Dopo la morte di Nerone, il senato annullò tutti i suoi decreti per “l’eccessiva crudeltà”. E la persecuzione ufficiale contro i cristiani cessò, almeno a livello generale e ufficiale, a parte qua e là qualche autorità locale zelante e astiosa. Le legioni d’Oriente, alla notizia della morte di Nerone, elessero imperatore il loro generale in capo che era Vespasiano. Vespasiano si trovava in Oriente perché i giudei si erano ribellati ai romani, per loro sciagura. In questi ultimi anni gli ebrei erano caduti ancora più giù, da quando li abbiamo visti nella vita di Gesù e dei primi apostoli: divisi tra di loro, con un’autorità inconsistente, visto che i sommi sacerdoti erano eletti e poi deposti. A un certo punto la ribellione si scatenò rabbiosa; procuratore della Giudea era un certo Gessio Floro. Si ribellarono, massacrarono i romani che si trovavano a Gerusalemme e proclamarono la rivolta in tutta la regione. I romani reagirono con la tenacia e la forza che avevano e dopo le risposte alle stragi dei romani con le stragi di ebrei dove dominavano i romani, si iniziò la guerra vera e propria. E cominciarono la campagna: vennero giù dalla Siria e Vespasiano occupò la Galilea, quando gli arrivò la nomina a imperatore. Allora abbandonò il comando delle legioni e venne in Italia, dove trovò dei concorrenti sui quali l’ebbe vinta e divenne imperatore. Lasciò a comandare le truppe suo figlio, che era Tito Flavio, quello che sarà chiamato la “delizia del genere umano”, ma come comandante in capo era tutt’altro. Tito non ebbe fretta di muoversi, aspettò il momento opportuno. E gli Ebrei caddero in trappola: aspetto la primavera, in cui si poteva girare rapidamente, e aspettò il tempo di pasqua. Nel tempo di pasqua Gerusalemme si gonfiava per tutti i pellegrini che arrivavano da tutte le parti e da duecentomila, duecentocinquantamila abitanti, arrivava a più di un milione. Tito aspettava questa occasione, perché era chiaro che in una città più abitanti ci sono e più c’è bisogno di roba da mangiare e gli assedi, con le mura che c’erano, come a Gerusalemme, erano assedi per fame. Piombò giù dalla Galilea e, ancora prima che se ne accorgessero, aveva chiuso tutte le strade e circondato Gerusalemme. Cominciò così l’assedio regolare. Abbiamo la descrizione di questo assedio nella “De bello giudaico” di uno scrittore ebreo, Giuseppe. E’ stata una delle guerre più crudeli e disastrose: tanti ebrei prendevano, tanti ne crocefiggevano. Dice Giuseppe Flavio che nel raggio di cinquanta chilometri intorno a Gerusalemme non c’era un albero, perché tutti gli alberi erano tagliati per fare croci. Attorno a Gerusalemme avevano fatto file e file di croci, quasi a vendicare Colui che era stato messo in croce dagli Ebrei trentacinque anni prima. Gesù aveva predetto la distruzione di Gerusalemme e i cristiani erano scappati da Gerusalemme. Gesù lo aveva predetto: “Non rimarrà in te pietra sopra pietra”. L’assedio durò dall’aprile del 70 fino all’agosto del 70. Negli ultimi tempi non avevano più nulla da mangiare: tanto per dare un’idea, mangiavano i bambini. Poi parecchi passavano ai romani, ma i romani, che in un primo tempo li crocefiggevano, in seguito li accoglievano. E’ successo poi un episodio: un soldato vide uno che recuperava le monete che aveva inghiottito, monete d’oro, e le recuperava avendole avute per vie naturali. Allora i romani, da quel momento, li uccidevano per frugare nel ventre alla ricerca delle monete. Il 17 luglio del 70 cessò il sacrificio nel tempio, che non era cessato dal tempo di Giuda il Maccabeo. La città all’interno non era neanche concorde, era in preda a delle bande di fanatici rabbiosi. Il 10 agosto del 70, se non erro, cadde la città. Tito