Sap 2,1. 12-22; Gv 7,1-2. 10. 25-30
I Giudei cercavano di ucciderlo. È il mistero del male, è il mistero del Cristo, del Figlio di Dio che venuto in questo mondo, ha mostrato l’infinito amore del Padre. Gesù era lo splendore del Padre, lo splendore della sua bontà, della sua misericordia, della sua accondiscendenza. Si chinava su chiunque fosse bisognoso o malato o povero o oppresso. Apparsa così la bontà, tutti gli uomini dovevano restarne incantati. C’è tanto poco di bontà! C’è poca bontà ora, c’era ancora meno quando è apparso Gesù. Eppure no. Eppure gli uomini cercano di ucciderlo. Non solo lo rifiutano, non lo vogliono, lo vogliono eliminare. È veramente un mistero perché il cuore dell’uomo è fatto per il bene e invece vediamo questo odio scatenarsi nella maniera più assurda. È che il male non vuol venire a patti. C’è che l’uomo, quando si lascia occupare dal male, non ragiona più. Gesù disse un giorno ai Giudei: “Voi avete per padre il diavolo, per questo non mi volete”. E come è stato per Gesù così nei secoli è stato per il suo Corpo che è la Chiesa. La Chiesa è stata perseguitata sempre. Continua ad essere perseguitata. La Chiesa soffre nelle sue membra come ha sofferto Cristo. Condanniamolo a una morte infame. Ecco, è il proposito dell’iniquità. È il proposito che dice che col mondo non si può venire a patti. Sono illusi, sono ingenui e, se coscienti, sono colpevoli quelli che pensano diverso. Col mondo non si può venire a patti. Con l’uomo sì. Col mondo no. Cioè con questo spirito che viene da Satana. Noi non possiamo illuderci di cambiare il male e di renderlo così arrendevole. Il male è male. Il bene è bene. Resta il dialogo dell’uomo. Resta il dialogo con l’uomo. Il principio che tutti gli uomini possono redimersi è giusto. Entra nella visione della nostra fede. Ogni uomo preda del male può redimersi. Ogni uomo può affrancarsi. Ma non rinunciando al bene, non facendo mezzo male. Con la nostra fortezza cristiana, col nostro spirito di fede, con la nostra decisione irrevocabile noi dobbiamo ricordarci che siamo i continuatori dei martiri, i continuatori di coloro che hanno effuso il sangue per Cristo. Noi non possiamo essere deboli, non possiamo essere fiacchi. Ognuno di noi deve testimoniare Cristo. Ognuno di noi. Nell’ambiente dove si trova: l’operaio coi suoi compagni di lavoro, lo studente coi suoi compagni di scuola. ognuno al suo posto, deciso, pronto, orgoglioso della propria fede, pronto a dare tutto per la propria fede, impegnato fino in fondo. È l’impegno che delle volte a noi manca. Siamo come timidi. Come complessati. Quasi che il Signore non avesse donato a noi la sua verità meravigliosa e il suo amore. E si confonde la debolezza con l’umiltà. L’umiltà è riconoscere che non è da noi, e proprio perché non è nostro il patrimonio della fede, con più generosità, con più sforzo, con più sacrificio dobbiamo difenderlo. “Voi mi sarete testimoni”. L’impegno ovunque di portare Cristo, di testimoniare Cristo, di non essere dei linfatici che stentano a stare in piedi, di non essere dei perpetui convalescenti, di non essere sempre così sbattuti dai venti contrari. Il Signore ci dà la grazia della sua Parola, ci dà la grazia della sua presenza e noi dobbiamo serenamente e fortemente testimoniarlo.
CODICE | 79CVQ01343N |
LUOGO E DATA | Sant’Ilario d’Enza, 30/03/1979 |
OCCASIONE | Omelia, Venerdì IV Settimana Tempo Quaresima |
DESTINATARIO | Comunità parrocchiale |
ORIGINE | Registrazione |
ARGOMENTI |
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