Dt 11, 18. 26-28; Rm 3, 21-25. 28; Mt 7, 21-27
Il tempo che segue la Pentecoste, nella Liturgia, è dato per un approfondimento dei grandi motivi della nostra vita cristiana ed oggi è proprio sul fondamento ultimo che noi siamo chiamati a riflettere. Ci è detto insomma: guarda alla tua costruzione, che non sia una costruzione falsa, instabile, che non t’avvenga domani un improvviso crollo, perché sei proprio sicuro che la tua casa, cioè la tua spiritualità, è fondata sulla roccia? Non potrebbe essere una costruzione fatta sulla sabbia? È un interrogativo che ci deve far tremare, perché ci ha avvisato Gesù stesso con quelle parole: “Molti”, dice, mi diranno quel giorno, il giorno del giudizio universale, molti: Signore abbiamo fatto dei miracoli, abbiamo fatto delle profezie. E lui dirà: non vi conosco, siete degli iniqui”. È una verifica, dico, che ci deve far pensare molto perché noi dei miracoli non ne abbiamo fatti, non siamo dei profeti e perciò, se saranno rifiutati certuni che hanno fatto dei miracoli, ecco, ci dobbiamo proprio chiedere: ma sono a posto? È una verifica di base, è un’indagine molto forte.
E la Liturgia ci dà anche il criterio per sondare la nostra costruzione. Nella prima Lettura è posto a criterio l’esecuzione, l’obbedienza ai comandamenti di Dio; si salva chi fa la volontà di Dio, è nella benedizione chi osserva i suoi Comandamenti. La stoltezza dell’uomo che vuole erigersi ad arbitro di se stesso, della propria vita, l’assurdità di una società che vuol far a meno di Dio e, avete sentito, non c’è una soluzione intermedia: o c’è la benedizione, o c’è, terribile, la maledizione, cioè la rovina, cioè l’abbandono di Dio, cioè il Signore che dice: volete fare voi? Fatelo. Rispetta la libertà, ma quella stolta libertà è la libertà della valanga che precipita a valle.
Dunque il primo criterio è: “Sia fatta la tua volontà”, il senso di dipendenza da Dio, il senso di essere noi creature. Un senso allora che ci fa umili e ci fa eseguire con profondità e con esattezza tutte le leggi del Signore.
Nella seconda Lettura San Paolo ci dice che questa nostra obbedienza deve essere un’obbedienza di fede, cioè noi abbiamo ricevuto Gesù e Gesù è il nostro modello nell’eseguire la volontà del Padre, non dunque qualsiasi obbedienza, ma un’obbedienza modellata su Gesù. È dunque a Gesù che noi dobbiamo guardare, è a Gesù che noi dobbiamo domandare la salvezza. San Paolo parla di “giustificazione attraverso la fede”, non dunque un’esecuzione materiale di quella che è la legge, ma una fede e un amore che c’identifichino a Cristo e che ci facciano fare le sue scelte. Ecco, le scelte sono nell’amore: “Se uno mi ama osserverà la mia parola”, così è roccia.
Verificando allora il nostro stato di vita spirituale, ci dobbiamo chiedere come cerchiamo di fare nella vita la volontà di Dio. Siamo in questo mondo per salvare l’anima e per dar gloria al Signore, dobbiamo salvare l’anima amando Dio, cioè prendendo Dio come la nostra grande gloria, la nostra grande gioia, essendo ben sicuri che Dio non ci comanda che quello che è il nostro bene, quello che porta alla nostra felicità.
E allora è un pensiero di consolazione grande, di conforto. Può venire la pioggia, possono straripare i fiumi, soffiare i venti, cioè si possono verificare tutte le prove che ci sono nella vita, i dolori, le disgrazie, le incertezze, ma indubbiamente niente ci può muovere perché c’è il Signore, perché la nostra vita è sua, noi gli apparteniamo, siamo nelle sue mani e quelle mani sono state trapassate dai chiodi e anche adesso nella gloria conservano i segni della trafittura. Siamo nelle sue mani e le sue mani sono le mani del Redentore.
CODICE | 75F0O01338N |
LUOGO E DATA | Sant’Ilario d’Enza, 01/06/1975 |
OCCASIONE | Omelia, IX Domenica Tempo Ordinario - Anno A - Messa ore 8, 30 |
DESTINATARIO | Comunità parrocchiale |
ORIGINE | Registrazione |
ARGOMENTI | Il fondamento ultimo della vita |
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