06/01/1976 - Omelia Epifania

Sant'Ilario d'Enza, 06/01/1976
Omelia, Martedì Solennità Epifania del Signore - Messa ore 6,30 e 8,30

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Is 60, 1-6; Ef 3, 2-3. 5-6; Mt 2, 1-12

OMELIA ORE 6,30

Festa di Epifania, cioè festa di manifestazione.

Per noi, a cui Gesù si è già manifestato, che significato ha questa festa? Ha un profondo significato, perché la nostra fede deve sempre di più entrare nel mistero di Cristo. Dice la Scrittura: “Conoscere Gesù è la vita eterna” (Gv 17, 3). La nostra anima ha bisogno di questa luce che illumina gli uomini, ne ha bisogno sempre di più. L’essere cristiani non è arrivare ad un punto e poi più, essere cristiani è una progressione di fede, una progressione continua, è quello che diciamo “una conquista”. Non si è mai, si diventa sempre. Se uno si accontenta di quello che è, la sua fede sta già diminuendo, sta già rovinandosi.

E’ una conquista continua la nostra fede e perciò la nostra vita cristiana, ma in che senso è una conquista? E’ una conquista, perché il mistero di Cristo si presenta così un’insondabile ricchezza, una ricchezza per cui noi entriamo sempre di più nella cognizione e nella partecipazione al piano di Dio, quel piano di salvezza, quella storia della salvezza nella quale noi siamo inseriti.

Conoscere Gesù vuol dire conoscere l’amore infinito di Dio, vuol dire lasciarsi travolgere da questo amore e partecipare alla diffusione di questo amore.

Epifania è manifestazione a noi, progressiva, sempre più grande, fino al giorno della contemplazione in Paradiso.

Epifania vuol dire manifestazione del Cristo a tutte le anime e a tutti i popoli che non lo conoscono. E in questa manifestazione noi non siamo degli spettatori, noi dobbiamo essere dei collaboratori.

Epifania dice: partecipa a tutto quello che è il Cristo, perché tu sei membra sue, sei un membro suo e come membro suo devi necessariamente rivestirti della sua santità e rivestirti, anche qui, con sempre maggiore responsabilità dell’opera stessa di Cristo; ti devi rivestire con un senso grande di umiltà, ma nello stesso tempo con quella virtù che la Scrittura chiama “magnanimità”, cioè consapevolezza di essere chiamati a delle cose grandi, di essere chiamati a delle grandi realtà, a delle grandi opere. Un cristiano non è fatto per il poco, un cristiano è fatto per il molto. Il cristiano non deve diventare uno mediocremente buono, ma il cristiano è chiamato a diventare santo. Il cristiano non è chiamato semplicemente ad essere beneficiario dell’opera della salvezza, è chiamato a farla.

Ecco il significato della nostra Epifania: entrare in quest’opera sempre di più, verificare il nostro cristianesimo perché non sia statico e rinunciatario, verificare il nostro cristianesimo perché diventi sempre di più operante, verificare il nostro cristianesimo perché non stiamo a guardare la stella, ma piuttosto a muoverci sull’indicazione della stella.

Vogliamo perciò passare questa festa dell’Epifania in una duplice preghiera: la preghiera perché con la nostra buona volontà possiamo essere degni della grazia del progresso cristiano, perché il Signore si dà ma vuole la docilità, l’obbedienza, vuole il nostro sì. E la seconda preghiera è perché tutti vengano sempre di più a conoscere il Signore. Quanti milioni di popoli non sanno nemmeno, non sanno che Cristo è la vera vita, è la vera sorgente della felicità! Questi milioni e milioni di anime hanno bisogno di luce, siamo noi consapevoli, siamo noi sensibili che dobbiamo aprire la strada.

La nostra opera cristiana dev’essere così sempre di più umile, ma sempre di più forte, sempre di più responsabile, sempre di più generosa.

OMELIA ORE 8, 30

La meditazione alla quale siamo invitati oggi è ben evidente.

Nella prima Lettura viene descritta la gloria di Gerusalemme, perché Gerusalemme ha in sé Gesù, il Salvatore; è la gloria della Chiesa, la gloria intramontabile della Chiesa, perché solo la Chiesa possiede Gesù e, quando vogliamo Gesù, dobbiamo andare alla Chiesa.

