19/04/1973 - Omelia Giovedi Santo

Sant’Ilario, 19/04/1973
Omelia, Giovedì Santo

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Es 12, 1-8. 11-14; 1 Cor 11, 23-26; Gv 13, 1-15

È con vera commozione che commemoriamo l’Ultima Cena del Signore, con commozione perché noi ricordiamo le sue parole. Era una cena di amore. Il suo amore, secondo l’apostolo san Giovanni, toccava il vertice: “Li amò fino alla fine” (Gv 13,1). Era una cena d’amore, li voleva vicini, voleva comunicare loro i suoi segreti, li voleva partecipi delle sue ansie, delle sue angosce, li voleva soprattutto partecipi della sua vita, del suo sacerdozio, della sua carità. Ecco perché noi questa sera è giusto che ci commoviamo, perché tre sono stati i doni di questa sera: il dono del suo Corpo e del suo Sangue, per il quale chiunque ne mangia ha la vita e sarà resuscitato. L’Eucaristia è il più grande dono perché è la perpetuità del mistero di Gesù tra di noi. Quella sera Gesù ha istituito la Messa e si è dato come cibo. Ha istituito la Messa perché fosse la redenzione perenne e dalla Messa venissero distribuiti tutti i frutti del Calvario. Ha istituito la Comunione perché ognuno di noi non fosse mai debole e solo, ma fosse corroborato meravigliosamente da quel pane e da quel vino.

E il secondo dono legato così strettamente al primo, il dono del sacerdote, il sacerdote che è posto da lui nella Chiesa come segno del suo affetto, della sua presenza. Il sacerdote, uscito così dal Cuore pieno d’amore di Gesù, il sacerdote è un dono alla Chiesa. E il sacerdote, che offre la sua vita, offre il suo tempo, offre tutta la sua attività, non è che il prolungamento di Gesù, non è che Gesù che dona sempre, che dona largamente a tutti gli uomini la sua meravigliosa Parola, la sua grande carità.

E il terzo dono: la carità fraterna. “Da questo conosceranno che siete miei discepoli, se vi amate gli uni gli altri” (Gv 13, 35). In quella Cena ha raccomandato l’unione tra i cristiani, l’unione basata sull’umiltà, la lavanda dei piedi, la carità basata sulla sincerità. Gesù ha aperto il suo cuore come esempio di amore alla sincerità e alla semplicità, una carità soprannaturale, per cui dobbiamo amare come lui ha amato, dobbiamo amare i fratelli vedendo il suo volto, dobbiamo amare nella sublime meta di imitare la Trinità, proprio in questa sera in cui lui ha detto: “Che essi, o Padre, siano una cosa sola come tu ed io siamo una sola cosa” (Gv 17, 21).

Tre doni, tre grazie, tre mirabili cose: guardiamo di accoglierle con l’animo nuovo, con l’animo aperto, con l’animo generoso; guardiamo che questo Giovedì Santo segni per noi una nuova presa di contatto con questi doni, comprendendo di più l’Eucaristia, comprendendo di più il sacerdote, vivendo meglio la nostra carità fraterna.

Il Signore ci unisca a sé in una mirabile sequenza di grazia, ci unisca a sé sapendo che ognuno di noi ha questo profondo desiderio, anche se sente tutto il peso della propria umanità e della propria miseria. Guardiamo da stasera di fare meglio le nostre Comunioni, di entrare meglio nelle nostre Messe, di sentirci in modo migliore Chiesa che opera e Chiesa che spera. E sentiamo che nella nostra carità comunitaria c’è il cuore aperto a tutti, c’è il cuore che desidera comunicare con tutti per la gloria di Dio, per quella gloria che Gesù ha desiderato e che Gesù ha voluto e per questo ha offerto tutta la sua vita.

CODICE 73DIO0135XN
LUOGO E DATA Sant’Ilario, 19/04/1973
OCCASIONE Omelia, Giovedì Santo
DESTINATARIO Comunità Parrocchiale
ORIGINE Eucaristia, Sacerdozio, carità fraterna
ARGOMENTI Eucaristia, Sacerdozio, carità fraterna
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  • “È evidente come Don Pietro abbia vissuto il suo sacerdozio
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