S. Pier Damiani. Fu allevato da Pietro di Damiano, visto che era stato abbandonato da sua madre, stanca d’aver dei figli, visto che ne aveva tanti e viveva in miseria; divenne cardinale di santa romana Chiesa, uno dei personaggi più forti nell’ascetica, nell’eloquenza, nell’opera per migliorare ed educare la Chiesa. Abbiamo i suoi scritti che sono veramente mirabili e la sua opera si estese un po’ a tutta la Chiesa. Era un romagnolo, di Ravenna, e cominciò con l’essere monaco in solitudine e poi, come gli autentici monaci, non si fermò alla solitudine ma scese per aiutare la Chiesa che soffre. E dietro lui altre grande istituzioni monastiche: Cluny, Camaldoli e monasteri qua e là che richiamavano al dovere e alla vera austerità che si richiede nella Chiesa. Poi sorsero anche dei laici e furono famosi i patarini, sorti a Milano e sparsi un po’ dappertutto: era una consorteria di laici che insorgeva contro il clero corrotto. Se c’era un prete corrotto che diceva Messa, andavano in Chiesa, lo pigliavano per gli stracci e lo tiravano fuori e lo mandavano a farsi benedire in un convento. I patarini fecero delle azioni molto energiche, molto utili. E’ un’azione del laicato sano, che ce l’aveva allora con i preti simoniaci e con i preti concubinari, i preti trafficanti e i preti scostumati. Soprattutto la Chiesa vince per opera di un monaco, che, insigne per santità, aveva anche un ingegno così forte e così vasto che raramente si incontra una persona così in un secolo: Ildebrando di Soano. Si mise al fianco dei pontefici e cominciò a spingerli alle riforme; si mise a fianco di Leone IX, un tedesco eletto dall’imperatore: lo consigliò a non accettare finché non fosse stato eletto canonicamente a Roma; poi gli fece emanare un decreto contro i preti concubinari e simoniaci. Poi fu vicino ad Alessandro II. Quando nel 1073 fu eletto Papa, lui prese in mano le redini con un’energia e una forza di Spirito Santo mirabili. E radunò un Sinodo e fece un decreto per cui tutti coloro che accettavano un’investitura malamente erano scomunicati ed erano scomunicati anche coloro che investivano in questa maniera sbagliata, quindi anche l’autorità civile. Fu un finimondo , perché la maggior parte della gente che comandava era interessata al decreto: fu un’esplosione. Era allora imperatore e re di Germania Enrico IV. Enrico IV reagisce perché si crede defraudato di quelli che sono i suoi diritti inviolabili, mentre era solo ripristinato il bene della Chiesa. Riunisce un concilio a Worms e in questo concilio i vescovi pedissequi di Enrico IV depongono Ildebrando, il falso monaco, accusandoli di simonia (proprio lui!) e di magia (era un mago, sì, ma un mago dello spirito!). Allora il Papa, siamo nel 1076, pronuncia con solennità il decreto: Enrico imperatore è scomunicato, è deposto da imperatore e nessun cristiano gli può più obbedire. La forza morale di questo monaco pontefice era incredibile. Fu come un fulmine. Indissero la riunione del parlamento ad Augusta e dissero che secondo le leggi saliche se entro un anno non otteneva l’annullamento della scomunica Enrico era da considerarsi non più degno d’essere riammesso al regno e all’impero. Intanto i Sassoni preparano una guerra e Enrico vede che se non ottiene la risoluzione della scomunica certo non la può vincere. Allora, abbandonato da tanti dei suoi, tenta il colpo di testa: nell’inverno del 1077 passa le Alpi in mezzo alle bufere di neve, accompagnato da pochi suoi servitori. Nel frattempo Ildebrando, che aveva preso il nome di Papa Gregorio VII, si avviava per andare al parlamento di Augusta quando sente che Enrico IV è arrivato in Italia. Allora accetta l’invito della contessa Matilde, accetta la sua ospitalità a Canossa. Passano il Po a Brescello, vengono su passando per Sant’Ilario e arrivano a Canossa. Lì, nel cuore dell’inverno, arriva anche Enrico IV che chiede la risoluzione della scomunica. Il Papa non si fida, il Papa sa che soggetto è e non si fida, ma il Papa è pressato: la contessa Matilde lo prega in lacrime, lo prega l’abbate Ugo di Cluny, una grande autorità del tempo, e il Papa cede. Dopo che Enrico IV sta per tre giorni, tra il secondo e il terzo giro delle mura di Canossa in abito da pellegrino, al freddo, finalmente è ricevuto dal Papa e dice il suo “confesso” a Dio, dice la sua colpa e domanda l’assoluzione. Allora Papa Gregorio lo assolve e lo chiama all’Eucarestia. Enrico IV accetta quello che