Abbiamo parlato del tempo attorno all’anno 1000. Ora andiamo ai primi decenni dopo il 1000. Erano tempi, neanche da dire, difficili: quando sono stati facili i tempi per la Chiesa? Adesso noi diciamo: “Che tempi” i nostri. Ma anche allora erano tempi difficili, c’era molta decadenza del clero. Il clero risentiva del peso dell’abbandono, di questi sconvolgimenti sociali, di questi partiti in lotta accanita tra di loro. Troviamo dei preti che risentivano della società di allora, che è sempre la società di sempre: quando si dice preti simoniaci e preti concubinari si dicono due vizi che sempre hanno imperversato nel mondo, cioè il vizio dell’avarizia e il vizio della disonestà. La scena italiana è dominata dal partito filo tedesco e l’imperatore del Sacro Romano Imparo è il re dei tedeschi. Abbiamo in quest’epoca un imperatore santo: Enrico II. Nel calendario dei santi è insieme a sua moglie Cunegonda: è uno degli esempi rari in cui tutti e due i coniugi sono diventati santi canonizzati. Si cita sempre anche l’esempio di un matrimonio verginale: poco prima di morire Enrico II consegnò sua moglie ai suoi parenti, ai suoi famigliari dicendo: “Ve la restituisco come me l’avete data”. Vissero tanti anni il matrimonio senza consumare. S. Enrico si diede da fare soprattutto per il buon governo e per la pace. Da tutte le parti, anche allora, si gridava pace, perché erano continuamente in guerra, un paese contro un altro, una città contro l’altra, c’erano i feudatari, i grandi feudatari che erano sempre in guerra con i feudatari minori, con la nobiltà minuta che voleva estendere i propri privilegi e i grandi feudatari non la volevano lasciare. Anche allora era un continuo gridare pace, così come facciamo noi: da che vivo si è sempre gridato pace e si è sempre fatta la guerra. Si verifica la parola della Bibbia: “Gridano pace e fanno la guerra” ed è proprio così. Anche allora si gridava pace e Enrico II cercò di dominare, fece quello che poteva. Si deve a lui l’iniziativa delle tregue di Dio. Le tregue di Dio, istituite da Enrico II, consistevano il tregue tra due popoli belligeranti, che non volevano la pace, tregue dall’ora nona di ogni sabato fino al lunedì successivo, in modo che ognuno potesse riabbracciare i suoi cari, andare a Messa, fare le sue devozioni. Erano neanche quarantotto ore di pace, ma erano un sollievo. L’istinto dell’uomo è stato sempre un istinto guidato dal suo egoismo, l’istinto della violenza, l’imporsi, l’imporsi sugli altri con la forza, con l’abilità delle armi, con i privilegi. Enrico II dovette anche lui fare la guerra, perché a un certo momento Arduino, marchese d’Ivrea, cercò di staccare l’Italia dall’Impero per farsi re d’Italia: cinse la corona a Milano, ma quando venne giù l’imperatore fu sconfitto. Pare che si riducesse, come facevano allora gli sconfitti, a tosarsi, a vestire l’abito monacale e a finire in un convento a piangere i loro peccati, le loro scemenze. Abbiamo una fisionomia dell’epoca, una fisionomia degli eccessi, di un tempo che presenta dei contrasti inspiegabili, contrasti tra quella che è la ferocia sistematica, terribile (erano guerre terribili: uccidevano, torturavano senza misericordia) e poi di colpo ecco queste conversioni più o meno forzate, una vita di silenzio, di preghiera. Ci sono già i prodromi di quella che sarà chiamata in seguito la “lotta delle investiture”. Questo imperatore santo teneva la Chiesa come fosse una cosa sua, faceva delle scelte belle, delle scelte buone, riformava i monasteri, però, però usava poteri che non spettavano a Lui. E’ quella che diventerà la grande battaglia: fare il vescovo, nominare il vescovo, che praticamente era anche un feudatario, un principe (abbiamo i vescovi - principi, i vescovi che avevano quindi il dominio temporale e di conseguenza le rendite temporali: erano dei grandi signori di governo e di affari). La figura del vescovo principe sarà fino ai nostri giorni: monsignor Beniamino Socche è stato l’ultimo vescovo - principe di Reggio Emilia. Quando celebrava solennemente la Messa era posto sull’altare, nella parte destra, si metteva l’elmo o la spada e le sue insegne. Noi