aveva dato l’ordine di risparmiare il tempio: era una superba costruzione, una delle meraviglie del mondo di allora. Tito l’avrebbe voluto conservare. Ma quando andarono all’assalto del tempio, in cui si erano asserragliati i più furiosi, un soldato, esasperato dalla resistenza, si fece spingere su dal compagno e buttò dentro il tempio delle fiaccole. C’erano molto materiale infiammabile e il tempio bruciò e di Gerusalemme si adempì la profezia di Gesù: non restò pietra su pietra. Gli ebrei che scamparono alla strage furono venduti come schiavi: mai sul mercato di Roma gli schiavi vennero a costare così poco, infatti con pochi soldi, paragonabili a poche centinaia di lire di adesso, si comprava uno schiavo. E’ la fine della Nazione Santa, l’erede delle promesse. Gesù aveva detto: “Gerusalemme, Gerusalemme, quante volte ho voluto radunare i tuoi figli come la gallina raduna i pulcini sotto le ali e tu non hai voluto”; Gesù aveva pianto, Gesù aveva visto tutto: “Non passerà questa generazione prima che queste parole si avverino” e non passeranno che trentacinque anni e le parole si avverarono veramente. Potete fare le considerazioni che volete sulla distruzione di Gerusalemme, ma questa è un simbolo: ogni anima che non ascolta la parola di Dio e non gli ubbidisce, che abusa della grazia, va alla rovina. Gerusalemme, la città della promessa, la città di Davide fu completamente smantellata, non restò niente. Quando mostrano gli ulivi come gli ulivi di quel tempo là, evidentemente, se hanno qualche parentela, devono essere i polloni nati dalle radici degli ulivi che erano in quei posti; hanno distrutto tutto, anche quelle che potevano essere le reliquie della passione. Dalla descrizione che abbiamo della guerra è stato distrutto proprio tutto! I cristiani meditarono le parole di Gesù e ne videro il preannuncio della distruzione che avverrà alla fine del mondo, quando la città del male sarà smantellata come Gerusalemme. Sul tema delle persecuzioni, Vespasiano e Tito non fecero persecuzioni e i cristiani respirarono, per quanto sempre mal visti una persecuzione generale non ci fu. Quindi dal 69 al 96 non ci fu una persecuzione generale. Nel 96 la persecuzione venne scatenata dal fratello di Tito, che gli era succeduto sul trono: Domiziano. I primi anni del suo regno Domiziano fu saggio e seguì le linee del fratello. Poi si indebitò per le grandi costruzioni che fece: il Campidoglio, il Circo Massimo e varie altre cose. Quando un uomo si indebita cambia fisionomia. Cominciò con il metodo dei testamenti forzosi: chiamava i ricchi di Roma e faceva fare testamento per lui e il giorno dopo dava l’ordine di ucciderli: li trattava bene, diceva di essere loro amico e chiedeva di fare testamento per lui. Poi chiamava uno che noi chiameremmo notaio e faceva stilare l’atto davanti a testimoni e il giorno dopo… Poi se la prese con i cristiani, perché era più comodo prendersela con i cristiani. E la persecuzione durò quasi tre anni, finché fu fatto uccidere da sua moglie. Dicono gli storici dell’epoca che negli ultimi tempi Domiziano divenne molto scontroso e cattivo, passava le giornate infilando le mosche in uno spillone e facendo le liste di quelli che avrebbe ammazzato. Sua moglie andava a vedere le liste e un giorno si è trovata anche lei nella lista: allora ha pensato bene di prevenirlo. La vittima più illustre di Domiziano era stata Giovanni apostolo che era ancora vivo. Era vivo e dopo la distruzione di Gerusalemme era andato ad abitare a Efeso con la Madonna. La Madonna avrà la sua “dormitio” a Efeso, dove sarà eretto un magnifico tempio. E i cristiani avevano sparso la voce che non sarebbe morto, attaccandosi alle parole di Gesù; quando Gesù fece la profezia per Pietro, Gesù domanda per tre volte a Pietro se lo ama e alla risposta affermativa lo costituisce capo della Chiesa e poi dice Gesù a Pietro: “Quando eri giovane tu ti cingevi e andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio un altro ti cingerà e ti condurrà dove tu non vuoi” e Giovanni evangelista osserva che Gesù disse questo profetizzando il martirio. Lì vicino c’era l’apostolo Giovanni e Pietro, sempre esuberante (avrà visto mortificato Giovanni) chiede a Gesù: “E di lui (Giovanni) cosa sarà?”