06/03/1985 - Omelia Mercoledi II Quar

Ger 18, 18-20; Mt 20, 17-28

Stiamo salendo a Gerusalemme; invita Gesù a non fare una salita solo materiale, ma a partecipare di lui, partecipare delle sue scelte, partecipare del suo amore.

E’ l’invito rivolto a tutti i cristiani, è l’invito che bussa per ogni anima, perché la volontà di Dio è che seguiamo Gesù. Andare a Gerusalemme voleva dire completare la sua missione, entrare nel suo Mistero Pasquale, porsi in totale offerta, un’offerta per la quale dirà: “Ecco, io son venuto a servire, a porre un servizio” (Mt 20, 28).

La nostra unione con Gesù, la nostra unione di fede, la nostra unione di carità è un’unione non statica, non formale, è dinamica.

Dobbiamo amare Gesù e desiderare di essere come lui, e di seguire lui, e di volere lui, e di non indietreggiare mai. A Giovanni e a Giacomo diceva: “Potete bere il calice che io sto per bere?” (Mt 20, 22).

La sua mamma Maria, la Vergine dell’Annunciazione aveva cominciato proprio allora a bere il calice e lo berrà con lui, cioè parteciperà alle sue ansie, al suo dolore, al suo amore; l’amore è ancora più grande del suo dolore.

La Vergine sarà per sempre l’esempio totale di unione con Gesù e di partecipare al servizio con Gesù.

Ecco, vediamola là sul Calvario, sofferente, “desolata”, dice l’Inno; “desolata” è l’espressione nostra per dire quanto il dolore è arrivato al sommo, come si trova un’anima; eppure piena di coraggio, piena di speranza compie tutto.

Ora vediamo anche noi, il desiderio nostro di unione con Gesù è il desiderio di unirci agli altri, è il desiderio della carità, della bontà, è il desiderio di un servizio sereno per andare incontro a chi ha bisogno, è una bontà e un sacrificio che si affermano ogni giorno. E’ ciò che vogliamo promettere in questa sera di Quaresima.