2 Cr 36, 14-16. 19-23; Ef 2, 4-10; Gv 3, 14-21
Sentiamo forte e grande la parola della fede, perché la fede dà un senso alla vita e dà un senso alla morte. “Dio”, abbiamo appena ascoltato il Vangelo, “ha mandato suo Figlio per salvare il mondo” (Gv 3, 17): è proprio la salvezza che viene da Gesù, il nostro Signore. La salvezza vuol dire che l’uomo sa perché vive e sa perché deve morire, proprio perché anche il Signore Gesù ha voluto accettare la morte, perché fosse vinta la nostra morte ed è risorto perché anche noi fossimo certi che la vita presente non è una vita che si chiude, è una vita che di nuovo si apre nello sconfinato scenario dell’eternità. Gesù sulla croce ha terminato in una preghiera di confidenza: “Nelle tue mani, o Padre, io raccomando il mio spirito” (cfr. Lc 23,46). Il nostro defunto ha chiuso così la sua vita con un atto di confidenza e di abbandono nel Signore. Ha terminato la sua vita ricca di bene, di onestà, di testimonianza, una vita donata alla famiglia e al campo educativo e al campo sociale, con onestà, con rettitudine, con intelligenza, con continuità. Oh, la fede illumina, la fede parla, la fede è il trionfo! Sì, certo, perché i nostri giorni fuggono, ma la realtà del bene resta, resta grande e intramontabile. Ecco perché siamo riuniti a pregare, siamo riuniti perché, nella certezza dell’immortalità dell’anima, del premio riservato dal Signore a quelli che operano il bene, noi possiamo continuare la comunione di affetto, di comprensione, di vicendevole aiuto. Pregare. Ecco, noi invochiamo dal Signore la sua misericordia e anche noi vogliamo metterci in questa misericordia. Vogliamo vivere l’esperienza della fede, il sentimento che ci guida e che nobilita e innalza le nostre azioni. Noi preghiamo, perché la preghiera passa ogni confine, perché è in Dio e in Dio ci sentiamo sempre in fraternità e in speranza. Oh, la speranza che ognuno di noi deve coltivare, la speranza di quello che opera, di quello che avrà, di quello che senza dubbio il Signore compirà! Ci ha fatto rivivere con Cristo, ci ha fatto in lui sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare la straordinaria ricchezza della sua grazia. La bontà verso di noi è segno di tutta una mirabile opera, che il Signore fa mediante la fede, perché è proprio mediante la fede che siamo salvati e abbiamo una ricchezza intramontabile. Preghiamo allora. Preghiamo perché possiamo sentirci uniti al nostro defunto, perché possiamo ottenere la pienezza della grazia di Dio, perché ci sentiamo sempre fratelli, perché possiamo, ognuno al suo posto, operare il bene, tutto il bene, perché cade il resto, ma il bene resta. Il bene posto in Dio è un bene che non viene mai a mancare. E mentre partecipiamo vivamente al dolore della famiglia, sentiamo di poter dare a tutti questa parola di fiducia e di consolazione: Dio ci ha donato Gesù Cristo, perché in lui ogni nostra azione abbia un significato, una forza, abbia ragione di seme che si pone per il domani, perché così potremo sempre essere in lui e salvati per la grazia, possiamo realizzare una completa vitalità. Il cristiano crede, il cristiano opera, il cristiano spera. Noi vorremo così realizzare con pienezza quanto il nostro defunto con la sua vita e la sua parola ci ha lasciato in eredità, ci ha lasciato in ammonizione e in grande realizzazione. Così tutti i giorni opereremo il bene e saremo nella sua grazia.
CODICE | 85CGQ01343F |
LUOGO E DATA | Sant'Ilario d'Enza, 17/03/1985 |
OCCASIONE | Omelia, IV Domenica Tempo Quaresima - Anno B - Funerale |
DESTINATARIO | Comunità parrocchiale |
ORIGINE | Registrazione |
ARGOMENTI | Fede |
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