. Gesù rispose: “Che te ne importa a te: se Io voglio che lui resti finché Io vengo che te ne importa?”. Non aveva detto “Io voglio che resti finché Io venga” ma aveva detto a Pietro di non preoccuparsi della sorte di Giovanni: per questo si era sparsa la voce che sarebbe durato fino al giudizio universale, tantopiù che prosperava, era un vecchio in gamba che non mollava. Giovanni era rimasto l’unico vivente ad aver visto Gesù e correvano a lui da tutto l’Impero per avere una parola, per vederlo. Domiziano lo viene a sapere: subito spedisce una nave ad Efeso per prendere questo capo cristiano. Infatti Giovanni venne preso e condotto a Roma e viene posto davanti al tribunale di Domiziano che vuole ottenere da Giovanni che rinneghi Cristo, per poter dare un esempio a tutti i cristiani. Potete capire se Giovanni rinnegava Cristo! Allora raccontano che Domiziano minacciò di torturare Giovanni e poi lo fece mettere in una caldaia di olio bollente: è un tormento terribile, ma questo santo vecchio, messo nella caldaia, si dice che ci stesse come in una vasca d’acqua fresca. Domiziano a vedere il fenomeno lo attribuì a magia: era superstizioso. “Portatelo via, portatelo via, che non faccia una magia anche a me” e lo fece deportare a Patmos, un’isoletta del mare Egeo. A Patmos Giovanni rimase due anni: secondo la tradizione è a Patmos che Giovanni scrive l’ultimo libro della Bibbia, l’Apocalisse. Quando morì Domiziano, fu libero e tornò a Efeso e morì quasi centenario di morte naturale. Le ultime due notizie che abbiamo di lui sono che tornato a Efeso ebbe un gran dispiacere perché gli dissero che un suo discepolo prediletto, carissimo e buono, in sua assenza si era pervertito e ha fatto dei debiti e finì in una banda di briganti che dalle colline intorno a Efeso scendevano per fare scorribande. Giovanni non si rassegnò: andò a cavallo nel posto dove sapeva che comparivano i briganti e infatti non tardarono molto a saltare fuori. Quando il discepolo brigante s’imbatté in Giovanni, come un fulmine volto indietro il cavallo e scappò e Giovanni lo rincorse col cavallo e lo prese e lo convertì. Questo è detto nell’antichissima tradizione. Poi si dice che negli ultimi tempi non riuscisse più a camminare e lo portavano nell’assemblea con una portantina. Dicevano: “Padre, dicci una parola, parlaci”, ma era quasi centenario: quello che diceva era solo: “Figlioli, vogliatevi bene” e basta. E dai una volta, dai due e dai tre, finché gli dissero che avevano capito e gli chiesero di dire qualche altra cosa. Lui, scuotendo la testa, disse: “Non vi dico altro, perché se fate questo siete a posto”. Bello, magnifico! Parecchi morirono sotto Domiziano, come Papa Clemente.
Domanda: Ma come mai in quel periodo questi ultimi apostoli non sono stati fatti Papi dopo Pietro?
Don Pietro: Allora, con sapienza, facevano vescovo chi abitava nella città, chi era nella Chiesa locale. Sarebbe stata una cosa incredibile che fosse diventato Papa un polacco: noi lo abbiamo avuto, perché il mondo è diventato un paese, ma allora le distanze, le lingue, le usanze erano ostacoli difficilmente superabili.
Domanda: Com’era vista la figura del Papa? E la questione del primato del Papa?