il Papa aveva decretato. Ma aveva ragione Gregorio, perché quando si sa che è stato assolto dalla scomunica Enrico IV, i principi tedeschi non ci rimangono bene che abbia avuto una scomunica così a pane e formaggio. Enrico si trova baldanzoso e comincia subito a tramare e addirittura cerca di muovere guerra: il Papa deve tornare precipitosamente al sud e le cose si trascinano fino al 1080, quando poi Gregorio deve ripetere la scomunica. Ma questa volta la deve ripetere in condizioni svantaggiose: l’opinione pubblica si è già fatta l’idea che non è quello il mezzo, perché se fosse stato quello il mezzo, Enrico non avrebbe ottenuto il perdono così facilmente. Enrico, pur in mezzo ad alterne vicende (adesso non ci fermiamo perché non è nostro compito fare della storia e né della cronaca), mette l’assedio a Roma per mettere le mani sul Papa. L’assedio si trascina, Roma è espugnata, il papa si rifugia a Castel S. Angelo e chiama in aiuto i Normanni, allora nell’Italia meridionale. Vengono i Normanni, librano il Papa e lo portano con loro a Salerno. Lì a Salerno nel 1085 il Papa muore, consumato dalla sua intensissima attività e dai dolori che ha avuto. Però aveva posto il punto forte che resisterà. E’ una magnifica figura di santo, di pontefice, di legislatore; è una delle figure più care e più soavi, sempre indigesto ai laicisti perché solo la raffigurazione fantastica di un imperatore in ginocchio, vestito di abiti penitenti, davanti a un prete dà loro ai nervi, ma è una magnifica figura che non cercava né gloria terrena, né potere terreno, né ricchezza terrena, che viveva di un austerità enorme, ma cercava solo la gloria di Dio e il bene della Chiesa. S. Gregorio VII resterà nei secoli come il corifeo di tutti coloro che vogliono che lo stato non entri nelle cose sacre e non voglia usarle per il suo interesse. Un vescovo dev’essere un vescovo, un abbate dev’essere un abbate. Papa Vittore dirà: “Pigliatevi tutti i nostri beni, non mi interessano”, altro che tutti quelli che li avevano non avevano la generosità che aveva lui. L’accordo formale con l’impero avverrà solo nel 1122 (la lotta delle investiture è durata dunque cinquant’anni circa) col concordato di Worms: l’impero ufficialmente riconosceva i diritti della Chiesa e quindi rinunciava primato nell’investitura, che si farà prima dal superiore ecclesiastico e poi da quello civile. Il diritto della nomina spetta alla Chiesa: quello che la Chiesa vuole sarà vescovo e poi, se l’imperatore vuole, sarà investito del feudo, ma dopo. Ildebrando passerà così alla storia come una delle figure più forti, adamantine, energiche. Sappiamo bene che nel nostro mondo c’è una colossale oppressione delle libertà ecclesiastiche, delle libertà anche di religione: tutto l’Est Europeo, tutti i paesi a regime comunista o socialcomunista esercitano un’oppressione e una persecuzione senza nome; se andiamo alla Cina vediamo cos’è stato della Chiesa: sono state troncate tutte le relazioni con Roma ed è stata fatta una chiesa patriottica. Chiesa cinese, chiesa bulgara, chiesa russa, chiesa rumena: no, Chiesa universale! Quindi non solo siamo tornati alle investiture, ma molto peggio: c’è un regime ateo che pretende di nominare i vescovi, che pretende di dire quando si deve fare il catechismo, quante ore si possano fare di catechismo, dove si deve fare, che cosa si deve dire. In Albania uccidono uno se si fa battezzare, lo uccidono subito. All’Est qualsiasi prete che fuori dalla chiesa tenga una qualsiasi riunione o una preghiera è arrestato: non c’è più libertà. Quindi abbiamo poco da scandalizzarci del Medioevo: ora è molto peggio. C’è in questo regime più di due miliardi di persone che sono senza la vera ed effettiva libertà religiosa. Quando si parla con un comunista questi sottilizza tra la libertà del culto e la libertà di propaganda: la libertà di culto vuol dire che nelle chiese si può dire Messa, ma non c’è libertà di poter portare la religione all’esterno. Evidentemente quello che aspetta il mondo è proprio la libertà, è la libertà che auspichiamo, è la libertà di cui parlava la Madonna a Fatima.

CODICE 82N2A103
LUOGO E DATA Sant’Ilario d’Enza 03/12/1982
OCCASIONE Adunanza
DESTINATARIO Gruppo S. Giovanni Bosco
ORIGINE Registrazione
ARGOMENTI Storia della Chiesa XI secolo La lotta per l’investitura: la reazione della Chiesa S. Pier Damiani, Ildebrando da Soana
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