2Sam 5, 1-3; Col 1, 12-20; Lc 23, 35-43
MESSA ORE 6, 30
La festa della regalità di Gesù è posta a chiusura di fine anno, la fine dell’anno liturgico. Domenica riapriremo un anno nuovo con l’Avvento. Questa festa chiude tutte le feste allora, proclamando come Gesù è il nostro Re.
I giudei cercavano per se stessi e per proclamarlo agli altri una prova della mancata regalità di Cristo e dicevano: “Non riesce a salvare se stesso”. E’ stato il loro grande errore.
Noi riconosciamo in Gesù il Re di ogni cosa proprio attraverso la sua resurrezione. Oggi è una solenne proclamazione del Mistero Pasquale, Gesù risorto è stato posto da Dio capo di tutto l’universo. È solo guardando a lui, entrando in comunione con lui, che noi possiamo essere salvi, solo così. Ed è per questo che il Mistero Pasquale, il mistero cioè della sua morte e del suo trionfo, deve essere da noi sentito profondamente, sentito e partecipato perché la nostra chiamata è una partecipazione. Anche noi, per essere salvi, siamo invitati, e il nostro Battesimo è stata la nostra accettazione, invitati a partecipare alla croce, per partecipare alla salvezza della gloria.
È dunque qui dove il cristiano sente che i suoi dolori, le sue prove, il superamento delle sue tentazioni, il superamento di tutte le difficoltà della vita entrano necessariamente come elemento vitale per la propria santificazione, per la propria salvezza e, ancora, mezzo per la salvezza degli altri.
Un cristiano non si scandalizza della croce e perciò non si scandalizza nemmeno delle proprie croci, perché la croce del Signore chiama, vuole le nostre croci, le nostre croci le più svariate, dalle più leggere alle più pesanti, a quelle improvvise, a quelle invece che si trascinano per tanto tempo. Quanto spesso viene la voglia di lamentarsi, viene la voglia di scrollarci queste croci, di stare un po’ tranquilli, come diciamo, di essere un po’ esonerati dai pesi che hanno anche gli altri uomini. Ma noi, che onoriamo il Crocefisso, che riconosciamo nel Crocefisso il grande Re, dobbiamo meglio di qualsiasi altro capire la finalità della croce e della prova nella vita. E come dobbiamo impreziosire queste croci sapendole offrire a Dio, sapendole unire al sacrificio di Gesù, sapendo vivere non solo con vera pazienza, ma con affetto a quanto dispone la volontà di Dio!
Regalità di Cristo, regalità nostra. E sta proprio qui il segreto: nel sapere dominare le cose, nel saperle vincere, dunque, anche quelle contrarie, anche le prove. Il cristiano, non solo non resta schiacciato dalle prove, ma il cristiano ne trionfa rendendole un mezzo per la propria santificazione e per la glorificazione di Dio.
Vogliamo allora ribadire la necessità del sapere soffrire nel Signore, la necessità di prendere le cose contrarie, il nostro lavoro, i nostri pesi, le incomprensioni che subiamo, le cose che ci vengono dagli uomini o ci vengono così, da una serie di circostanze. Sappiamole prendere, sappiamole offrire, sappiamole rendere vero strumento della nostra glorificazione, come Gesù ha accettato la croce e attraverso la croce è giunto alla sua piena glorificazione.
MESSA DELLE ORE 8, 30
(DA APPUNTI) L’anno liturgico si chiude in una festa di sintesi. L’anno liturgico è contemplazione della vita di Gesù, nei frutti della Resurrezione. La festa odierna di Cristo Re dice che questo regno da Lui voluto è il regno che si compie nella gloria anche se è pellegrinaggio della croce. Gesù è Re. Per questo vediamo la glorificazione del Signore che è al centro di tutto il cosmo e di tutta la storia.
(RIPRENDE REGISTRAZIONE) Nessuno è al di sopra del Cristo, al di sopra delle cose della terra e al di sopra delle potenze dei cieli. Egli, così grande, così buono, così trionfante, è capo del corpo, cioè della Chiesa, è il capo nostro: “Perché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza”. E nel testo del Vangelo contempliamo il prezzo della regalità, quella regalità che lui ha conquistato con il sangue della sua croce e “riconciliando perciò in sé tutte le cose, quelle che stanno sulla terra e quelle nei cieli”.
