Mc 15, 33-39; 16, 1-6
“Alle tre Gesù gridò con voce forte” (Mc 15, 34). Le ore tre, le ore dell’angoscia, del dolore forte, della domanda: “Dio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (id).
Sentiamo la risposta e la risposta il Padre la dà, la dà! “E videro il sepolcro vuoto” (C.f.r. Lc 24, 3). Dall’angoscia alla risurrezione, dal tormento alla gioia, dalla inquietudine alla pace.
Ecco, sentiamo forte in questo momento la voce della fede. La morte non è che una porta spalancata sull’eternità. Egli cambia la nostra morte in vita, cambia i giorni della nostra miseria in giorni della sua gioia. È la fede, la grande fede! Soccorre, illumina, sostiene.
In questa giornata è ciò che noi possiamo offrire ai famigliari, è ciò che possiamo offrire a noi stessi: la consolazione della fede. A noi stessi, perché questa morte è un lutto per tutti, è una sofferenza per tutti, perché ha fatto del bene a tutti, perché per tutti si è prodigato per tanti anni, in una generosità senza misura. Noi lo sappiamo. Se tacessimo, parlerebbero le pietre. Ha fatto molto, ha dato molto al nostro paese, ha dato ad ognuno un conforto, ad ognuno una parola di speranza. Ha dato a tutti l’esempio di un dovere compiuto come missione, come impegno.
Ecco perché è lutto per tutti e noi ripetiamo che il Signore è tanto misericordioso e tanto buono, che non toglie mai una gioia, se non per darne una più grande e più duratura. Gli ha preso la gioia della famiglia, la gioia del suo impegno; ha preso a noi la consolazione di averlo tra di noi, ma l’ha trasformata, senza dubbio, in una gioia che non è paragonabile alle cose di questa terra.
È vissuto nella fede ed è morto nella preghiera: è questo che illumina.
Noi vogliamo allora sentire come il grande nostro bene è la fede, la nostra grande speranza è in Cristo Risorto. “E’ morto per far morire la nostra morte, è risorto per ridare a noi la vita” (Prefazio Pasquale I).
Ecco perché noi sappiamo che abbiamo una speranza che vince tutto, che non si arresta, che non delude; una speranza che solo Gesù ha potuto dare. “Io sono la resurrezione e la vita: chi crede in me anche se morto vivrà e colui che vive e crede in me non morirà in eterno” (*Gv 11, 25.26).
Abbiamo un fratello, che è passato in Dio, e non è dimentico di noi e non è dimentico dei suoi cari: li assisterà, li guiderà, li aiuterà. Noi siamo sicuri della sua preghiera, noi siamo sicuri del suo affetto, perché è in Cristo, è nella sua misericordia e nel suo cuore. E vogliamo così augurarci che la sua opera non si perda, che la sua opera continui, che la Casa di Cura possa continuare la sua missione, nel suo nome e con il suo cuore. Noi auguriamo questo, proprio perché lui ha acceso una luce e questa luce non si deve spegnere. Lui ha portato del bene e questo bene deve continuare e moltiplicarsi nel tempo. Il Signore Gesù è detto “il Primogenito dei morti” (Ap 1, 5); tutti moriamo, ma moriamo come è morto il Primo, moriamo per vivere con Lui nella gioia e nella gloria del Padre.
CODICE | 81CMO01341F |
LUOGO E DATA | Sant'Ilario d'Enza, 21/03/1981 |
OCCASIONE | Omelia, Sabato II Settimana Tempo di Quaresima - Anno A - Funerale |
DESTINATARIO | Comunità Parrocchiale |
ORIGINE | Registrazione |
ARGOMENTI | La morte porta sull’eternità – La fede nostro bene – La speranza in Cristo Risorto |
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