01/05/1977 - Omelia IV Domenica Pasqua

Sant'Ilario d'Enza, 01/05/1977
Omelia, IV Domenica Tempo Pasqua – Anno C

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At 13, 14. 43-52; Ap 7, 9. 14-17; Gv 10, 27-30

“Noi siamo il suo popolo, il gregge che egli pasce” (Sal 95,7).

Il primo sentimento è un sentimento di profonda gioia: siamo suoi e siamo suoi nel senso più totale, siamo suoi e nessuno ci può rapire dalla sua mano. Siamo suoi e lo vogliamo essere. Non è che alcuni siano suoi e altri non siano suoi per una predestinazione, siamo suoi perché lo vogliamo essere, tutti quelli che lo vogliano essere, lo sono.

Senso di gioia e senso di sicurezza, senso di pace. Ne abbiamo bisogno del senso della sicurezza, ne abbiamo bisogno, bersagliati dalle tentazioni e inquieti in mezzo a tante forze, abbiamo bisogno di sentire che lui è in mezzo a noi, che noi siamo suoi.

Sta al nostro atteggiamento, perché essere suoi, avere la pace non ci deve portare alla passività; quando si dice “spirito di gregge”, lo si intende proprio in questo senso, in un senso di persone rassegnate e passive. La visione che ci dà san Giovanni nella seconda Lettura è molto indicativa. Gesù è raffigurato come l’agnello immolato, è l’agnello che guida il suo gregge, ma è un agnello nel trionfo, un trionfo che si è conquistato, si è conquistato con la sua umiliazione e con il suo sangue. Il suo potere è servizio, la sua ricchezza non consiste tanto in quello che ha, quanto in quello che dona. E continua Giovanni, presentandoci la visione, che “quelli che sono con lui, che partecipano al suo trionfo, sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti, rendendole candide con il sangue dell’agnello” (Ap 7, 14).

Ecco, per partecipare al trionfo bisogna partecipare alla lotta, bisogna partecipare alle sofferenze, bisogna partecipare alle contraddizioni. E’ un gregge il suo che è da definirsi più forte di tutti i forti, un gregge che segue l’agnello, che sa sopportare le prove, che sa vincere la prova, che non ha la misura del trionfo nelle cose umane, ma l’ha nell’amore, l’ha nella donazione, l’ha in tutta quella forza di superamento, nella carità che lui ci ha insegnato.

Ecco perché, non è la figura del cristiano passivo e rassegnato, ma è la figura del cristiano intrepido e forte, del cristiano che sa vivere in questo mondo, che sa prendere dei valori di questo mondo e sa rifiutare il male, non un cristiano timido, troppe volte noi siamo timidi, non un cristiano oscillante e dubbioso, che manca di spirito di critica e di possesso di libertà, ma un cristiano veramente deciso nel seguire con logica le parole del Vangelo, quelle parole che sono non un frammento di verità, sono la verità, perché sono Cristo: “Io sono la verità”.

Noi dobbiamo perciò misurarci con queste parole del Signore, per vedere che tipo di gregge siamo, se siamo veramente le sue pecore, che lo conoscono, che ascoltano la sua voce, se veramente noi siamo forti e intrepidi così come lui ci vuole, se il pensiero del Paradiso non è un pensiero che ci allontana da questa vita, ma ce la fa vivere più pienamente e più intensamente.

Dobbiamo prendere coscienza della nostra forza e della nostra missione, forza e missione di servizio e di amore. E non c’è niente più forte dell’amore. Ecco perché i cristiani devono svegliarsi, devono sentire che hanno il loro compito, un compito che è lo stesso compito di Gesù, il compito affidato dal Padre. Identificandoci con Gesù, sentiamo la nostra vocazione in quelle parole che Gesù ha detto: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10, 30). Dobbiamo sentire che l’amore è più forte dell’odio, che l’amore ha un potere più grande della violenza, che noi cristiani dobbiamo essere forti, perché dobbiamo amare molto. Noi cristiani dobbiamo essere forti, perché dobbiamo essere quelli sempre in prima linea. Noi dobbiamo sentire che la nostra vocazione è una vocazione grande, perché è la vocazione della croce, è la vocazione del mistero pasquale.

Ognuno di noi esamini la sua vita, quanto amore c’è nella sua vita, quanta donazione, quanta partecipazione al sacrificio di Cristo, quanto coraggio di fronte al male, quanto desiderio di portare agli altri la salvezza.

Esaminiamoci alla luce di Gesù Buon Pastore, alla sua magnifica realtà cerchiamo di avvicinarci tutti giorni con umiltà, sì, ma con fiducia grande, con speranza magnifica.

CODICE 77E0O01363N
LUOGO E DATA Sant'Ilario d'Enza, 01/05/1977
OCCASIONE Omelia, IV Domenica Tempo Pasqua – Anno C
DESTINATARIO Comunità Parrocchiale
ORIGINE Registrazione
ARGOMENTI Il buon pastore agnello immolato
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