30/10/1986 - Omelia Giovedi XXX Ord

Ef 6,10-20; Lc 13,31-35.

Dice il Signore che il castigo di Gerusalemme sarà il deserto, sarà ridotta a un deserto. Minaccia terribile. È una minaccia che dobbiamo temere anche per noi perché se abbandoniamo il Signore la nostra anima diventa un deserto di rovine. Se non corrispondiamo alla sua tenerezza, al suo amore, niente di buono può fiorire, nessuna costruzione può essere innalzata solida. Lo temiamo per noi, dobbiamo temerlo per la nostra società. Sembra proprio che nella nostra società avanzi il deserto. Famiglie deserte, povere d’amore, divise. Non c’è amore per il prossimo. Si è estranei gli uni con gli altri. Non è forse un deserto? Non è forse un deserto che tutte le cose buone appassiscono, che anche gli affetti più forti e più vivaci vengono ridotti a niente? Una desolazione!

Questo ci deve stimolare a corrispondere sempre alla grazia del Signore, ad amare la sua grazia, a dir di sì alla sua voce, a essere completamente disposti alle sue domande. Sono domande di sapienza e di amore, sono domande di misericordia e di vera completa comprensione. Oh, dir di «sì» al Signore non si sbaglia mai! Dir di «sì» al Signore deve essere la nostra gloria, deve essere la sorgente della nostra fortezza. Dir di «sì» al Signore per tutto quello che Lui nel suo piano ha disposto, per tutto quello che nella vita egli indirizza.

Ripetiamo al Signore la nostra sicura e buona volontà di vivergli vicino: “Mio rifugio e mia liberazione, mio scudo in cui confido” (Salmo responsoriale 143,2). Ecco la risposta poi: “Ti canterò un canto nuovo” (ib. 143,9). «Cantare un canto» vuol dire sentire le cose con entusiasmo, sentire le cose con vivacità per fare sempre le cose più belle, più grandi, più valide. È questa la promessa che vogliamo fare al Signore per non meritare i castighi di Gerusalemme.