08/02/1976 - Omelia V Domenica Ord ore 6.30 e ore 8.15

Sant'Ilario d'Enza, 08/02/1976
Omelia, V Domenica Tempo Ordinario - Anno B - Messa ore 6, 30 e 8, 30

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Gb 7, 1-4. 6-7; 1 Cor 9, 16-19. 22-23; Mc 1, 29-39

OMELIA ORE 6,30

Guardiamo oggi a Gesù come a colui che guarisce. È lui che è venuto a liberare l’uomo dal peccato, è lui che accentua il suo potere, perché gli uomini guardino a lui come alla speranza sicura e, risanati nel corpo, vengono risanati anche nell’anima.

Molte volte il nostro discorso sulla fede si ferma presto, perché vediamo nella fede solo qualche cosa di devozionale, cioè qualcosa di interessato. Molte volte nella devozione c’è solo una carica di necessità, si ricorre al Signore quando ce n’è bisogno, ci si dimentica del Signore quando sembra che tutte le cose vadano dritte.

La fede è accoglienza, non è semplicemente un prostrarsi per avere, dico, è un’accoglienza: “Tutti ti cercano” (Mc 1, 37), diceva Simone a Gesù, “Tutti ti cercano”.

Ecco, la fede è accogliere Dio perché si è cercato. Fede è mettere nella nostra vita lui, il Signore, metterlo in tutto. Fede non è semplicemente dire una preghiera, compiere un gesto, è accogliere Gesù nella propria vita, accoglierlo tutto.

Quando il Signore ha introdotto la sua predicazione, voi ricordate il punto centrale: le beatitudini, perché le beatitudini sono una rivoluzione, sono mettere il Signore prima di tutto.

“Beati i poveri”, (Mt 5,3) ha detto, cioè beati coloro che non vivono per le ricchezze, ma vivono per il loro Signore.

Ha parlato della mitezza e della bontà, ha parlato di coloro che piangono e vengono consolati, cioè il Signore ha detto che vivere di fede è mettere Dio prima di tutto, è servire Dio sopra tutto, è essere molto sereni anche di fronte alle cose più difficili, proprio perché il baricentro, proprio perché il punto vitale non sta qui in questo mondo, ma sta in quel regno che Gesù ha predicato, che ha la sua perfezione totale nella vita eterna.

Cosa vuol dire aver fede, se non ragionare come Gesù, se non sentire come Gesù, se non scegliere come Gesù? Avere la fede vuol dire indirizzare tutto al Signore per il suo regno.

“Beati voi, quando vi perseguiteranno e, mentendo, diranno di voi ogni male” (Mt 5,11). Il mondo non può essere d’accordo sulla linea evangelica, proprio perché il mondo vede tutto qui, proprio perché il mondo si consuma qui. La nostra vita dev’essere proiettata verso l’eterno e vale solo quello che è eterno, quello che è di passaggio non vale; quello che è solo un preoccuparci del benessere in questo mondo è qualche cosa che addirittura è condannato, perché è fermarsi solo ad un aspetto e non cogliere la totalità dell’essere.

Avere la fede allora comporta un indirizzo ben preciso. Gesù risana, ma le nostre malattie sono malattie spirituali prima ancora che fisiche e, quando uno ha una malattia fisica, adopera tutti i mezzi. Purtroppo invece non è così per le malattie spirituali, noi le lasciamo nel nostro animo e diventano qualche cosa di terribile e di spaventoso. Abbiamo un’epidemia, per cui del peccato non si fa nessun conto, addirittura si ride sul peccato, invece il peccato è il vero male dell’uomo, è la vera disgrazia dell’uomo, le altre cose non sono che una piccola, trascurabile evenienza.

Il vero male è il peccato e chi vive di fede lo rifiuta e chi vive di fede perciò indirizza tutto al Signore e vive per lui, nella certezza che e il lavoro e la famiglia e tutto quello che succede deve avere un unico centro, nostro Signore, solo lui, per lui e per gli altri, in quanto il secondo precetto è simile al primo, amare il prossimo come se stessi.

OMELIA ORE 8,30

Il problema che è messo a fuoco è il problema della sofferenza, di quella dura lotta quotidiana che dobbiamo fare per tutta la nostra vita.