l’abbiamo visto e abbiamo messo sull’altare l’elmo e la spada, perché era anche principe. Qualche anno fa il Papa prese via il titolo di principe. Allora era tipico che il vescovo fosse il capo della città. Ecco perché verrà la grande lotta delle investiture, perché il Papa dirà: piano, prima è vescovo e poi è feudatario e i vescovi li faccio io; l’imperatore diceva: no, piano, è mio feudatario e metto chi mi pare e metto uno fedele a me. Chi doveva essere prima, il Papa o l’imperatore? Non era ancora scoppiata la battaglia tra papato e impero, però Enrico II li faceva tutti lui i vescovi: c’era la consuetudine che quando moriva un vescovo mandavano il bastone pastorale all’imperatore e l’imperatore quando riceveva i suoi vassalli in udienza pigliava il pastorale e lo dava a uno ed ecco che era già fatto il vescovo. Enrico II faceva della gente brava, perché era pio, ma verranno di quelli che faranno alla rovescio. Il successore di Enrico II, Corrado, comincerà quella che era la simonia. Corrado aveva un gran bisogno di soldi, perché all’imperatore arrivavano pochi soldi, perché i soldi li riscuotevano i feudatari che ne mandavano pochi alla cassa dell’imperatore. Corrado quindi faceva i vescovi mettendo il titolo all’asta: chi dava di più diventava vescovo. La simonia prende il nome da Simone mago: quando S. Pietro andò a predicare nella città di Samaria, c’era un mago, un certo Simone, che faceva delle cose da mago, pseudo-prodigiose. Simone ha visto Pietro che faceva dei bei miracoli e ha pensato: “Guarda un mago più potente di me che fa delle cose che io non riesco a fare: avrà dei trucchi e devo farmeli spiegare”. Allora va da Pietro, lo prende in disparte e gli dice: “Quanto vuoi per insegnarmi il tuo potere?”. Si era imbattuto male, perché oltre a un apostolo Pietro era molto energico e lo manda all’inferno lui e i suoi soldi con molta energia: “Tieni i tuoi denari perché tu pensi che il dono di Dio si possa acquistare con denaro”. Di qui simonia. Capite che era simonia vendere un bene della fede, un ordine, una carica della Chiesa per dei soldi. Perciò ne nascono dei vescovi simoniaci e anche dei Papi simoniaci. Andiamo male con i Papi in questo periodo. A Roma dominava l’ambiente la fazione dei conti di Tuscolo, i quali, per dominare meglio la città di Roma e dintorni, facevano sempre Papa uno della loro stirpe. Abbiamo una figura, forse la più brutta di tutti i Papi (forse, perché non si hanno molte notizie. Di solito tirano fuori Alessandro Vi quando vogliono dire un Papa giù di corda): Benedetto IX. Suo padre lo fa far Papa che è giovanissimo: alcuni dicono sedici anni, altri diciassette, altri diciotto, ma è giovanissimo. Era giovane così e scavezzacollo: capite che Papa c’è saltato fuori. Ne ha fatte un po’ di tutti i colori. A un certo momento ricorrono all’imperatore; l’imperatore viene giù, Benedetto IX allora scappa, poi torna, poi fa eleggere uno facendosi pagare (un Papa simoniaco), Gregorio VI. Finirà per rinunciare al pontificato, poi tornerà a voler essere Papa, poi tornerà a rinunciare, finché morì a quarantadue, quarantatre anni in carcere. La Chiesa di Dio era proprio fondata sulla pietra che è Cristo, in tempi molto oscuri, in tempi molto brutti, con gli scandali che si susseguivano. Cominciano a profilarsi altre forze. Riguardo l’imperatore Corrado, è famosa la presa di posizione di Ariberto d’Intimiano, arcivescovo di Milano, che vuole limitare l’ingerenza imperiale. L’imperatore pretende d’arrestarlo: avvengono delle sollevazioni di popolo, uno s’appoggia sui valvassori, l’altro s’appoggia sugli artigiani, gli operai. Si comincia a profilare l’idea del comune che poi si svilupperà più tardi. I tempi allora nei quali abbiamo una pagina dura: i soliti contrasti che sono nell’intimo dell’uomo che diventano contrasti della società, travolgono uomini di Chiesa, anche al vertice e impediscono l’avvento del regno di Dio. Il Signore quando gli hanno chiesto: “Dov’è il regno di Dio?” Gesù ha detto: “Il regno di Dio è dentro di voi”: non si può pretendere il regno di Dio fuori se non c’è dentro. Questi uomini, non tutti per fortuna, volevano conquistare popoli barbari e convertirli al cristianesimo, avevano una struttura formalmente cristiana, ma non capivano che il regno di Dio non si poteva affermare fuori se non si affermava prima dentro di loro. Perché altrimenti non si può pretendere una giustizia se noi non la diamo, se noi non la viviamo. Gesù l’aveva detto in una maniera tremendamente eloquente: “Perché vuoi togliere il busco nell’occhio del tuo fratello quando tu nel tuo occhio hai una trave? Tirati via la trave e poi dirai a tuo fratello: posso prendertelo via?”