07/08/1987 - Omelia Venerdi XVIII Ord Campeggio

Dt 4, 32-40; Mt 16, 24-28.

La tentazione che facilmente si afferma è la tentazione di credere che la mortificazione, che il portare la croce di Gesù sia una diminuzione di una gioia legittima, sia una diminuzione della propria personalità, una diminuzione del proprio vivere, mentre è vero il contrario: la mortificazione che dobbiamo fare dev’essere un atto di amore.

Vogliamo bene al Signore e per Lui sappiamo mortificarci. La mortificazione ci libera dalla schiavitù del nostro istinto, dalla sregolatezza di amore del nostro comodo, dalla nostra sensualità, dal nostro orgoglio.

La mortificazione è una cosa benedetta che dobbiamo accettare con entusiasmo, che dobbiamo accettare con fede, che dobbiamo accettare con umiltà, perché non riusciamo a vivere nell’amore che a questa condizione, non riusciamo a fruttificare nell’amore se non per questa strada.

Allora dobbiamo non solo prenderla, ma accoglierla con persuasione di amore, con viva comprensione della legge del Signore che è una legge benedetta, che è una legge santa, che è una legge che viene proprio incontro alla nostra debolezza.

Siamo deboli e dobbiamo fortificarci, siamo oscillanti e dobbiamo essere tenaci, dobbiamo cioè cercare la volontà di Dio con slancio e con fervore.

Guardiamo allora come pratichiamo la mortificazione, come la viviamo per fuggire i nostri peccati, per vincerli, come la pratichiamo per andare avanti e scegliere la perfezione, come dobbiamo impegnarci quotidianamente.

Domandiamo alla beata Vergine che ci insegni ad avere questo amore grande a Gesù, per cui accettiamo delle cose difficili per poter veramente, con tutto il cuore, abbracciare la sua volontà.

Abbracciare la volontà del Signore è una grande ricchezza nostra e una grande gloria.