16/04/1982 - Adunanza SG Bosco Storia della Chiesa San Benedetto

Sant’Ilario d’Enza 16/04/1982
Adunanza

Abbiamo parlato delle invasioni dei barbari e siamo arrivati a parlare di S. Benedetto, il grande patriarca del monachesimo d’Occidente. S. Benedetto è uno dei massimi giganti non solo del suo secolo, ma dei secoli a venire. Benedetto nasce a Norcia nel 480 da una famiglia dell’aristocrazia. Cresce a Roma. Quando è nel rigoglio della sua giovinezza, gli vengono, giustamente, a noia i divertimenti più o meno pagani che si facevano a Roma. E un giovane di profonda onestà com’era lui, di profonda sensibilità, di una vita di fede intensa rifiuta questo compromesso e, seguendo un impulso frequente in quel tempo, fugge nella solitudine e trova un luogo per lui adatto: nella valle dell’Aniene si rifugia in una spelonca, a Subiaco. Resta in questa grotta, in una vita penitente di preghiera e di fede alcuni anni, quando il suo esempio, l’esempio di un giovane, di un fervido giovane, gli attira molti seguaci. E un po’ alla volta, a Subiaco, sorgono dodici piccoli monasteri in cui si vive una vita intensa d’impegno e di preghiera. A un certo punto, però, succede quello che inevitabilmente deve succedere: se Benedetto attira i volenterosi, i buoni, i retti, è preso in odio dagli altri, da quelli che dicono che è un fanatico, un chiuso, da quelli che dicono che tira via i giovani dalle famiglie (perché questi giovani abbandonavano le famiglie per seguire Benedetto) e tutto il resto. A capo dei suoi nemici disgraziatamente c’è un prete, un prete indegno che, pare, da quanto si racconta, ne abbia organizzate di tutti i colori per screditare i monaci e farli desistere da questi propositi di vita molto severa, sguinzagliando numerose donnine che venivano pagate per disturbare i monaci. Allora Benedetto, memore delle parole del Vangelo, “se non vi accettano in una città, scuotete la polvere dai vostri sandali e andate in un’altra”, abbandona Subiaco e si ritira su un monte, allora molto selvaggio, un monte che sovrastava il villaggio di Cassino. E là sulla montagna c’è ancora in tempietto dedicato ad Apollo: distrugge il tempio all’idolo e comincia a costruire il suo monastero, quel monastero che diventerà il primo monastero del mondo e sarà faro di cristianità e di civiltà per tutto il mondo occidentale. A Montecassino Benedetto avrà un amplissima schiera di seguaci, ai quali detterà una regola, una regola che farà di Benedetto il grande legislatore della vita cenobitica, della vita insieme. Benedetto non intendeva fare una cosa originale, non intendeva fare qualcosa di particolarmente importante, ma intendeva semplicemente dare delle norme ai monaci che vivevano con lui. Queste regole sono chiamate uno dei documenti principale del cristianesimo, di sapienza romana e d’intuizione cristiana. Benedetto non intendeva quindi fare una cosa originale, perché era molto semplice e umile. Conosce la regola di Basilio, la regola degli altri legislatori orientali, conosce le regole e le tradizioni sparse qua e là nei monasteri. Qual è allora il suo pregio? Il suo pregio e il grande equilibrio e la grande sapienza che si sente in tutte le righe; non più le intemperanze orientali, le stranezze, non più una vita che a sopportarla ci voleva un fisico e un eroismo straordinario: una regola che tutti potevano osservare. Il grande principio è il principio che il monaco deve diventare santo, santo nella ricerca della volontà di Dio e nell’obbedienza ai suoi superiori. Il monaco perciò deve considerare il tempo come un tempo di Dio e non ne deve sciupare neanche un briciolo. Perciò bando all’ozio, lotta contro l’oziosità: ogni momento della giornata ha la sua occupazione. La giornata si divide in un tempo dato alla preghiera, in un tempo dato alla lettura, allo studio e un tempo dato al lavoro manuale. La società che avevano attorno era una società caotica, perché proseguivano le invasioni dei barbari, perché le campagne erano state abbandonate, perché la gente si riuniva nella città a ozieggiare, a litigare. Ecco che ai barbari e ai romani decaduti Benedetto dà il senso della vita piena, del lavoro, dell’impegno per se’ e per gli altri. I monaci lavoreranno sette ore al giorno, due ore pregheranno e s’impegneranno nello studio gli addetti alla biblioteca, alla trascrizione dei codici, alla conservazione della cultura, ecc. Benedetto struttura i suoi monasteri in una sana democrazia: l’abbate, cioè il padre, è eletto da tutti i monaci con elezione a scrutinio segreto. L’abbate, se il monastero è grande è coadiuvato dal prevosto, dal priore, cioè dal vice abbate. E vi è il monaco preposto ai vari uffici: c’è il cellarius, cioè quello che ha la dispensa in custodia, quello che dà i viveri, c’è quello che si interessa dei forestieri che capitano, dei poveri, c’è colui che presiede i lavori della campagna. Sicché, i monasteri vengono ad essere delle isole ordinatissime, incutono rispetto, per cui la gente va da loro, riceve aiuto perché questi monaci vivono una vita molto sobria e il loro lavoro non è per se’ che per piccola parte e il resto va ai poveri. E’ chiaro che questo esempio di disciplina, di lavoro, di umiltà, di ricerca di cultura, incide straordinariamente: i monasteri diventano centri, infatti molti monasteri saranno l’origine di altrettante città, perché la gente viene volentieri dai monaci ad abitare vicino a loro, perché ricevono incoraggiamento, aiuto e protezione in un momento nel quale le autorità costituite erano assolutamente incapaci e inadatte. I monaci devono osservare l’orario, quindi andranno a letto presto per alzarsi poi nel cuore della notte: a mezzanotte si alzeranno e pregheranno per tutti quelli che commettono peccati, per la salvezza del mondo. Poi torneranno a letto per un altro po’ e prima dell’alba si alzeranno ancora e cominceranno il ritmo della preghiera, prima, del lavoro. E’ un ritmo molto sobrio: astinenza perpetua. La regola benedettina impone l’astinenza perpetua, mai carne. Per i malati si faranno eccezioni. Mai carne, però non patire la fame e la sete, neanche mangiare un cibo impossibile: cose normali. Ognuno potrà avere la sua cella, il suo piccolo buco, però non dormire per terra come i monaci orientali, ma dormire nel loro modesto e piccolo letto. Insomma, c’è nella regola tanta moderazione, tanto equilibrio, c’è nella regola l’insegnamento che dà il cristianesimo a questa società che sta andando in rovina perché si possa poi, dall’unione dei barbari (…)