È riportato il brano di Giobbe: “Non ha forse un duro lavoro l’uomo sulla terra?” e poi soggiunge Giobbe: “I suoi giorni, i giorni dell’uomo, sono come i giorni d'un salariato, termina all’improvviso il contratto. Quando mi alzerò …” Ecco l’uomo che, quando crede di poter star bene, diciamo, quando l’uomo arriva come a un termine e dice: “Ora mi riposo”, ecco continua Giobbe: “Un soffio è la vita, i miei giorni sono veloci”.

Che senso ha allora l’esistere, il vivere in un’alternativa di sofferenza? Col termine sofferenza indichiamo tutto quello che pesa, tutta la preoccupazione, l’ansietà, il lavoro, la lotta cioè, perché quando manca una sofferenza ne sopravviene un'altra, quando cessa una persecuzione viene una tribolazione e le nostre famiglie tante volte sono in questa instabilità, l’instabilità del giorno che viene. Ora come risolve il cristiano questo stato di cose? Ecco, ci è presentato Gesù, nel brano di san Marco, come il taumaturgo, come colui che lenisce il dolore, come colui che risolve la malattia. Ecco che Gesù è venuto perché l’uomo sia libero, sia salvo e sia salvo anche da questi condizionamenti.

Direi, i miracoli di Gesù nel Vangelo sono veramente un segno, ma segno di che cosa? Segno della sua potenza, segno della sua misericordia, segno di come lui risolve tutti i nostri problemi, non che si prolunghi così la sua azione volta a guarire i corpi, c’è una provvidenza anche per i nostri corpi, ma il Signore ha stabilito delle leggi e quelle leggi hanno il loro corso.

Il Signore è venuto a spiegare questa sofferenza, il Signore è venuto a guarire quelle malattie dell’anima che si chiamano l’egoismo, che si chiamano la sete incontrollata di una felicità materiale. Il Signore è venuto a risolvere cioè questa illusione dell’uomo, che cerca una felicità qui quando la felicità qui non esiste, quando la vera felicità sta nell'essere pronti, sereni nella volontà di Dio, quando i problemi si risolvono pensando che Dio è infinitamente buono, pensando che Dio è infinitamente provvidente, pensando che Dio risolve i problemi di questo mondo in una maniera meravigliosa, proprio perché li risolve definitivamente.

Molti si scandalizzano di fronte al dolore, a questo dolore che delle volte appare senza senso, così crudele, che non risparmia nessuno, che colpisce il peccatore e colpisce il bambino innocente. Molti si scandalizzano e si disorientano, non pensano che vi è un disegno trascendente a tutte quelle che sono le cose dell’uomo, vi è un disegno trascendente di amore. Questa vita presente non è che un attimo di una vita che è eterna, in questo momento noi dobbiamo realizzare la nostra fedeltà a Dio, in questa vita presente noi dobbiamo dimostrare la nostra vera unione con lui. I problemi di questo mondo non vanno solo considerati individuo per individuo, ma tutti noi formiamo un unico popolo e tutti siamo chiamati a pagare e tutti siamo chiamati a offrire, il dolore di ognuno è per tutti, la sofferenza di uno è per la salvezza di tutti.

Noi dobbiamo guardare con serenità il nostro dolore. Noi dobbiamo guardare con enorme comprensione il dolore degli altri. Noi dobbiamo fare del nostro dolore qualche cosa che sia redentivo, come ha fatto Gesù che ha accettato il dolore, la sofferenza degli uomini e se l’è caricata sulle sue spalle e l’ha resa vero strumento di salvezza.

Dobbiamo fare come Gesù: guardare il dolore con l’anima aperta, guardare al dolore e accettare il nostro, con umiltà, con fedeltà, senza ripiegarci. Dico di più: un cristiano sa accogliere il dolore degli altri nella maniera che ci insegna san Paolo nella seconda Lettura: “Uno può essere libero, si fa servo di tutti, debole con i deboli”. Chi accetta male il dolore si ripiega su se stesso, ma chi sa accettarlo bene … “Gli portavano i malati ed egli li guariva,...scacciò i demoni”. Il cristiano in questa visione, con questa forza e con questo carisma continua nella scia di Gesù, nella traccia e nella forza che lui ci ha donato.

CODICE 76B7O01334N
LUOGO E DATA Sant'Ilario d'Enza, 08/02/1976
OCCASIONE Omelia, V Domenica Tempo Ordinario - Anno B - Messa ore 6, 30 e 8, 30
DESTINATARIO Comunità parrocchiale
ORIGINE Registrazione
ARGOMENTI Gesù guarisce, Beatitudini
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