Dt 4,1. 5-9; Mt 5,17-19
“In verità vi dico”. Tutto l’uomo appartiene a Dio, appartiene a Dio l’anima, appartiene a Dio il corpo. Noi ricordiamo la pagina della creazione: Egli formò l’uomo dal fango della terra e soffiò lo spirito della vita. Ecco l’anima chiamata soffio, cioè spirito, ecco l’anima per la quale il Signore dice: “Creiamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”. Per ubbidire a Dio, per osservare la sua legge, noi dobbiamo ricordare questa composizione dell’uomo. L’uomo deve essere santo nella sua anima, deve essere santo nel suo corpo. L’uomo deve imparare a relazionarsi: la sua anima col corpo, un tutto armonico, un tutto che si perfeziona e dà gloria a Dio, e compie la propria opera. Dopo avere creato l’uomo, Dio disse: “Ecco, tu hai il dominio su tutto”. Dio dà il dominio della terra e di quanto è nella terra, le piante, gli animali, le ricchezze della terra, le dà all’uomo, le dà all’uomo perché l’uomo operi, perché l’uomo perfezioni, perché l’uomo così salga alla lode di Dio e al premio di Dio. Diciamo sempre: “Bisogna salvare l’anima”, ma la salvezza dell’anima comporta anche la salvezza del corpo e la dignità dell’anima porta alla dignità del corpo. La santificazione nostra allora, ce l’ha bene indicata Gesù, quando ci ha ricordati come suoi amici, ci ha ricordati come coloro che lo devono seguire. Cosa voleva dire il Signore? Voleva dire che il fatto dell’incarnazione, cioè il fatto che Dio, l’infinito, prende un nostro corpo e una nostra anima, dona una dignità incommensurabile. Il nostro corpo e la nostra anima sono stati assunti dal Verbo. Non solo dunque devono realizzarsi nella sfera naturale e umana, ma devono realizzarsi, proprio perché sono amici di Gesù, cioè sono nello stesso ambito di amore; lo aggiungerà San Paolo il paragone del corpo e dirà: “Voi siete le membra di Cristo”. Di qui l’impegno nostro di una santificazione totale, santificare la nostra anima, dando alla nostra anima quella verità che vuole il Signore, quella luce che vuole il Signore, santificare il nostro corpo, conservandolo nella sanità e facendolo servire ai grandi perché del regno di Dio. Tutto quello allora che ci porta a sciupare l’anima, a non realizzare i doni dell’anima, a non realizzare i doni del nostro corpo, tutto questo è dannoso, tutto questo lo chiamiamo peccato, perché per peccato noi intendiamo una cosa che ci dà danno, quello che dà danno all’uomo e perciò è ancora offesa a Dio. Il peccato è una rovina, nel significato vero della parola: l’anima che ammette il peccato è come una casa che crolla. Impariamo allora come evitare il peccato non è semplicemente fare un piacere a Dio o ubbidire a Dio, fare il peccato è ancora rovinare noi stessi e rovinarci nell’anima o nel corpo, o in tutti e due. È necessario che comprendiamo bene questo e allora capiremo ancora meglio perché Dio che ci ama ci proibisce di peccare.
CODICE | 76CPQ01342N |
LUOGO E DATA | Sant’Ilario d’Enza, 24/03/1976 |
OCCASIONE | Omelia, Mercoledì III settimana Tempo Quaresima |
DESTINATARIO | Comunità parrocchiale |
ORIGINE | Registrazione |
ARGOMENTI |
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