Rm 6, 19-23; Lc 12, 49-53
Dobbiamo chiedere al povero cieco una partecipazione alla sua fede, quella fede che gli ridiede la vista, perché il problema è sempre quello: vedere e vedere in ogni circostanza, vedere in tutte le prove, vedere Dio, la sua bontà, la sua Provvidenza.
Molto spesso l’uomo s’accartoccia in se stesso e si chiude nei suoi pensieri e nelle sue delusioni, l’uomo s’accartoccia e perde pace, perde serenità e la speranza va lontana da lui.
Dobbiamo pensare sempre proprio così: Dio è amore, ci ha mandato Gesù come la grande prova dell’amore. Possedendo Gesù possediamo tutto, abbiamo tutto.
Quando noi ci riuniamo nella Messa e celebriamo l’Eucarestia non celebriamo solo un mistero di fede, noi celebriamo un mistero di amore e di speranza; possedendo Gesù possediamo già il Paradiso, possedendo Gesù possediamo quanto il Padre ha stabilito per noi. Se Dio ci ama tanto da darci suo Figlio, ci darà anche tutto il resto, se ci ama tanto da darci suo Figlio così nella nostra assemblea è perché ama la Chiesa, è perché nella Chiesa ha riposto le sue compiacenze.
La nostra fede allora nel possedere Gesù si deve estendere alla gioia di essere nella Chiesa, alla gioia di pulsare col cuore della Chiesa. La Chiesa è il prolungamento di Cristo è il suo Corpo mistico.
L’interrogativo che ci dobbiamo fare è però molto evidente: noi troppe volte siamo degli abituati e dei sonnolenti, siamo delle anime che hanno sperimentato le finezze della grazia e non ne ricevono più alcuna impressione. E’ tanto facile l’abitudine alle cose sacre e sublimi, abbiamo questo strano potere di abituarci e di tirar via, tirar via con indifferenza, quasi con noncuranza.
Dobbiamo scuotere allora la nostra fede e far vibrare la nostra sensibilità. Dobbiamo essere più energici, più forti, più impegnati, più generosi, proprio perché dipende da noi la realtà del profitto di questo incontro misterioso tra noi e Dio in Cristo Gesù.
Proponiamoci perciò una vivacità di vita, una vivacità di preghiera, una grande generosità di amore, proponiamoci di essere più attivi, più pronti, più forti.
Noi giorni che verranno, i giorni dei santi e dei morti, siano giorni che ci portino un nuovo fervore e un nuovo amore per le cose celesti. Guardiamo al cielo, tendiamo al cielo, sospiriamo al cielo perché il cielo è la vera nostra patria.
CODICE | 85LSO0133TN |
LUOGO E DATA | Sant’Ilario d’Enza, 24/10/1985 |
OCCASIONE | Omelia, Giovedì XXIX settimana Tempo Ordinario |
DESTINATARIO | Comunità parrocchiale |
ORIGINE | |
ARGOMENTI |
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