22/03/1977 - Omelia Martedi IV Quar

Sant’Ilario d’Enza, 22/03/1977
Omelia, Martedì IV Settimana Tempo Quaresima

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Ez 47,1-9. 12; Gv 5,1-3. 5-16

Il profeta Ezechiele aveva visto col simbolo dell’acqua tutto il fluire di grazia che vi sarebbe stato nel nuovo tempio di Dio, nella Chiesa, quel fiume di acqua che avrebbe fecondato la Chiesa e avrebbe dato una mirabile vita. Gesù sottolineerà la stessa cosa quando dirà che bisogna rinascere di acqua e di Spirito Santo. È il battesimo. Il battesimo che è rinnovazione dell’uomo, che è rinnovazione attraverso una nuova creazione. È il battesimo che noi dobbiamo tenere vivissimo davanti a noi, perché è un sacramento che continua misteriosamente la sua azione. È un sacramento di vita che costituisce la base unica del nostro amore a Dio, la base unica del nostro amore al prossimo. Perché col battesimo siamo diventati figli di Dio e col battesimo siamo entrati nella Chiesa, nella quale siamo tutti fratelli. L’impegno del battezzato è dunque un impegno di vita che fiorisce, di vita che fiorisce nell’intimo della sua anima, che fiorisce in opere di bene, che fiorisce per la letizia di tutti. Perché alla base della nostra convivenza c’è questa misteriosa realtà: Dio ci ha fatto suoi figli, tutti siamo suoi figli, tutti ci dobbiamo voler bene. Ecco perché l’impegno di un cristiano non può essere chiuso in un individualismo.

L’impegno del cristiano è un impegno comunitario: è insieme che dobbiamo vivere la grazia del Regno di Dio. Il paralitico era stato trentotto anni malato. E Gesù sottolinea: “Non peccare più, perché non ti avvenga di peggio”. Dal peccato la morte. Dal peccato la disgrazia. Dal peccato ogni sorta di conseguenze terribili. Dalla grazia di Dio ogni bene, ogni fiorire di opere buone. Dalla grazia di Dio viene la gioia ad ogni anima, viene quella gioia che letifica la città di Dio. Il nostro impegno deve essere allora totale. Non possiamo minimizzare. Abbiamo la tendenza a minimizzare, a far meno che possiamo, a tirar via. L’immagine è quella di un fiume pieno d’acqua che va avanti solenne e forte. L’immagine è che tutti devono contribuire a questo fiume. Il fiume è la Chiesa. Il fiume sono le nostre comunità. Il dovere nostro è di essere acqua viva, acqua che si aggiunge ad acqua, forza che si aggiunge a forza.

Nella comunità ci sono i parassiti, vivono a spese degli altri. Nessuno di noi vuole essere un parassita. Ci sono quelli che sono buoni a niente perché non si sforzano. Ci sono quelli che fanno qualche cosa, ma sforzati, a rilento, buttano là qualche cosa, una preghiera o un’opera buona, ma la buttano proprio là. Ci sono quelli che fervorosi contribuiscono tanto al bene di tutti, per la loro preghiera, per la loro devozione, per la loro comunicazione con Cristo, per le loro opere. Ognuno di noi deve sentirsi chiamato a una pienezza di santità di cui tutta la Chiesa prende evidentemente bene. Ognuno di noi non può essere contento se non sente di essere viva parte in una comunità viva. E quindi, per non andare lontano, sentiamo quanto dobbiamo fare noi. Qua, localmente. Quanto siamo chiamati ognuno di noi a dare, quanto uno è necessario che si inserisca attivamente. Dal bambino all’adolescente, al grande. Ognuno ha il suo posto, da colui che è pieno di energia e di salute a colui che è infermo. C’è l’apostolato delle opere, c’è l’apostolato della sofferenza, c’è l’apostolato della preghiera. Ognuno deve sentire il suo posto. Allora sì che c’è un rigoglio di vita, il fiume va avanti. Altrimenti che responsabilità per chi, invece di essere acqua viva e travolgente, è solo un po’ di fango appiccicato alla riva! Che responsabilità! Vogliamo chiedere a noi stessi quale può essere il nostro dovere e come, con la grazia di Dio, possiamo espletarlo.

CODICE 77CNQ013
LUOGO E DATA Sant’Ilario d’Enza, 22/03/1977
OCCASIONE Omelia, Martedì IV Settimana Tempo Quaresima
DESTINATARIO Comunità parrocchiale
ORIGINE Registrazione
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