2 Re 4, 8-11. 14-16; Rm 6, 3-4. 8-11; Mt 10, 37-42
“Chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà” (Mt 10, 39). Siamo invitati a un discorso di fondo, a un discorso che ci prende tutti, a un discorso che con facilità e con astuzia noi vorremmo evitare: che essere cristiani non è mettersi un fiore all’occhiello, non è questione di alcuni ritmi combinati bene, che essere cristiani coinvolge tutto il nostro essere e tutto il nostro agire, che non possiamo negare al Signore nemmeno un frammento. Le sue esigenze sono assolute, perciò giustamente abbiamo ascoltato San Paolo, che ci ha detto che essere battezzati non è semplicemente essere degli aderenti a Cristo, ma essere battezzati è essere “sepolti con Lui” (Rm 6, 4), ripetiamo la parola “sepolti insieme a Lui nella morte”. Cosa vuol dire essere “sepolti nella morte”, se non morire a tutto quello che non è Cristo, a tutto quello che non sa di Cristo? Solo allora si può intonare il canto della riconoscenza, come ci suggeriva il Salmo responsoriale: “Canterò senza fine le grazie del Signore” (Sal 88, 2).
Aderire a Lui con tutta la nostra mente, mettere a suo servizio tutta la nostra volontà.
Scendiamo nel concreto, nel concreto di ogni giorno: la nostra gioia nascerà da questa impostazione radicale. I cristiani, se fanno una scelta totale, sono contenti. Quando leggiamo gli atti dei martiri, restiamo stupiti e increduli di fronte all’esplodere della gioia. I martiri, torturati, con vicino la morte in mezzo ai tormenti, erano profondamente lieti, esplodevano di gioia.
E chi sono i cristiani più contenti? Sono i cristiani che, a somiglianza dei martiri, ogni giorno sanno prendere la sua croce e seguirla, altrimenti non sono degni di Lui. “Prendere la croce”(Mt 10, 38) è una metafora, cosa vuol dire? Vuol dire che ognuno deve prendere i suoi pesi e i pesi sono il superare le tentazioni, il dominare le passioni, anche le più dure e le più crocifiggenti. Prendere la propria croce vuol dire fare tutto nell’amore di Dio ed essere umili, buoni, pazienti, comprensivi verso gli altri, anche se gli altri non lo sono, e ripetere ogni giorno la propria bontà e porre il proprio servizio ogni giorno, come fosse il primo giorno che ci mettiamo a seguire Gesù e come fosse l’ultimo.
Questa domenica siamo invitati a meditare su questa nostra generosità, sulla perseveranza della nostra generosità, qualche momento di generosità c’è in tutte le anime, ma poi ritornano come prima. Bisogna perseverare, bisogna donare, bisogna seguire il Signore Gesù, altrimenti non Lo accogliamo e non viviamo come Lui ci invita a vivere. Cerchiamo in questa Messa di rimeditare cosa vuol dire partecipare al sacrificio di Gesù, perché siamo a Messa non come spettatori. La Messa ci coinvolge nell’offerta, nell’oblazione, nel sacrificio di Gesù e il vivere l’Eucaristia comporta trasformare la vita in una Messa, in una Messa di offerta, in una Messa in cui compiamo sempre il nostro dovere, in una Messa nella quale sentiamo come il Signore è presente, sentiamo esplodere la gioia, perchè la gioia sta, è il suo segreto, nel dono completo, non sta in forme di mezzo egoismo, in forme larvate di pretesa. Offriamoci così con questa intenzione.
CODICE | 81FTO0133CD |
LUOGO E DATA | Sant'Ilario d'Enza, 28/06/1981 |
OCCASIONE | Omelia, XIII Domenica Tempo Ordinario - Anno A - Fidanzamento |
DESTINATARIO | Comunità Parrocchiale |
ORIGINE | Registrazione |
ARGOMENTI | Perdere la vita per causa sua - La gioia di una scelta totale – La vita come una Messa |
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