13/07/1980 - Omelia XV Domenica Ord messa 6.30 e 8.15

Sant'Ilario d'Enza, 13/07/1980
Omelia, XV Domenica Tempo Ordinario – Anno C - Ore 6,30 e ore 8,30

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Dt 30, 10-14; Col 1, 15-20; Lc 10, 25-37

ore 6, 30

"…che devo fare per ereditare la vita eterna?" (Lc 10, 25). La risposta è ben chiara e precisa: “Amerai il Signore Dio tuo, amerai il prossimo, gli altri come te stesso”(cfr. *Lc 10, 27). L’amore è dunque la legge, l’amore è dunque l’esigenza suprema. Bisogna amare Dio non in qualsiasi maniera: bisogna amare Dio con tutto il cuore. Dio non può essere uno in mezzo a tutti gli altri. Fermiamoci a riflettere su questo punto, come le esigenze dell’amore divino sono assolute. Bisogna amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la forza, con tutta la mente. E l’amore non può essere una parola e l’amore non si può ridurre a un sentimento: l’amore a Dio deve coinvolgere tutto l’uomo, deve coinvolgerlo nella sua interiorità (mente e cuore), lo deve coinvolgere in tutta la sua esteriorità (le sue parole, i suoi gesti). L’uomo deve sentire che ha ricevuto tutto da Dio e che continuamente riceve e che deve dare a Dio, perché Dio è il Signore, è il Creatore, ma non un creatore lontano e impassibile: un Dio che per primo ci ha amato, che ci ha amato prima ancora che fosse il mondo e, proprio perché ci ha amato, ci ha suscitato all’essere; e ci ha amato tanto, da dare il suo Figlio unigenito in remissione dei nostri peccati; e ci ha amato tanto, da cercare la nostra amicizia, da cercare il colloquio intimo con ognuno di noi. A questo Dio, che ha amato da Dio infinitamente, noi dobbiamo corrispondere, e non ha la vita eterna chi, anche in parte, non corrisponde.

Interroghiamoci allora in questa Liturgia sul vero, effettivo nostro amore, se è vero che amiamo Dio, o se invece il peccato è spesso nella nostra vita, un peccato accolto e accarezzato, un difetto, lo chiamiamo così, accettato e reso come forma della nostra vita di ogni giorno. Chiediamoci se amiamo Dio quando preghiamo, quale fedeltà e quale generosità esprimiamo nella nostra preghiera, come cerchiamo di dimostrare l’amore di Dio, facendo sempre quello che piace a Lui. “Un comandamento nuovo”, diceva Gesù, che donava a noi un comandamento, allora, che non era stato eseguito; un comandamento che anche per noi rischia di non essere, così, posto in pienezza.

Interroghiamoci: l’amore di Dio è la cosa più grande, è la cosa più bella, è quello che dà maggiore pace, è quello che ci ottiene maggiori benefici. Poveri noi, se amiamo poco Dio! Poveri noi, se non sappiamo usare la vita come manifestazione e come mezzo di amore a Dio!

Ore 8, 30

“Amerai, amerai il Signore Dio tuo, amerai il tuo prossimo” (*Lc 10, 25).

Siamo interrogati su quella grande forza e quella grande realizzazione, che chiamiamo “amore”. Siamo interrogati, perché la nostra vita vale in tanto in quanto esprime amore. Pensiamo bene a questa parola, che tante volte è equivocata, è intesa male, della quale si abusa perché si vuole sfuggire alla sua logica. “Amore” non si riduce a un sentimento, ancora meno si può ridurre alla passione. L’amore è un sentimento che coinvolge tutto l’essere. Amore è un movimento dell’anima verso il bene, è un movimento dell’anima e non è e non può essere quindi disgiunto dalla ragione. È un movimento, per cui siamo attirati verso quello che risplende, verso quello che vale, verso quello che può essere fonte della nostra gioia.

Ecco perché verso Dio che è il sommo bene, l’infinita bellezza, l’oceano di ogni gioia, noi dobbiamo tendere con tutta la nostra anima; non tendere, non amare Dio è allora misconoscere Dio, è non apprezzarlo e non valutarlo, è disprezzo di Dio. E il peccato essenzialmente è definito un allontanarsi da Dio e un piegarsi verso una creatura; cioè, e sta qui la malizia del peccato, è preferire una creatura al Creatore, è stimare di più una creatura dell’infinito Dio, di Colui che è la pienezza dell’Essere. Ecco perché tante volte, nella Sacra Scrittura, il peccatore è chiamato uno stolto, uno sciocco, proprio perché non sa valutare: raccoglie una goccia e lascia un oceano.

Oh, noi dobbiamo riflettere a lungo e dolerci di quando abbiamo fatto i peccati, perché abbiamo fatto una cosa senza senso! La logica ci porta all’amore di Dio, ci porta alla considerazione somma di Dio, sapendo che Dio è tutto, sapendo che Dio è l’infinita sorgente di ogni gioia e di ogni bene; è rendere logica la nostra vita, è renderla retta e sicura.

“Amerai il Signore Dio tuo”. E Lui è l’Assoluto, e noi dobbiamo amarlo quanto possiamo, assolutamente, totalmente, pienamente. E noi, per quanto facciamo, non lo ameremo mai quanto Lui è degno di amore, quanto Lui deve essere da noi riconosciuto grande e amabile.

Dobbiamo pentirci molto dei nostri peccati, proprio perché hanno rappresentato una parentesi irrazionale della nostra esistenza, proprio perché sono stati un non senso. Amare Dio è amare la pienezza di ogni perfezione. Amare Dio è porre in Lui giustamente tutta la nostra speranza e la nostra attesa. Amare Dio, e non accontentarci di un suono delle labbra, e non accontentarci di un sentimento vago: l’amore a Dio si dimostra con le opere. Ama Dio chi fa la sua volontà, ama Dio chi gli ubbidisce, ama Dio chi rinnega la propria passione, il proprio egoismo e segue fedelmente la sua legge. Ama Dio chi ama il prossimo, perché altrimenti, dice l’apostolo san Giovanni, quel tale si deve definire bugiardo, perché dice di amare Dio che non vede e non ama il prossimo che vede. E il prossimo è l’immagine di Dio, e il prossimo è amato da Dio. Interroghiamoci dunque in questa domenica sul nostro effettivo amore, sulla nostra vera carità, perché è questa che vale, è questa! Tutto il resto è ben secondario! “Ama e fa’ quello che vuoi”, ma ama veramente, ma ama pienamente, ma ama gioiosamente ogni giorno.

CODICE 80GCO0133EN
LUOGO E DATA Sant'Ilario d'Enza, 13/07/1980
OCCASIONE Omelia, XV Domenica Tempo Ordinario – Anno C - Ore 6,30 e ore 8,30
DESTINATARIO Comunità Parrocchiale
ORIGINE Registrazione
ARGOMENTI Amore
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