1 Re 19, 9. 11-13; Rm 9, 1-5; Mt 14, 22-33
L’interrogativo che propone la Liturgia sostanzialmente si riduce qui: un cristiano deve avere paura? O meglio: un cristiano può avere paura? Può aver paura, quando ha ricevuto la rivelazione che Dio è un Padre? Un Padre che si preoccupa di ognuno dei suoi figli, si preoccupa anche, dice Gesù, delle cose più piccole dei suoi figli: “Anche i capelli del vostro capo sono contati, non ne cade uno se non con il suo permesso” (Mt 10, 21). Un cristiano allora, che ha ricevuto la rivelazione, che vive in comunione con Gesù, resta senza paura, resta cioè sereno nell’intimo della sua anima e ricorda le parole di san Paolo: “Tutto”, anche quelle che sono apparentemente disgrazie, “tutto confluisce al bene degli eletti” (Rm 8, 28). Eppure, lo sappiamo bene, il tipo del cristiano pauroso è in proverbio, il cristiano che ha paura di professare la verità, ha paura del clamore degli altri, del numero degli altri, della potenza delle tenebre.
La prima Lettura ci porta l’esempio di Elia, voi lo ricordate in che tempo viveva Elia, dirà lui stesso al re: - Sono restato io solo, io solo in mezzo a un popolo che non crede più. Sono quattrocento i sacerdoti di Baal, il Dio falso, sono solo io! Era solo in un popolo, ma non aveva paura. E Dio gli si manifesta nel venticello gentile e quieto, là sulla roccia dell’Oreb, quasi a dirgli: ma perché vuoi aver paura? Basta un venticello a sgominare tutta la potenza del male!
Il cristiano teme di esser solo, teme di andare contro corrente, il cristiano teme il sorriso di scherno degli altri, teme di non adeguarsi ai loro costumi. Il cristiano pavido fa così. E non cresce! È sempre come il debole adolescente che si adegua alla compagnia che trova, ai discorsi che trova, perché ha paura di essere tacciato da bambino: è un complesso di inferiorità. Il cristiano non ha paura quando si sente vivamente unito al Signore, sente che non per motivi umani, non per ragionamenti umani, non per altro motivo deve restare saldo, e ritorna l’espressione che dovremmo ripetere spesso: “Il nostro aiuto è nel nome del Signore che ha fatto cielo e terra”. Vivere in coerenza, vivere secondo non le nostre idee, secondo le comunicazioni dello Spirito. Altrimenti siamo dei pessimi credenti, altrimenti non ci eleviamo al di sopra della triste mediocrità.
Quanti cristiani restano perpetuamente mediocri, slavati, stinti, senza spina dorsale. Vivacchiano così, come vivono i pagani, i pagani che hanno una certa onestà e in questo cercano di salvare la loro coscienza.
Il Cristianesimo, voi lo sapete bene, è stato definito fin dai tempi apostolici “un excessus”, che vuol dire “un andare di là dalla misura”. Il Cristianesimo è dono totale a Dio, perché Dio si è donato senza misura a noi in Gesù.
Facciamo l’esame di coscienza e, se troviamo nel nostro cuore delle viltà, dei compromessi, se troviamo dei sedativi spirituali che abbiamo applicato alla nostra anima, vergogniamoci e, davanti a Dio, proponiamo di essere dei cristiani veri, dei cristiani veramente in quella linea che accennava san Paolo, quando diciamo con lui: “La testimonianza dello Spirito Santo ci rende tranquilli” (Rm 8, 15-16). Ecco, ci rende tranquilli perché forti e perché sereni.
CODICE | 81H8O0133IN |
LUOGO E DATA | Sant'Ilario d'Enza, 09/08/1981 |
OCCASIONE | Omelia, XIX Domenica Tempo Ordinario - Anno A |
DESTINATARIO | Comunità Parrocchiale |
ORIGINE | Registrazione |
ARGOMENTI | Coraggio, coerenza, serenità – Il cristiano pavido |
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