26/05/1977 - Omelia Giovedi VII Pasqua Nov Pent 7

Sant’Ilario 26/05/1977
Omelia,, Giovedì VII settimana Tempo Pasqua, Novena Pentecoste - VII giorno

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At 22,30; 23, 6-11; Gv 17, 20-26

L’ideale è altissimo, il Signore ci vuol portare nel seno stesso della Trinità, “perché anch’essi in noi siano una cosa sola” (Gv 17, 21). Dalla nostra miseria umana, dai nostri peccati, essere portati su, su, fino alle altezze più vertiginose. Avere nella Trinità, insieme al Figlio, la ricchezza dell’infinito amore.

Grande è la meta, molti gli ostacoli, moltissimi! La nostra miseria stessa e tutte le tentazioni che ci circondano, che ci opprimono, tutte le tentazioni che ogni giorno cambiano e ogni giorno sono simili, che ogni giorno cercano di disputare il nostro cuore.

Ecco quanto è necessario per noi il colmo della Fortezza! Dobbiamo essere molto forti. È con il suo dono, la Fortezza, che lo Spirito Santo quasi istintivamente, di un istinto soprannaturale, ci fa sopportare tutte le avversità, ci fa vincere tutti gli ostacoli, ci fa costruire le vere virtù, ci rende simili a Cristo, perché solo così potremo raggiungere la salvezza e poi la santità, ed essere simili a Gesù Cristo, avere i tratti essenziali della sua fisionomia.

Abbiamo bisogno di Fortezza, e la Fortezza lo Spirito Santo la comunica mirabilmente, la comunica facendoci apparire la bellezza del nostro ideale, sorreggendoci in mezzo a tutte le prove, a tutti gli avvilimenti, a tutte le perplessità. Ci muove e ci conforta, ci dà gioia.

Veramente lo Spirito Santo è quello che ha fatto trionfare i martiri: debolissimi naturalmente, bambini alle volte, hanno superato i più crudeli e lunghi tormenti.

E lo Spirito Santo, che è anima della Chiesa, dà alla Sposa di Cristo il coraggio di fronte a tutti gli errori, il coraggio di fronte a tutte le persecuzioni.

È lo Spirito Santo che è vicino ad ogni anima, perché, lo vediamo bene nella vita dei santi, sarebbe impossibile anche solo un passo senza di lui. I santi, che sono diventati tali attraverso l’esercizio dell’amore, della carità, del rinnegamento di se stessi, hanno incontrato una forma di martirio alle volte anche superiore a certe forme di martirio di sangue.

Ecco perché, se è l’anima della Chiesa, dev’essere ancora l’anima della nostra anima; deve essere lui che ci introduce nello spirito della beatitudine: “Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché verranno saziati” (Mt 5, 6).

È lui che suscita in noi la sete, è lui che ci dà modo di superarla, è lui che pone in noi la fame ed è lui che ci sazia.

È lui! A lui dobbiamo dunque preparare il cuore, perché possa agire. Nessuno diventa virtuoso con le proprie forze. Quante volte lo ripetiamo: non riesco, non ce la faccio! La bontà, la perfezione cristiana non è per me. Se tu calcoli le tue forze dici una grande verità, ma se calcoli le forze che ti comunica lo Spirito tu non puoi dire così, perché lo Spirito Santo sa edificare con niente, sa edificare con la stessa debolezza.

Quindi poniamo il nostro cuore in un’invocazione fervida perché, come ha fatto il giorno della Pentecoste, come ha continuato a fare nella Chiesa, ci renda intrepidi e forti nel testimoniare di fronte a tutti la nostra fede, nell' essere molto coraggiosi e nel saper vincere le nostre battaglie interiori e le nostre posizioni di cristiani di fronte al mondo.

CODICE 77ERN01366N
LUOGO E DATA Sant’Ilario 26/05/1977
OCCASIONE Omelia,, Giovedì VII settimana Tempo Pasqua, Novena Pentecoste - VII giorno
DESTINATARIO Parrocchia
ORIGINE Registrazione
ARGOMENTI Fortezza, Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia
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