22/04/1979 - Omelia Domenica Albis Fidanzamento

Sant'Ilario d'Enza, 22/04/1979
Omelia, II Domenica di Pasqua (in Albis) -Anno B

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At 4, 32-35; 1 Gv 5, 1-6; Gv 20, 19-31

Siamo chiamati oggi ad interrogarci sulla nostra fede, perché non basta avere una fede qualsiasi, bisogna avere una fede autentica, una fede che salva. E la Liturgia ci presenta i segni di una fede autentica.

Nella prima Lettura è detto che la fede si manifesta vera, quando opera nell’amore. Gli apostoli, dopo la risurrezione di Gesù, rendevano testimonianza, facevano vita comune, una vita piena di carità. Dicevano che tutto era di tutti, che tutto era in una comunione. Dicevano in un termine che poi è passato nella storia, facevano “koinōnίa”, facevano profonda vita di comunione (Atti 4, 32). Sicché non è vera fede quella che non è operosa, quella che non si traduce immediatamente in una carità intelligente e fattiva.

Nella seconda Lettura l’apostolo san Giovanni ci dice che la fede deve essere piena testimonianza di fronte al mondo, perché noi siamo nati da Dio e “tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo” (1 Gv 5, 4). Non è fede autentica una fede che si manifestasse timida e paurosa, una fede che avesse timore di prendere posizione e di chiamare le cose con il loro nome e dire male a ciò che è male, anche se non c’è nessuno che acconsenta a questa definizione; e che il bene, è bene sempre, anche se sono molti che lo disapprovano. Ed è in questa fede, che vince il mondo, il segno di essere suoi, di essere coloro che san portare la sua croce e manifestare la sua risurrezione.

E una terza nota è data dall’episodio di Tommaso. Tommaso non vuol credere se non ad un'evidenza sensibile (Gv 20, 25). Gesù lo rimprovera. Una fede vera deve essere sicura della parola di Dio, senza avere quello che sensibilmente potremmo desiderare. Una fede è autentica quando è pura, non basata su cose umane, ma basata sulla parola indiscussa di Dio. È di qui che dobbiamo vedere se la nostra fede è nel suo splendore, è nella sua forza, è nella sua vera testimonianza. Troppe volte la nostra fede merita solo una definizione: è una fede debole. Siamo sempre lì a chiedere qualche cosa, siamo sempre lì a volere le consolazioni di Dio e i privilegi di Dio e non sappiamo servire il Signore nella nostra forza di dovere, nella nostra qualità di battezzati. Vogliamo sempre qualche cosa e per questo ci lamentiamo, quando le cose non vanno come crediamo noi, e per questo ci stanchiamo di pregare se si fa fatica, e per questo ci giustifichiamo della nostra inattività, e per questo siamo sempre lì in un inizio. Non andiamo avanti. La nostra fede deve crescere, perché la nostra fede è nell’immagine del seme che il Signore ha posto: deve sbocciare. E poi, quando il seme è sbocciato, non si può fermare, deve crescere, deve diventare una pianta. Questa pianta deve essere, nel campo di Dio, non solo una promessa, ma deve essere una pienezza di utilità, deve dare i frutti. Oh, come dobbiamo insistere per giudicare la nostra fede dai frutti che diamo! Pigri, assonnati, oziosi, inconcludenti: quanti sono i cristiani che entrano in questi aggettivi! Non c’è nella loro vita l’attivismo che si richiede. Sono, così, contenti di qualche devozione. Non amano come devono amare il prossimo, sono incerti nella loro preghiera, sono inquieti nelle loro esigenze, sono così dei cristiani mediocri. Oggi dobbiamo pensare che il Signore e la sua Chiesa non sanno cosa farsene dei cristiani mediocri, che i cristiani devono essere una continuazione di Cristo, i cristiani devono essere in una costruzione continua, i cristiani devono nella Chiesa e con la Chiesa rappresentare il regno di Dio. Oh, vogliamo promettere al Signore che la nostra vita sia così nell’attività, nella generosità, nella sicurezza piena che il Signore è in mezzo a noi. “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani” (ib. 26). Non abbiamo il Signore con noi? Perché siamo fiacchi? Non abbiamo il Signore e lo celebriamo insieme nella Liturgia della domenica? Non l’abbiamo il Signore? Che cosa aspettiamo? Perché perdiamo tempo? Ecco, è quello che il Signore ci mette nel cuore. Il mondo è tutto un guazzabuglio di cose tristi, terribili, di cose brutte. Noi cristiani, se vogliamo rappresentare qualche cosa, dobbiamo essere proprio autentici nella fede, forti nella carità, generosi in ogni circostanza.

CODICE 79DNO01361D
LUOGO E DATA Sant'Ilario d'Enza, 22/04/1979
OCCASIONE Omelia, II Domenica di Pasqua (in Albis) -Anno B
DESTINATARIO Comunità Parrocchiale
ORIGINE Registrazione
ARGOMENTI Fede, vita comunitaria
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