03/02/1974 - Omelia IV Domenica Ord ore 6.30 e 8.15

Sant'Ilario d'Enza, 03/02/1974
Omelia, IV Domenica Tempo Ordinario - Anno C - Messa ore 6, 30 e 8, 30

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Ger 1, 4-5. 17-19; 1 Cor 12, 31- 13, 13; Lc 4, 21-30

MESSA ORE 6, 30

A Nazareth erano, avete udito, pieni di pretese, le pretese perché erano compaesani di Gesù, pensavano che Gesù avrebbe dovuto far tante cose in mezzo a loro; udivano invece che le faceva lontano, ad altri, se ne stupivano e se ne indignavano. E Gesù sottolinea e lo sottolinea con forza, tanto che i nazaretani si esasperano e arrivano persino a tentare di ucciderlo.

Ma Gesù sottolineava come era necessaria la fede, che uno non vale per quello che si trova ad essere, ma per quello che uno vuole essere. Non basta essere compaesani di Gesù per entrare nel regno di Dio: bisogna avere la fede e avere la carità, l’amore di Dio. Non sono le nostre opere esteriori ed è giustamente la considerazione che noi dobbiamo fare, non sono le opere esteriori quelle che ci salvano, ma ciò che noi maturiamo nel nostro animo, la nostra viva fede interiore, il nostro amore a Dio e al prossimo.

Noi siamo salvi per la fede, se la fede si traduce nell’amore, si traduce nelle opere buone.

Noi siamo salvi nella fede se, non solo facciamo degli atti di devozione, non solo veniamo a Messa alla domenica, ma realizziamo con la nostra Messa della domenica una settimana piena di cose buone, perché la nostra Messa della domenica non può essere un atto isolato. È lodevole, è ricco se noi sappiamo trarre i frutti necessari, se noi dalla nostra Messa domenicale possiamo veramente entrare in una comunione con Gesù, che prosegua tutta la settimana, che prosegua nel lavoro, che prosegua nel dovere di ogni giorno, che prosegua nelle nostre relazioni. Questo è ciò che piace al Signore, questo è ciò che costituisce veramente l’atto della nostra vera redenzione. E’ qui.

Ed è allora in questo senso che dobbiamo prendere in considerazione la nostra Messa. Venire a Messa non è venire a vedere qualche cosa, non è venire per dire su qualche preghiera. Cos’è venire a Messa? È realizzare insieme con Gesù una grande cosa: la grande cosa è partecipare al sacrificio di Cristo, con lui dare gloria al Padre, con lui domandare le grazie, le grazie della remissione dei peccati, la grazia di essere generosi, la grazia per tutti gli uomini.

Vivere la Messa è entrare perciò in una grande storia, nello svolgimento di una grande storia, quella che noi chiamiamo “la storia della salvezza”, perché la redenzione del Signore non è stata qualche cosa che è chiusa in un periodo lontano. La salvezza del Signore si sta attuando e si attua particolarmente nella Messa.

Partecipare alla Messa è entrare profondamente nella linea provvidenziale di Dio, è dare anche noi un contributo alla salvezza.

Ecco perché diciamo che alla Messa dobbiamo portare il nostro vero contributo; alla Messa noi dobbiamo portare tutta la nostra settimana e dalla Messa deve partire tutta quell’altra. Cioè, noi nella Messa veniamo ad essere una sola cosa con Gesù e con Gesù ci offriamo, e con Gesù adoriamo, amiamo, ringraziamo, domandiamo perdono, invochiamo le grazie per noi, per la nostra parrocchia, per tutta la nostra Chiesa, per tutto il mondo.

Nella nostra Messa veniamo ad essere attori di salvezza, nella nostra Messa veniamo ad essere artefici di qualche cosa di estremamente grande, perché Gesù ci prende con sé, perché Gesù ci dona la grazia di partecipare.

Ecco allora che valorizzeremo la nostra Messa, la valorizzeremo per vivere di fede e per vivere d’amore, la valorizzeremo perché la nostra settimana sia santa e nello stesso tempo, che è ringraziamento, sia preparazione a quell’altra Messa, sia veramente qualche cosa di molto costruttivo, perché le nostre mani la prossima domenica siano piene, piene di quelle opere buone che, unite al sacrificio di Gesù, contribuiscano alla salvezza di tutto il mondo.

MESSA ORE 8, 30

Il testo del Vangelo che abbiamo letto è all’inizio della vita pubblica di Gesù, ma contiene già tutto quello che verrà; lo contiene tutto perché Gesù è rifiutato, non è voluto. Così sarà per tutta la sua missione: il suo popolo non lo accoglierà, gli uomini non gli vorranno credere, gli daranno la croce. È il Mistero Pasquale che è già indicato fin da questi primi momenti. Il rifiuto dei suoi compaesani è il rifiuto tipico, il rifiuto degli uomini che vorrebbero le azioni di Dio secondo il loro modo, secondo il loro pensiero, secondo la loro prospettiva. Non riescono a capire che Dio ha delle altre strade, che Dio ha un’altra visione e che noi dobbiamo adorare in ginocchio la sua volontà.

