Sir 24, 1-4. 8-12; Ef 1, 3-6. 15-18; Gv 1, 1-18
La Liturgia ci propone una rilettura di questa pagina meravigliosa del Vangelo di Giovanni, pagina che abbiamo già letto per Natale. Lo scopo di quest’invito a una rilettura è ben evidente: noi dobbiamo riflettere con profondità come il Natale non è solo un fatto storico, chiuso in una determinata epoca; il Natale è una continuità, perché il Natale è la Parola del Padre, come dice la prima Lettura: “Uscito dalla bocca del Padre, è uscito per noi” (*Sir 24, 3). E’ la Parola che Dio ci ha detto, è la Parola che vuole dire agli uomini, la sua Parola a tutte le generazioni, anche alla nostra. C’è la sua Parola. E qui consiste il Natale, nel saper accogliere questa Parola, nel saperla tradurre nella nostra vita. Una Parola di Dio non è solo una forza che esce da Dio, la Parola di Dio è il Figlio unigenito di Dio, è una comunicazione piena che Dio fa all’umanità. Egli ci ha parlato per mezzo del suo Figlio e tutta la vita sta qui: coloro che accolgono la Parola, che l’accolgono nella loro mente, che l’accolgono perciò uniformando i loro pensieri, che l’accolgono nel cuore uniformando così i loro affetti, l’accolgono nella vita concreta di ogni giorno, perché la pienezza dell’amore sta nelle opere. Accogliere così il Verbo di Dio, perché è la stessa Verità. La legge ci è venuta per mezzo di Mosè, ma la verità e la grazia ci sono venute unicamente per mezzo di Gesù Cristo. Anche adesso la Verità è Gesù Cristo, l’Amore è Gesù Cristo, anche adesso, come per sempre, chi accoglie Gesù Cristo lo fa sua vita: “Per me il vivere è Cristo” (Fil 1, 21). E c’è tutto il destino del tempo e dell’eternità. Ben ci ricorda san Paolo nella seconda Lettura che fin dall’eternità questo era il disegno del Padre, quello che noi fossimo, in Cristo, ricchi di ogni benedizione spirituale, che “in Cristo noi fossimo predestinati ad essere santi ed immacolati, cioè suoi figli adottivi” (Ef 1, 4). Ecco la ragione profonda: vivere la nostra figliolanza di adozione, vivere in conformità a Gesù Cristo, come lui pregare, come lui essere pieni di amore verso il prossimo, come lui cercare e volere la giustizia, come lui non accontentarci di suoni e non accontentarci di gesti, ma tradurre la nostra fede nella nostra vita, riempirci così, a lode e gloria della sua grazia, di quello che lui ci ha dato, di quello che noi dobbiamo tradurre.
E’ allora un’idea potente, quello che abbiamo è grandissimo, perché non è nostro, quello che ci è stato dato viene da Dio: da Dio la verità, da Dio l’amore, da Dio la vita. Ecco, questo è il nostro tesoro, questo è il tesoro che non dobbiamo mai diminuire o in qualche modo ignorare, questa è la nostra suprema grazia: essere conformi al Figlio suo.
Perciò uniamoci a San Paolo che dice: “Rendo grazie” (Rm 1, 8), sì, un ringraziamento profondo. E poi, ricchi di questo sentimento, passare decisamente a una vita fervida, lasciando ogni mediocrità e ogni illusione, ogni atteggiamento passivo. Un cristiano è ricco di Dio, cosa non può dare agli altri? Tante volte noi non diamo agli altri perché non abbiamo, perché non abbiamo saputo avere, perché il tesoro è passato vicino a noi. Siamo simili agli alberi che sono vicini ad un fiume ma, divisi da un muro di cemento, muoiono di sete vicino alla ricchezza d’acqua. Poveri noi, se dovesse essere questa la nostra condizione! Dio ci ha fatti ricchi per rendere ricco il mondo, Dio ci ha donato perché siamo missionari: questo è il nostro impegno da tradurre concretamente giorno per giorno, ora per ora.
CODICE | 77A1O01311N |
LUOGO E DATA | Sant'Ilario d'Enza, 02/01/1977 |
OCCASIONE | Omelia, II Domenica dopo Natale |
DESTINATARIO | Comunità Parrocchiale |
ORIGINE | Registrazione |
ARGOMENTI | Portare Cristo |
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