Is 63, 16-17. 19; 64, 1-7;1 Cor 1, 3-9; Mc 13, 33-37
Cominciamo l’anno liturgico con questo fondamentale atto di umiltà nel riconoscere i nostri peccati, le nostre manchevolezze, ciò che non abbiamo saputo fare, ciò che non abbiamo saputo indirizzare perché, adoperiamo la parola dell’apostolo, “Fratelli, è già ora che noi ci scuotiamo dal sonno, perché è più vicina a noi la salvezza di quanto noi non pensiamo” (cfr. Rm 13, 11). Se alle prime comunità cristiane, pur così fervorose, l’apostolo diceva: “E’ ora di scuotersi dal sonno”, quanto maggiormente dobbiamo riconoscere noi di non avere operato, di non avere sperato come dovevamo sperare.
Tutta la Liturgia di oggi è in questo senso: scuoterci, porci in una situazione di vigilanza, di vigilanza continua, di vigilanza perché non sciupiamo il dono che Dio ci dà. L’Avvento ci mette nella stessa situazione spirituale che avevano i santi nell’Antico Testamento: l’attesa del Signore, l’attesa della sua salvezza, la disponibilità a collaborare, a impegnarci con fortezza, con continuità, con gioia.
La prima Lettura molto bella, molto significativa ci fa riflettere sulla nostra condizione di peccatori: “Noi tutti siamo seccati”, dice il profeta, “come delle foglie e le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento” (cfr. Is 64, 5). Constatazione della nostra miseria, constatazione della nostra povertà spirituale, constatazione che non ci deve portare all’avvilimento, ma ad un maggior realismo di confidenza, poiché “Signore, tu sei nostro Padre. Noi siamo argilla e tu colui che ci dà forma”. Di fronte alla constatazione di essere peccatori, noi sentiamo come non viene da noi la giustizia, non viene da noi il bene, ma viene da Dio. “Noi siamo diventati tutti come una cosa impura” (cfr. Is 64, 5), ma è lui il salvatore, è lui colui che si china su di noi, si fa uno di noi e ci salva.
E nella seconda Lettura san Paolo ringrazia Dio per tutto il bene che si è operato nella comunità dei Corinzi, perché la testimonianza di Cristo si era stabilita tra di loro così saldamente, che nessun dono di grazia mancava. E qui è il senso nostro di responsabilità in confronto alla Chiesa. È la seconda constatazione: siamo peccatori verso Dio, ma siamo peccatori anche verso la Chiesa, verso la comunità dei fratelli, poiché non abbiamo fatto sufficientemente, poiché non abbiamo dato il dono che Dio ci aveva incaricato di comunicare. L’apostolo sottolineava come ognuno ha il suo compito e, se manca questo compito, manca la completezza. “Fedele è Dio”, soggiunge l’apostolo, “dal quale siete stati chiamati alla comunione del Figlio suo Gesù Cristo” (1 Cor 1, 9). Ecco, anche come comunità dobbiamo scoprire le nostre manchevolezze, anche come comunità dobbiamo rivedere la nostra vita, dobbiamo ricominciare di nuovo, per essere “irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo” (ib. 8). Il nostro senso di conversione deve prenderci anche come comunità. Se ognuno di noi deve dire in questo tempo di Avvento: “Sono da convertire”, anche noi come comunità dobbiamo dire: “Siamo da convertire”. Abbiamo bisogno di riflettere in umiltà, in preghiera, in carità fraterna, per trovare le cose che dobbiamo migliorare, le cose che la volontà di Dio richiede per noi. Ecco allora questo tempo d'Avvento segnato così nella sua misericordia, nell’aspettativa della sua salvezza; questa vigilanza che è continua conquista, che è continua generosità, per cui non possiamo mai dire: abbiamo fatto, ma tutti i giorni dobbiamo dire: ricomincio, Signore, ricomincio. L’anno nuovo liturgico sottolinea questa parola: ricominciare. E ognuno di noi guardi che cosa può particolarmente ricominciare e che cosa può dare di più a nostro Signore.
CODICE | 72N2O01310N |
LUOGO E DATA | Sant'Ilario d'Enza, 03/12/1972 |
OCCASIONE | Omelia, I Domenica Tempo Avvento - Anno B - Messa ore 8,30 |
DESTINATARIO | Comunità parrocchiale |
ORIGINE | Avvento, attesa e conversione individuale e comunitaria |
ARGOMENTI | Avvento, attesa e conversione individuale e comunitaria |
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