08/10/1972 - Omelia XXVII Domenica Ord

Sant'Ilario d'Enza, 08/10/1972
Omelia, XXVII Domenica Tempo Ordinario - Anno A

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Is 5, 1-7; Fil 4, 6-9; Mt 21, 33-43

Il piano di Dio si attua in una collaborazione: c’è l’amore fervido di Dio e c’è il sì dell’uomo. L’amore di Dio così forte, così premuroso, così assiduo. L’uomo, secondo l’espressione di Isaia, “É il diletto” (Is 5, 1), è colui che Dio ama, è colui che Dio cerca. Sembra, come dice un padre della Chiesa, sant’Agostino, sembra che l’uomo sia come la finalità di Dio, cioè tutto Dio fa nell’amore e non c’è nulla che non sia amore nelle sue opere. Ecco l’immagine adoperata dal profeta: la vigna, che è meravigliosamente curata, rappresenta il popolo di Dio e rappresenta ogni componente di questo popolo. Gesù riprende l’immagine e porta l’attenzione sui coltivatori, i vignaioli (Mt 21, 33-43). L’immagine è la stessa, Gesù sottolinea in modo particolare la responsabilità del frutto, la responsabilità del saper donare, del saper restituire, perché Dio è il grande benefattore, al quale noi dobbiamo restituire qualche cosa in ordine all’uso buono della nostra libertà. Ed ecco la nostra storia: “Io aspettai che facesse uva. Non ha fatto che dell’uva cattiva, selvatica” (cfr. Is 5, 2), non ha fatto che dell’uvaccia. Ecco la nostra storia di non corrispondenza all’amore di Dio. Ecco la nostra cattiva condotta, per cui crediamo di fare, crediamo di produrre ma, perché non lo facciamo nell’amore di Dio, è solo dell’uva cattiva. Il nostro orgoglio crede di realizzare, ci poniamo in una lode di noi stessi, ma davanti a Dio è solo un’opera che va demolita: “Demolirò il suo muro e verrà calpestata” (ib. 5). E non c’è una peggiore rovina, di quando l’uomo è in balia di se stesso, di quando l’uomo fa da solo: “Vi cresceranno”, per riprendere l’immagine di Isaia, “Vi cresceranno rovi e pruni, perché egli ha comandato alle nubi di non mandarvi la pioggia” (ib. 6). Ciò che si aspetta da noi il Signore, ciò che si aspetta dalla nostra buona volontà, ciò che si aspetta il Signore da noi come suo popolo, il popolo dei battezzati. Ed è dunque una grande revisione di vita che noi dobbiamo fare su questa Parola di Dio, perché il fallimento è solo nostro, le opere di Dio proseguono: “Egli”, dice il Signore, “darà la vigna a degli altri che sappiano dare i frutti a suo tempo” (cfr. Mt 21, 41). L’opera di Dio non viene certamente fermata, è la rovina nostra, perché è la rovina di coloro che si chiudono nel loro egoismo, che non pensano agli altri, che vanno avanti così, scioccamente, pensando che la loro fede maturi solo in una devozione, mentre la devozione vera è quella che si traduce nelle opere.

Guardiamo allora all’esortazione finale di Gesù: come possiamo portare frutto? Rimanendo in lui: “Rimanente in me”, lo ha detto lui (Gv 15, 4). “Rimanete in me, perché lui è la pietra che è diventata testata d’angolo. Ecco una maggiore unione nostra col Signore Gesù, che si attua attraverso una riflessione assidua della sua Parola e una comunicazione al suo Corpo e al suo Sangue, che noi riceviamo insieme e che deve essere motivo e segno della nostra unità, che deve essere sempre per ognuno di noi la gioia e la forza per andare avanti. La pietra è lui e su questa pietra edificheremo anche come popolo, perché non avvenga a noi la maledizione, che è arrivata a coloro cui Gesù parlava: “Vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare” (Mt 21, 43).

CODICE 72L7O0133QN
LUOGO E DATA Sant'Ilario d'Enza, 08/10/1972
OCCASIONE Omelia, XXVII Domenica Tempo Ordinario - Anno A
DESTINATARIO Comunità parrocchiale
ORIGINE La vigna di Dio siamo noi
ARGOMENTI La vigna di Dio siamo noi
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