E nella seconda Lettura san Paolo sottolinea da che cosa è formata la Chiesa, non più limitata ad un popolo, estesa a tutti i popoli. La chiamata è universale. Ognuno ha la possibilità di trovare Gesù, purché cammini, purché sia sensibile, purché non si fermi agli ostacoli che non sono mai invalicabili, proprio perché la stella c’è sempre, proprio perché la fede ci guida, proprio perché la fede ci porta a una casa, a quella casa dove c’è Maria, che ci dà Gesù.

“Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia” (Mt 2, 10), la loro anima era totalmente aperta e proprio per questo accolgono la salvezza.

Vorrei che noi riflettessimo molto sulla sostanza della nostra fede: la sostanza è fiducia, è abbandono, è sicurezza, è sentire che Dio ci ama e che tutte le cose, che sembrano dire diverso, e tutte le prove della vita e tutte le nostre intime lotte e tutto quello, che è il travaglio della vita e dell’esistere e del convivere, sono ben superabili, hanno una finalità. Nella provvidenza di Dio tutto è per il nostro bene. Noi ripetiamo che quando un’anima possiede in pienezza la fede, quando un’anima è così abbandonata a Dio è nella sua maturità. E il segno di questa maturità cristiana è una gioia profonda, è la gioia intima del cuore, è dunque la sicurezza che nessuna cosa ci può togliere l’amore di Dio, anzi, che tutto confluisce a rafforzarlo, perché così ci sentiamo del Signore, perché così facciamo con il Signore.

La nostra fede è maturità quando la nostra fede ha superato gli ostacoli, quando la nostra fede sa donare,

ecco qui la festa di oggi che è festa di dono, quando un’anima sente in sé la vocazione dei magi: camminare e offrire non tanto ognuno di noi, quanto tutti insieme, perché la gloria che viene celebrata oggi è la gloria della Chiesa, è la gloria di tutti noi, che insieme possiamo offrire al Signore il sacrificio della lode, come dice la Scrittura, che tutti insieme noi possiamo essere veramente testimonianza a tutto il mondo, perché conosca meglio il Signore, perché lo ami.

Il nostro oro, il nostro incenso, la nostra mirra. Come dobbiamo insistere nel maturare in noi la vera idea di Chiesa, quando in troppi non riflettono abbastanza che la Chiesa non è qualche cosa da stare a guardare, ma che la Chiesa è la comunità dei figli di Dio in cui vivere, in cui esprimersi, quando ognuno di noi è Chiesa, quando ognuno di noi deve dare insieme agli altri il giusto tributo a Dio: l’oro nel nostro amore comunitario, l’incenso nella preghiera delle nostre Liturgie, la mirra nel nostro lavoro e nella nostra sofferenza, nel nostro impegno e nella nostra generosità, dove nell’oro c’è quella carità che è sopra ogni altra virtù, dove nell’incenso accogliamo come comunità Gesù che ci costituisce in lode vera, quando come mirra noi sappiamo soffrire per il regno di Dio, quando sappiamo soffrire con serenità, perché il dolore di tutti dev’essere la salvezza per tutti, quando poi nel nostro oro, nel nostro incenso e nella nostra mirra c’è la nostra azione di Chiesa. La Chiesa non è solo contemplazione, è particolarmente azione, è forza che va, è forza per il mondo.

Ecco, vogliamo perciò oggi rivedere con sempre maggiore intensità la nostra idea comunitaria, la nostra sensibilità comunitaria, la nostra azione comunitaria. Ripeto: il cristiano non è colui che si tira in disparte, il cristiano è colui che dà la mano ai suoi fratelli per realizzare la Gerusalemme viva e vera, quella Gerusalemme che è la città di Dio, quella Gerusalemme terrena che è preludio della Gerusalemme eterna, nella gloria infinita del Signore.

CODICE 76A5O01321N
LUOGO E DATA Sant'Ilario d'Enza, 06/01/1976
OCCASIONE Omelia, Martedì Solennità Epifania del Signore - Messa ore 6,30 e 8,30
DESTINATARIO Comunità parrocchiale
ORIGINE Registrazione
ARGOMENTI Epifania manifestazione e dono
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