25/05/1974 - Omelia Sabato VI Pasqua Nov Pent 2

Sant’Ilario d’Enza, 25/05/1974
Omelia, Sabato VI settimana Tempo Pasqua, Novena Pentecoste - II giorno - Anno C (prefestivo)

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At 7, 55-60; Ap 22, 12-14. 16-17. 20; Gv 17, 20-26

Dicevamo: lo Spirito Santo è lo Spirito di Gesù e lo Spirito di tutti coloro che sono un'unica cosa con Gesù, perché con il Battesimo noi siamo stati introdotti, ammessi nella famiglia trinitaria e nella Trinità occupiamo il nostro posto, il posto di Gesù.

È necessario che, alla luce di questa Liturgia, noi cerchiamo di capire quanta dignità, quanto onore, quanta gioia ci conferisca questa verità. Noi siamo introdotti nella famiglia divina, in quella famiglia nella quale il Padre ama il Figlio, in quella famiglia dove lo Spirito Santo è l’Amore sussistente tra il Padre e il Figlio.

Avete ascoltato dagli Atti degli Apostoli la contemplazione di Stefano: “Ho visto i cieli aperti” (cfr. At 7, 56); contemplava e già era immerso nella Trinità. Cosa poteva avere di più? Ma questo lo poteva perché, dice il testo, “era pieno di Spirito Santo”.

Il capire il dono di Dio è frutto dello Spirito Santo. Noi diciamo che il più grande dei doni dello Spirito Santo è la Sapienza, perché ci dà il senso delle cose di Dio, ci dà il senso della nostra stessa vita in rapporto a queste cose divine.

Nella seconda Lettura abbiamo ascoltato il saluto di Giovanni apostolo: “Vieni, Signore Gesù. La grazia del Signore Gesù sia con tutti voi” (cfr. Ap 22, 17. 20). Essere introdotti nella famiglia di Dio vuol dire possedere la vita stessa di Dio. Perché siamo ammessi in questa famiglia? Per una meravigliosa generazione. Lo ricordate il testo di San Giovanni nell’introduzione al suo Vangelo? “Il Verbo che si è incarnato, che ha abitato tra di noi, a tutti quelli che lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio, i quali non sono diventati così per una generazione umana, ma per una generazione divina” (cfr. Gv 1, 10-14).

Allora noi comprendiamo che il cristianesimo non è una professione esteriore, ma è una mirabile comunicazione interiore; che il cristiano diventa tale perché riceve in se stesso la vita stessa di Dio, riceve un elemento divino che lo toglie da quelle che sono le cose terrene, per portarlo alle cose celesti.

E allora ecco che si verifica la totalità: come loro sono una cosa sola, dice il testo del Vangelo che abbiamo letto, anche noi dobbiamo diventare una cosa sola. E la sua gloria diventa la nostra gloria e la sua gioia diventa la nostra gioia.

Sentirci nello Spirito Santo figli di Dio, partecipi della vita trinitaria è sentire la forza della rivelazione, è sentire come la nostra esistenza terrena ha una dignità che sorpassa tutto quello che ci può essere attorno a noi. Vale di più un grado di grazia, perché è vita divina, di tutte le cose umane, di tutte le ricchezze della terra; vale di più il più piccolo grado di grazia che non tutte le magnificenze umane e terrene.

Come dobbiamo stimare allora la grazia! Come dobbiamo cercare di accrescerla! Come ci dobbiamo educare bene a vivere nella Trinità, in quell’amore, in quella gioia, in quella serenità! Il cristiano è tutto di Dio e, solo perché tutto di Dio, è anche tutto degli altri.

La carità, che ci unisce agli uomini, non parte da noi, ma parte da Dio, perché noi dobbiamo amare gli altri uomini perché sono figli di Dio, perché sono creature di Dio; noi li dobbiamo amare con il cuore stesso di Dio.

Introdotti nella Trinità, tutto quello che è di Dio dev’essere evidentemente nostro.

CODICE 74EQN01365N
LUOGO E DATA Sant’Ilario d’Enza, 25/05/1974
OCCASIONE Omelia, Sabato VI settimana Tempo Pasqua, Novena Pentecoste - II giorno - Anno C (prefestivo)
DESTINATARIO Comunità parrocchiale
ORIGINE Registrazione
ARGOMENTI Sapienza
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