Ed è su questo, mi pare, che dobbiamo fare la nostra riflessione: come noi siamo uniti al Cristo, ne partecipiamo alla vita, ne partecipiamo alla dignità. Ne partecipiamo alla vita e perciò dobbiamo modellarci su di lui. La sua vita deve essere la nostra vita, le sue scelte devono essere le nostre scelte, i suoi sentimenti devono essere i nostri sentimenti e in questo modo noi formiamo un’unica cosa con lui, perché “a tutti quelli che l’accolsero diede il potere di diventare figli di Dio”, come dice San Giovanni. E allora in quest’uniformità di vita sta la nostra vera unione col Cristo. Non è qualcosa di magico che ci unisce al Cristo, è la sua misericordia che trova in noi la corrispondenza di una totale uniformità e così, uniti a lui, ne partecipiamo alla dignità. Figli di Dio, uniti al suo sacerdozio, abbiamo il compito dell’evangelizzazione, cioè abbiamo il compito di portare la sua Parola, di portare la sua salvezza. Un cristiano non è semplicemente uno che riceve, è uno che collabora, lavora insieme cioè, si unisce per la costruzione di questo regno.
Non è dunque in una vaga parola che saprebbe di trionfalismo, non è in questo senso che noi chiamiamo Gesù “Re”. Chiamiamo Gesù “Re” per unirci a lui e per porci il problema della nostra salvezza e della salvezza di tutti gli uomini.
Anche recentemente, voi ricordate, i vescovi si sono riuniti col Papa nel Sinodo, per trattare il problema dell’evangelizzazione. E che cosa ci hanno detto i nostri vescovi? Qual è il compito attuale della Chiesa? Ci hanno detto: prima di tutto evangelizzare vuol dire mostrare. Non è dunque semplicemente il nostro compito di dimostrare che Gesù Cristo è morto ed è risorto, ma lo dobbiamo mostrare nella nostra vita, perché gli uomini non s’interessano tanto ad un fatto storico del passato, quanto ad un’esperienza del presente. Noi dobbiamo dimostrare nella nostra vita che Cristo è vivente, che Cristo è operante in noi, che Cristo risplende nella sua luce di salvezza nella nostra vita. Chiuderci semplicemente in un discorso sarebbe assolutamente errato. L’evangelizzazione è un mostrare nella nostra vita di cristiani la verità del Vangelo, perché noi cristiani non diventiamo un inciampo per quelli che non credono, per la nostra vita non conforme e non segnata dalla presenza del Cristo Risorto.
Ed evangelizzare vuol ancora dire portare una parola che sia veramente una parola di persuasione. La verità del Signore deve penetrare fino in fondo alla nostra anima, deve penetrare nella nostra convinzione, deve essere la sostanza di tutto quello che noi compiamo. Evangelizzare vuol dire capire gli altri, ed ecco la dimensione dell’uomo, evangelizzare non è semplicemente portare Dio nella vita dell’uomo, è portare il fratello al fratello, è portare l’uomo all’uomo, è risolvere, almeno ponendo tutte le forze, risolvere quelli che sono i problemi dell’uomo, i problemi che travagliano il nostro tempo e che tengono nell’angoscia milioni e milioni di persone.
Ed evangelizzare vuol dire ancora capire, accogliere. La Chiesa non è solo una che porta, è una che sa ricevere, perché il Signore l’ha posta adatta al dono, ma l’ha posta adatta anche ad un altro tipo di dono che è saper ricevere da tutti gli uomini, saper comprendere i loro valori, saper andare incontro generosamente a tutti.
Ci poniamo così nell’interrogativo se noi siamo nell’idea dell’evangelizzazione, se la nostra vita è evangelizzazione, se noi diamo il buon esempio, ognuno nel suo campo, ognuno nelle sue relazioni, ognuno nella sua atmosfera. Così ognuno, ognuno deve dare, ognuno deve impegnarsi. Ed è questa la celebrazione vera e profonda della regalità del Signore.
CODICE | 74MPO0133ZN |
LUOGO E DATA | Sant’Ilario d’Enza, 24/11/1974 |
OCCASIONE | Omelia, XXXIV Domenica Tempo Ordinario, Solennità di Cristo Re - Anno C Messe ore 6, 30 e 8, 30 |
DESTINATARIO | Comunità parrocchiale |
ORIGINE | Registrazione |
ARGOMENTI | Cristo Re |
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