Don Pietro: La questione del primato non era esercitata come adesso, questo è logico. Ogni vescovo faceva pane per suo conto, proprio perché le distanze e le circostanze consigliavano questo. Però S. Ireneo, che è stato uno dei primi a scrivere nel II secolo, dice una frase molto indicativa: “Tutte le Chiese devono convenire con la Chiesa di Roma”, devono andare d’accordo con la Chiesa di Roma. Questo è il concetto del primato: il fatto che una Chiesa sia autentica quando va d’accordo con Roma. Le strutture si sono poi modificate nei secoli. Adesso il Papa governa la Chiesa attraverso degli uffici, uffici della curia romana, che si chiamano congregazioni, cioè equipe diremmo noi: ogni equipe è presieduta da un cardinale prefetto. Allora non c’era nulla di tutto questo. Però indubbiamente si guarda con piacere agli interventi fatti allora, interventi di amore più che di governo. Abbiamo uno scritto di Papa Clemente alla chiesa di Corinto, vi sono altri scritti che risalgono a subito dopo gli apostoli. Certo ci può essere un progresso dei dogmi, nel senso che si comprendono meglio, si spiegano meglio: se noi prendessimo il vocabolario teologico di adesso e lo avessi esposto ai cristiani di adesso è chiaro che non lo capirebbero. Guardate per esempio la posizione dei cristiani con gli schiavi: guardate che la schiavitù ufficialmente dura ancora qualche secolo e i cristiani non hanno fatto una guerra di liberazione. Se leggete il discorso di Paolo nella lettera a Filemone c’è questo signore, Filemone, che sta in Oriente e ha uno schiavo di nome Onesimo. Lo schiavo a un certo punto scappa dal suo padrone e va a finire a Roma, dove ci si confondeva facilmente, perché se lo schiavo veniva preso o veniva crocefisso oppure veniva marcato in fronte come fuggitivo. Onesimo a Roma incontra Paolo che lo converte, lo fa cristiano e invece di dirgli “godi la tua libertà”, lo rimanda dal padrone e fa un biglietto di presentazione: “Prendi Onesimo come tuo fratello (anche Filemone era cristiano), trattalo come fratello, come tu ricevessi me”. Onesimo torna dal padrone. L’abolizione della schiavitù era una cosa che veniva dall’amore e non volevano una violenza, volevano l’amore. E così sarà fin quando sarà abolita e venne abolita ufficialmente molto tardi, ma è l’amore che comanda al cristiano di riconoscere nello schiavo un fratello. I preti che hanno preso il mitra, che hanno fatto delle guerre non so come si possano innestare in questa tradizione così forte e così centrale. Il cristiano riceve l’amore e diffonde l’amore attorno a se’: ama e l’amore vince. Questo è il principio su cui si basavano e hanno avuto ragione loro: ci hanno messo del tempo, ma hanno trasformato completamente la mentalità della gente per cui uno schiavo era un oggetto. A Roma, sotto l’Impero, la condizione degli schiavi era diventata orrenda. Ricordate che prima dell’Impero c’era stata la ribellione degli schiavi con Spartaco, ma avevano avuto la peggio: la schiavitù ritornò come prima. Nella Roma imperiale, c’erano i mulini che preparavano la farina per la città di Roma che erano gestiti dagli schiavi, cioè le bestie da soma erano gli schiavi: c’era più interesse ad usare loro che non degli asini nei mulini. Compravano gli schiavi, badavano bene di comprare dei robusti, e poi la prima operazione che facevano li accecavano con un ferro rovente perché non scappassero e non si distraessero; poi giravano la macina per tutta la vita. Quando si ammalavano o diventavano vecchi, venivano fatti fuori. L’imperatore Augusto fece un intervento verso un patrizio romano che era troppo crudele: dava gli schiavi in pasto alle murene. Immaginate le donne e la moralità a loro riguardo: le schiave non avevano alcun diritto, nemmeno quello di sposarsi; se il padrone le lasciava sposare non avevano il diritto di tenere i figli, se il padrone non voleva. Non avevano nessun diritto. E il cristianesimo ha predicato l’amore e ha vinto con l’amore. Voi sapete come sono brutti i costumi adesso, ma allora non erano migliori: la nobiltà e le alte classi patrizie erano corrotte in un modo incredibile (…)
COMPLETARE CON MATERIALE RABITTI
CODICE | 81NAA103 |
LUOGO E DATA | Sant’Ilario d’Enza 11/12/1981 |
OCCASIONE | Adunanza |
DESTINATARIO | Gruppo S. Giovanni Bosco |
ORIGINE | Registrazione, completare con MATERIALE RABITTI |
ARGOMENTI | Storia della Chiesa Distruzione di Gerusalemme. Le persecuzioni da Domiziano: persecuzione a Giovanni apostolo |
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