“Sia fatta la tua volontà”: è l’insegnamento fondamentale di Gesù. Gli abitanti di Nazareth perché rifiutano Gesù? Lo rifiutano perché vorrebbero che lui diventasse una gloria paesana, vorrebbero che Gesù fosse per loro un titolo di vanto, che per il fatto che lui era cresciuto a Nazaret loro potessero avere dei privilegi, sopratutto dei privilegi di comodo. Gli dicono infatti: “Hai fatto tanti miracoli fuori dal tuo paese, perché non ne fai qui?”. Non era la ricerca della gloria di Dio, non l’ansia del bene, era il loro tornaconto, volevano per loro, confondevano il regno di Dio con i loro interessi, con le loro voglie, con le loro aspirazioni. Ecco perché il Signore risponde in una maniera forte, in una maniera così vigorosa che i nazaretani non resisteranno: “Pieni di sdegno si levarono, lo cacciarono, tentarono perfino di ucciderlo” (cfr. Lc 4, 28). Gesù risponde, sottolineando il piano di Dio che è piano di amore, è piano universale di grazie; per questo ricorda due profeti: Elia ed Eliseo, che avevano superato la prospettiva angusta del nazionalismo giudaico e avevano insegnato come tutti gli uomini sono chiamati alla salvezza, come tutti gli uomini sono capaci di credere e di amare, e che Dio non fa preferenza di persona.

Ecco perché noi, che abbiamo ricevuto la vocazione di cristiani, noi che abbiamo ricevuto il dono del Battesimo, il dono di essere nel cuore della Chiesa, così, fin dalla nostra nascita, dobbiamo stare bene attenti: non è una vocazione di privilegio, è una vocazione di servizio, così come la vocazione del profeta Geremia. Il profeta è stato chiamato per essere il portatore, non ha altra ambizione, non ha altra gloria. È stato scelto in una mirabile carità: “Prima di formarti ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce ti avevo consacrato” (Ger 1, 4).

Ogni cristiano è stato così, ma ogni cristiano deve sentire la forza stessa che ha mosso il profeta: la gloria di Dio, il bene delle anime, il servizio alla verità e alla carità. Ecco perché leggiamo nella seconda Lettura che sono inutili le opere, che sono inutili tutte le forme, se nel cuore stesso non c’è la carità, non c’è l’amore, ma non il nostro amore, non la nostra invenzione di carità, non le nostre costruzioni di carità, ma una partecipazione della carità stessa di Dio, secondo quanto dice lo stesso apostolo: “Ecco che la carità di Cristo è diffusa nei nostri cuori per l’abitazione dello Spirito Santo” (Rm 5, 5).

E’ dunque questa trasformazione interiore, questa profonda rinnovazione dell’anima, quella che noi dobbiamo considerare come il valore massimo, per il quale noi possiamo espletare la nostra vocazione e porci nel servizio di fede, cui Gesù ci chiama.

La carità, cioè accogliere Dio dentro di noi, sentire come lui ci suggerisce di sentire; accogliere la grazia e l’amore di Dio dovunque si manifesta, dovunque. Si manifesta in tutto il mondo, si manifesta nelle cose, si manifesta anche negli uomini che apparentemente sembrano molto lontani. Stare attenti a vedere tutte le opere di Dio e rinnovarci in una sempre maggiore capacità, la capacità di capire, la capacità di amare.

E in concreto e nel pratico, ecco, realizzare così. Il Signore vuole da noi una fede che si rinnova, una fede allora non statica, non ferma su alcuni punti, ma una fede che è accoglimento di Dio sempre con una rinnovata trepidazione di amore. Il Signore vuole da noi che ogni giorno nella preghiera, particolarmente nella Messa, gli domandiamo: “Cosa vuoi che io faccia?” e sempre scoprire in tutte le azioni della nostra giornata quello che il Signore vi ha messo, quello che il Signore domanda a noi nella sua meravigliosa bontà. “Cosa vuoi che io faccia?” Tutti i giorni una scoperta nuova per un servizio più grande, per un dono più completo, perché ognuno di noi sia di Dio e del prossimo nella misura stessa che ci è domandata, che ci è richiesta, così, come il Signore lo ha detto quando ha sottolineato: “Cercate il regno di Dio e la sua giustizia” (cfr. Mt 7, 33). Cercate.

Ecco, è nella ricerca la vera disponibilità di noi cristiani.

CODICE 74B2O01333N
LUOGO E DATA Sant'Ilario d'Enza, 03/02/1974
OCCASIONE Omelia, IV Domenica Tempo Ordinario - Anno C - Messa ore 6, 30 e 8, 30
DESTINATARIO Comunità parrocchiale
ORIGINE Registrazione
ARGOMENTI La fede
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