. E’ il principio sacro e forte di una coerenza elementare. “Il regno di Dio è dentro di voi”: non possiamo gridare agli altri “perché non siete santi?” quando noi non lo siamo. Noi abbiamo bisogno di una continua conversione: convertirci. Vorrei che riflettessimo bene su questa parola: convertirci. Non si tratta di farsi un’opinione, non si tratta di fare un progettino per l’avvenire: “Farò meglio, se ci riesco, in quel punto lì”. Convertirsi vuol dire cambiare mentalità, rinunciare alla nostra mentalità per acquistare quella di Cristo. E’ un discorso molto forte, perché cambiare la mentalità non è cosa da poco: significa lasciare un genere di vita e di gusti e preferirne degli altri. Se confessarsi bene fosse semplicemente dire i propri peccati e fare un progettino per l’avvenire: ma se le Confessioni sono così sono un sacrilegio! La Confessione vera è il ripudio di una mentalità vecchia: no, adesso la pianto, adesso la pianto, acquisto un altro pensiero, un’altra costruzione mentale e sono veramente pentito perché quello che ho fatto fino ad adesso è dispiaciuto al Signore, il Signore non lo vuole. Il discorso quindi sia allora che adesso è proprio acquistare la mentalità di Cristo per cui i soldi sono solo dei mezzi: non si può attaccarsi ai soldi, se ti attacchi ai soldi ti fermi, non vai oltre; se vai dietro al piacere e lo poni come tuo fine, ti fermi: la vita dev’essere passaggio a Dio, salita verso Dio. Allora avevano dei contrasti secondo la mentalità dell’epoca violenti, truculenti direi, ma la mentalità di adesso non è molto cambiata: anche noi abbiamo questi contrasti violenti e questo sangue che, nonostante tutte le parole di pace e di civiltà, scorre nelle nostre strade. Abbiamo quello che il Signore più volte ha condannato. Tra le Brigate Rosse hanno parlato anche di elementi venuti dalle sfere cattoliche: come mai uno educato cristianamente passa a questa forma di violenza sanguinaria e oppressiva? Ecco, non ha capito una cosa, proprio questa, che il regno di Dio è prima dentro di noi: non si può ottenere la giustizia se noi non facciamo la giustizia. Noi siamo coloro che prima di reclamare dobbiamo condannare noi stessi, dobbiamo ascoltare la parola di Dio quando ci dice “condannati”. Non è così la parola del Vangelo? Se uno non ha il coraggio di condannare se stesso non è cristiano: porterà il nome cristiano, usurperà il nome dei cristiani, ma non è cristiano. Noi prima di tutto dobbiamo condannare noi stessi. Il discorso è molto grave proprio perché sono pochi quelli che hanno il coraggio di mettersi in posizione critica di se stessi. E’ facile criticare gli altri: quello è colpevole, riformiamo, facciamo, rivoluzioniamo. E’ facile questo. E’ la condanna di noi stessi che è difficile e vorrei che fossimo noi quei coraggiosi, che ripudiassimo tutte le volte che abbiamo seguito il mondo invece di seguire Cristo e abbiamo tentato di adattare il Vangelo alla nostra mentalità invece di essere noi ad adattarci al Vangelo. Io penso che questo discorso sia un discorso che dobbiamo tenere sempre presente, altrimenti scivoliamo sulle posizioni degli altri che gridano pace e fanno la guerra. La pace, che è l’armonia dell’ordine, si fa con chi sa stare al suo posto e si colloca giustamente. Collochiamoci così con molta fede.
CODICE | 82MIA103 |
LUOGO E DATA | Sant’Ilario d’Enza 19/11/1982 |
OCCASIONE | Adunanza |
DESTINATARIO | Gruppo S. Giovanni Bosco |
ORIGINE | Registrazione |
ARGOMENTI | Storia della Chiesa XI secolo S. Enrico Comincia la lotta per le investiture |
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