Vedremo alla fine del secolo in cui è morto Benedetto, salire come Papa un suo discepolo, un grandissimo: Gregorio che i posteri chiameranno Magno. Vedremo Gregorio preoccuparsi della conversione degli Angli, la conversione dell’Inghilterra. I monaci allora non si fermano alla bonifica locale, ma pensano anche all’evangelizzazione dei popoli vicini e lontani. L’impegno è perciò notevole, un impegno che prende totalmente. Da Benedetto viene anche l’ordinamento e la valorizzazione della liturgia, che avrà poi nel suo discepolo Gregorio quello che darà il nome anche al canto: canto gregoriano. Insomma, una mirabile sequenza di cose belle e grandi. La Chiesa scrive una pagina molto gloriosa, scritta allora nell’umiltà di ogni giorno di queste schiere innumerevoli di coloro che rinunciavano alla loro casa, al loro lavoro, che rinunciavano a tante cose per seguire Cristo: rinunciavano al mondo ma costruivano il mondo, rinunciavano agli agi ma davano il pane ai poveri, rinunciavano a una famiglia ma per essere veramente, secondo le parole del Vangelo, sale della terra e luce del mondo. Queste schiere numerose trasformarono l’occidente e ammansirono i barbari, ridiedero fiducia a una popolazione sconfitta spiritualmente più ancora che politicamente. Il fenomeno del monachesimo ha scritto veramente delle cose meravigliose. I primi discepoli di Benedetto furono S. Placido e S. Mauro. Di S. Mauro è famoso lo spirito di obbedienza. Ricordiamo in particolare S. Mauro perché di lui abbiamo un’immagine in chiesa: il nostro popolo venera ancora S. Mauro. Spesso voi dite una preghiera a S. Mauro…soprattutto quelli che sono nel coro perché cantano vicino al suo altare, vero? S. Mauro è esempio d’obbedienza. Raccontano tanti episodi sull’obbedienza di S. Mauro: non discuteva, anche le cose che sembravano difficili o impossibili lui le faceva nell’obbedienza. E dell’esempio dei monaci vorrei che prendessimo particolarmente questo esempio dell’obbedienza, perché l’obbedienza ha un grande valore se è intesa non come passività, non come rassegnazione, non come cedimento a una violenza autoritaria, ma in quel significato profondo che Gesù stesso sottolineava a Pilato. L’abbiamo detto in questi giorni quando, di fronte a rinnovate domande di Pilato, Gesù non risponde e il procuratore sbotta in un’osservazione ovvia: “Come, non mi rispondi? Non sai che ho il potere di farti crocefiggere o di farti rimettere in libertà?”. E Gesù risponde: “Non avresti nessun potere se non ti fosse dato dall’alto”. “Non avresti nessun potere”. L’apostolo commenterà: non c’è autorità se non da Dio e chi resiste all’autorità resiste all’ordinamento di Dio. (REGISTRAZIONE INTERROTTA)

CODICE 82DFA103
LUOGO E DATA Sant’Ilario d’Enza 16/04/1982
OCCASIONE Adunanza
DESTINATARIO Gruppo S. Giovanni Bosco
ORIGINE Registrazione INCOMPLETA
ARGOMENTI Storia della Chiesa V e VI secolo S. Benedetto Il valore dell’obbedienza
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