Is 60, 1-6; Ef 3, 2-3; 5-6; Mt 2, 1-12
“Prostratisi lo adorarono”. La festa dell’Epifania è in questa adorazione, è in questo riconoscimento.
«Epifania» significa manifestazione. Perché una festa della manifestazione? Perché siamo ben avvertiti che quel bambino è non solo un gran personaggio, non è solo un uomo dal cuore dilatato verso tutti: quel bambino è Dio stesso, quel bambino è Dio che si è fatto uno di noi per salvarci.
Sì, l’infinita Maestà di Dio, il suo potere infinito è lì, ed è la più grande misericordia! Perché riconoscessimo che Dio non è racchiuso, lontano da noi in un impenetrabile mistero, Dio si è svelato a noi, si è donato a noi. Riconoscere la divinità di Gesù è il centro di tutta la nostra fede; tutto parte da lì.
Dice la Scrittura: “Molte volte Iddio ha parlato” (Eb 1, 1); la sua parola è stata portata dai profeti. L’uomo ha potuto sapere delle verità, ma adesso è lo stesso Dio, lo stesso Dio che ha creato i cieli e che regge nelle sue mani l’immenso creato, l’immenso cosmo, è proprio Lui che si è fatto un Bambino e domanda la nostra comprensione, domanda il nostro amore.
Dovremmo cercare con la meditazione di penetrare in profondità, perché troppo spesso queste parole sono risuonate ai nostri orecchi invano e ciò che ci doveva far esultare di gioia, ciò che ci doveva far scoppiare il cuore nell’amore è passato via; come l’acqua sparsa sulla roccia è andata via.
Ecco perché i doni dei Magi rappresentano un invito: riconosci Dio, riconosci il suo amore e non esitare, perché questo riconoscimento domanda tutta la tua vita!
Riconoscere Gesù, presentargli il nostro oro, il nostro incenso, la nostra mirra vuol dire donargli il nostro cuore con tutti i nostri affetti, donargli la nostra vita in tutte le sue forme ed esperienze, vuol dire smetterla di essere cristiani a metà, smetterla perché il dono domanda questo. Troppo spesso ci adagiamo in una forma di Cristianesimo che sappiamo non solo fallosa, ma sappiamo in fondo vigliacca: riconosciamo e non facciamo, professiamo e non tiriamo le conseguenze di questa professione. Questo mistero di amore non attira neanche a sufficienza quella che è la nostra esistenza di tutti i giorni, ma troppe volte un rito, una professione esteriore e basta.
Ecco allora che il cristiano logico non può esitare.
Adorare è riconoscere, adorare è prestare l’ossequio e l’amore che si richiede, così, in ginocchio davanti al Signore, in ginocchio, in ginocchio per noi e in ginocchio per gli altri.
Sentiamo la tristezza profonda che le parole di gloria del profeta Isaia suscitano nel nostro animo: “I tuoi figli verranno da lontano, tutti i popoli ti adoreranno” (Is 60, 4). Sentiamo come questo non si è ancora avverato perché noi siamo neghittosi, siamo fermi, siamo troppo preoccupati di noi e il problema dell’evangelizzazione non ci tocca nemmeno.
“Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra” (responsorio al salmo): dalla nostra adorazione, dalla nostra attuata santità deve nascere la luce che illumina tutti i popoli.
Preghiamo per tutti, ma preghiamo con le parole e con le opere, preghiamo con la bocca e preghiamo con la vita, perché il Regno di Dio venga potente e grande.
Abbiamo compassione dei nostri fratelli che non sanno ancora che Gesù è nato, non sanno ancora quale inestimabile tesoro possiamo radunare da tutti gli atti anche più semplici della nostra vita.
Pensiamo al suo Regno che è Regno di pace, che è Regno di giustizia. Noi vogliamo essere collaboratori, perché la nostra epifania diventi l’epifania di tutti.
CODICE | 82A2O01321N |
LUOGO E DATA | Sant'Ilario d'Enza, 03/01/1982 |
OCCASIONE | Omelia, Solennità dell’Epifania |
DESTINATARIO | Comunità parrocchiale |
ORIGINE | Registrazione |
ARGOMENTI | Epifania: Dio si svela a noi; l’invito dei Magi; adorazione |
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