04/10/1981 - Omelia XXVII Domenica Ord

Sant'Ilario d'Enza, 04/10/1981
Omelia, XXVII Domenica Tempo Ordinario - Anno A - Festa di San Francesco

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Is 5, 1-7; Fil 4, 6-9; Mt 21, 33-43;

La parabola della vigna riguarda il popolo d’Israele, ma riguarda ancora noi. La vigna del Signore è il suo popolo e ognuno di noi sa che è stato ben coltivato, è stato coltivato con amore, è stato coltivato con una grande premura: “E aspettò che facesse il frutto, ma fece solo dell’uva selvatica” (Is 5, 2). Se questo è il nostro frutto, quanto dobbiamo temere! Dobbiamo temere perché non abbiamo corrisposto all’amore. Chi di noi può dire che il Signore non si è interessato di lui? Siamo stati colmati di grazie, siamo stati perseguitati dalla grazia. Il Signore non ci ha lasciato respiro, non ci lascia respiro. Ogni momento è alla porta del nostro cuore e bussa, e ripete le parole del Cantico dei Cantici: “Aprimi … Aprimi” (Quarto poema 2). Ognuno di noi sa come è stato amato da Gesù, come è stato circondato di tutte le più grandi delicatezze. Il Signore Gesù ci ha veramente amati. E la paura è proprio lì, che respingendo l’amore finiamo come i vignaioli perfidi, finiamo così fuori dalla sua vigna, fuori dalla sua misericordia.

E noi dobbiamo perciò rivedere il nostro comportamento con Lui, che cosa è per noi, che cosa rappresenta per noi Gesù, il nostro Redentore. Che cosa è per noi?

Ecco, noi Lo dobbiamo conoscere, perché senza la sua conoscenza non abbiamo la luce. Noi Lo dobbiamo amare perché Lui ci ha amato per primi e ci ha donato tutto. Noi Lo dobbiamo seguire ed essere veramente suoi discepoli, noi dobbiamo gloriarci di Lui e ritenere la più grande delle fortune il poterlo portare nella nostra vita. Noi Lo dobbiamo imitare, perché tutto quello che è in Lui è amabile e grande e vero e giusto. Noi Lo dobbiamo annunziare perché, se non Lo proclamiamo, siamo colpevoli di fronte ai nostri fratelli. Noi Lo dobbiamo vivere perché è il centro della nostra esistenza, perché ci ha comunicato la sua vita, perché è alla base di ogni nostro palpito e di ogni nostra aspirazione. “Io sono la vite e voi i tralci, chi rimane in me e io in lui porta molto frutto” (Gv 15, 5).

Per essere coltivati bene dobbiamo iniziare e proseguire il nostro rapporto con Lui, iniziarlo, perché delle volte è ancora da cominciare. Troppo distante ci appare Gesù, troppo sfuocato nel campo della nostra ottica. Noi dobbiamo relazionare con Lui in potenza e in onore, noi dobbiamo lasciarci guidare da Lui in ogni nostra cosa. Quanto siamo pigri, quanto siamo ribelli, quanto siamo svagati! Troppe volte è questo il giudizio che dobbiamo dare di noi stessi.

“Proteggi il ceppo che la tua destra ha piantato, il germoglio che ti sei coltivato” (Sal 79, 16) e ci ha coltivato con la tenerezza di una mamma e con la potenza di un Dio. Ci ha coltivato. E questo germoglio non progredisce, e questo germoglio dà frutti cattivi e questo germoglio cerca pascolo dove non lo deve trovare e intristisce. Ecco, una vita cristiana generosa e piena, fedele e impegnata: “Tutto ciò che è vero – soggiunge Paolo – nobile, giusto e puro” (Fil 4, 8), questo seguiamo; ciò che abbiamo imparato e veduto, quello dobbiamo fare. Ed è in questo senso la nostra volontà, la volontà di essere docili al suo Spirito, di farci condurre da Lui, di non desistere nel nostro lavoro. Il lavoro dei campi è duro, ma più duro è il lavoro attorno alla nostra anima, ma quest’anima non deve essere abbandonata, perché Cristo l’ama e nell’amore di Cristo anche noi diventiamo potenti, anche noi diventiamo validi, anche noi possiamo veramente portare i frutti, anzi i molti frutti che Lui si aspetta.

CODICE 81L3O0133QN
LUOGO E DATA Sant'Ilario d'Enza, 04/10/1981
OCCASIONE Omelia, XXVII Domenica Tempo Ordinario - Anno A - Festa di San Francesco
DESTINATARIO Comunità Parrocchiale
ORIGINE Registrazione
ARGOMENTI Noi vigna del Signore – Lasciarsi coltivare per dare frutto – Lavorare nella nostra anima
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