25/02/1977 - Omelia Venerdi Ceneri

Sant’Ilario d’Enza, Venerdì dopo le Ceneri
Omelia, 25/02/1977

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Is 58,1-9; Mt 9,14-15

La penitenza quaresimale non è fine a se stessa. È un periodo di vigilia per incontrarci nella Pasqua meglio con Gesù. Gesù che si definisce sposo della sua Chiesa. Il digiuno e la penitenza hanno dunque una ragione di preparazione, di purificazione. Ma stiamo attenti! Stiamo attenti che la nostra penitenza non sia un rito, non sia qualche cosa solo di esteriore e di formale, che non colpisca veramente i nostri punti deboli, le nostre fallosità! Il profeta, abbiamo udito, che ci avverte: “Non digiunate più come fate oggi”. Non digiunare cioè su cose che non comportano un reale e forte sacrificio e lasciano i vizi intatti. Noi dobbiamo avere una forte idea del peccato perché è la negazione dell’amore, dell’amore che noi dobbiamo a Dio, ma soprattutto è un rifiuto dell’amore suo. Il peccato è una cosa molto grave perché è come non fidarsi della sapienza infinita di Dio, è come non fidarsi delle sue promesse, è andare in cerca di una felicità che Dio non potrebbe dare, è una illusione. Il peccato, rifiuto d’amore, pone l’anima così nel suo egoismo, nel tormento del suo egoismo. Ecco perché, per vincere il peccato, bisogna dominare l’egoismo, bisogna vincerlo e bisogna fidarsi di Dio. Se noi non ci fidiamo di Dio, di chi possiamo fidarci? Lui in mille modi ci ha dimostrato il suo amore. Lui in mille modi ci ha fatto l’assicurazione delle sue promesse. Come possiamo ascoltare la tentazione del dubbio, la tentazione della tristezza, volendo cercare nel peccato qualche cosa che indubbiamente non c’è, non c’è? Perché il peccato è particolarmente una menzogna e viene dal padre della menzogna che è Satana. Ma, se detestiamo veramente il peccato, nasce un’esigenza di penitenza. La penitenza non come qualche cosa che ci viene dal di fuori, la penitenza, una esigenza intima, profonda. L’esigenza di un cuore che sa di non avere amato, che sa di non aver seguito, che sa di essersi ingannato e ha bisogno di guarire. La penitenza: guarigione dei nostri peccati. Questa guarigione la dobbiamo vedere come il mezzo per poter poi amare veramente il Signore, il mezzo per essergli totalmente fedeli. Dobbiamo sentire il bisogno prepotente di fare penitenza e di far penitenza proprio in ordine ai peccati che abbiamo fatto, alle ferite che ci siamo procurati. Chi ha peccato di superbia deve fare la penitenza dell’umiltà, la penitenza delle umiliazioni. Chi ha peccato per una sete non dominata di piacere deve infliggersi qualche cosa che dispiaccia, qualche cosa che castighi, qualche cosa che porti al dominio, al maggior controllo di se stessi. Chi ha peccato contro il prossimo deve concretamente riparare con opere di carità e di amore. Insomma, la penitenza è una logica, è qualche cosa di coerente e di onesto. Se abbiamo peccato dobbiamo essere così onesti da infliggerci la giusta pena, una pena per guarire, una medicina per non ritornare più indietro. Dobbiamo saper lottare e respingere il peccato non fermandoci alle parole. Tutti sono capaci di molte parole. Con le opere, con la penitenza che giorno per giorno particolarmente in questa quaresima vogliamo compiere a lode di Dio e a beneficio nostro e di tutta la Chiesa. Dobbiamo saper imporci quei necessari sacrifici per essere membri attivi della Chiesa, ricchi, fruttuosi e non essere a passivo. Dobbiamo diventare così nella grazia e nell’amore del Signore sommamente attivi. Dobbiamo diventare forti nel suo amore per non ricadere più, per non profanare ancora una volta la grazia di Dio che è nel nostro cuore.

CODICE 77BQQ0134YN
LUOGO E DATA Sant’Ilario d’Enza, Venerdì dopo le Ceneri
OCCASIONE Omelia, 25/02/1977
DESTINATARIO Comunità parrocchiale
ORIGINE Registrazione
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