Sof 3, 14-18; Fil 4, 4-7; Lc 3, 10-18
La Liturgia odierna ci è data in modo speciale per scoprire il valore e le proporzioni della gioia cristiana. Quando si parla del Natale, si parla insistentemente di gioia. Oggi la Liturgia ci insegna quale gioia noi dobbiamo attuare, quale gioia dobbiamo chiedere come dono al Signore che viene. Intanto non dobbiamo confondere la gioia con il buon umore, la gioia con quel senso diffuso di ottimismo che alcuni hanno per temperamento, tanto meno dobbiamo confondere la gioia con la superficialità. Gioia non è non avere problemi, non avere difficoltà, è sapersi mettere in posto giusto di fronte ai problemi e alle difficoltà; è l’angolo visuale che interessa. La gioia cristiana è un frutto di collaborazione: dobbiamo mettere alcune cose noi e porci in condizioni di avere le altre dal Signore. Allora la gioia cristiana nasce prima di tutto da una convinzione, la convinzione che il Signore è vicino: “Esulta, figlia di Sion, perché il Signore Dio tuo è vicino a te” (cfr. Sof 3, 14-18). La convinzione è dunque il sapere che il nostro Dio è amore, che il nostro Dio è bontà che si effonde, è misericordia che non cessa, è comprensione che va oltre tutti i limiti; per questo Dio si chiama “il Dio della gioia”. Non è il Dio come troppe volte gli uomini nella storia del loro pensiero si sono raffigurati: un Dio eccelso, lontano, freddo. Dio è amore, Dio ama tutti e ama in modo particolare i peccatori, perché sono i suoi figli ammalati e una mamma vuol più bene all’ammalato, perché lo sa bisognoso di più cure! Il nostro Dio è il Dio, dunque, che è presente, che è vicino, tanto vicino che ha voluto essere uno di noi. Ecco che cosa ci presenta il Natale: Dio in mezzo a noi, Dio fatto uno di noi nel dolore, nella povertà, nell’abbandono; Dio fatto uno di noi che si è caricato dei nostri peccati! La santità stessa di Dio si è fatta peccato (cfr. 2 Cor 5, 21), dice l’apostolo san Paolo, s’è fatto peccato per noi “L’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo” (Gv 1, 29): è l’indicazione precisa di Giovanni Battista. Ed allora, la gioia cristiana sente profondamente questo avvenimento e desidera esserne partecipe. Ecco che se il profeta Sofonia diceva: ”Gioisci, esulta, rallegrati”, san Paolo precisa il pensiero e dice: “La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini” (Fil 4, 5). Ecco la gioia che non è tanto avere, quanto donare, la gioia che si trasforma in diffusione di amore, in diffusione di bontà, in un moltiplicarsi della nostra bontà, proprio perché la riceviamo da Dio, proprio perché ci è comunicata da Dio. Ed è allora così l’esortazione di Giovanni Battista che abbiamo letto nel Vangelo, diceva: “Dare!”. “Cosa dobbiamo fare?” “Dare!”. “Siate modesti, accontentatevi perché deve venire lui, che battezza in Spirito Santo e fuoco” (cfr. Lc 3, 10-18). Ed ecco che la gioia, raccolta così, diventa la pace e la pace è frutto dello Spirito Santo, la pace vera, profonda, grande. E soggiunge san Paolo: “Sorpassa ogni intelligenza” (Fil 4, 7), proprio come tutti i doni di Dio; sorpassa ogni intelligenza, perché è comunicazione ineffabile dell’amore di Dio, è Dio che prende abitazione in noi e ci fa un'unica cosa con lui. Poniamoci allora in questa settimana, che precede il Natale, in questa precisa posizione: la nostra purificazione tende alla gioia. La gioia consiste nella percezione precisa che con Dio abbiamo l’amore e nell’amore e nella provvidenza di Dio tutto si risolve e, avendo Dio uno di noi, la sua pace veramente prenderà possesso della nostra anima, se noi sapremo essere così pronti, così sensibili, così umili, così efficaci nella nostra povera ma insostituibile collaborazione.
CODICE | 73NFO01312N |
LUOGO E DATA | Sant'Ilario d'Enza, 16/12/1973 |
OCCASIONE | Omelia, III Domenica Tempo Ordinario - Anno C |
DESTINATARIO | Comunità parrocchiale |
ORIGINE | Gioia |
ARGOMENTI | Gioia |
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