05/12/1971 - Omelia II Domenica Avv

Sant’Ilario d’Enza, 05/12/71
Omelia, II Domenica Avvento - Anno A

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Is 11, 1-10;Rm 15, 4-9; Mt 3, 1-12

Due grandi figure si erigono davanti a noi e ci ammoniscono perché facciamo penitenza: la figura del profeta Isaia e la figura di Giovanni Battista.

Giovanni Battista si erige davanti a noi nella semplicità e nella forza della sua vita. Predicava penitenza perché faceva penitenza, predicava conversione perché era convertito. Non indicava una strada che lui non aveva percorso, la stava percorrendo a passi da gigante.

Dal testo evangelico sappiamo che, fin dalla sua adolescenza, si era ritirato nella solitudine e lì nella preghiera e lì nell’austerità aveva maturato la sua grandezza. E continuerà a percorrerla questa strada di penitenza fin quando là, nel sotterraneo del palazzo di Erode Antipa, consumerà il suo olocausto e s’immolerà, testimone della verità e della purezza.

Vorrei che questo tempo d’Avvento fosse per noi l'occasione di rivedere questa parola “penitenza”, perché molto spesso manca a noi una reale conversione, manca a noi un vero slancio spirituale, manca a noi la freschezza della devozione e dell’amore a Dio, perché non facciamo penitenza.

La penitenza resta fuori dalla nostra vita, perché cerchiamo in tutte le maniere di fare quello che è comodo, perché cerchiamo in tutte le maniere di badare a noi stessi e di non badare agli altri, di scansarci dalle responsabilità, perché molto spesso costruiamo un cristianesimo fatto di espressioni varie e di espressioni che non sono vissute, di espressioni vaghe, perché la verità la consideriamo così in astratto e a quella luce critichiamo gli altri ma non critichiamo noi stessi, di parole solo, perché i fatti ci pesano e il nostro dovere è fatto solo come una necessità, senza amore.

Che cosa vuol dire fare penitenza, se non mettere nella nostra vita il vero amore a Dio e il vero amore al prossimo? Che cosa vuol dire fare penitenza, se non vincere il nostro egoismo, questa perenne urgenza dell’egoismo, che in tante forme cerca di soffocare in noi la Parola di Dio? Che cosa vuol dire fare penitenza, se non mortificare la nostra sensualità ed essere sempre vigilanti e pronti per ogni opera buona? Che cosa vuol dire fare penitenza, se non dimenticare un po’ di più noi stessi, per pensare un po’ di più al regno di Dio e alle esigenze del regno di Dio?

La parola di Giovanni Battista illumina perché ci richiama al giudizio di Dio, quel giudizio che Gesù stesso ha portato e che Giovanni dice “fuoco”, è il fuoco che prova, il giudizio di Dio che stabilirà un giorno chi è stato grano e chi è stato paglia. Quanta paglia, anche dove sembrava tanto grano!

Esaminiamo davanti a Dio la nostra preghiera. Esaminiamo davanti a Dio le opere che noi diciamo buone. Esaminiamo davanti a Dio quanta parte di anima per il bene e la testimonianza, e vedremo quanto resta da scartare: il ventilabro dello Spirito Santo, che discerne ciò che è caduco da ciò che è duraturo. Raccogliamo perciò quest’invito fervido e pieno alla penitenza e guardiamo come possiamo vivere quest’Avvento con forza, con generosità, con umiltà e un impegno rinnovato di bene: le opere buone, le opere di ogni giorno, le opere di bontà e di generosità, la nostra presenza per la purificazione dei nostri peccati, perché possa anche per noi il regno di Dio essere vicino.

CODICE 71N4O01311N
LUOGO E DATA Sant’Ilario d’Enza, 05/12/71
OCCASIONE Omelia, II Domenica Avvento - Anno A
DESTINATARIO Comunità parrocchiale
ORIGINE Penitenza
ARGOMENTI Penitenza
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