Es 22, 20-27; 1 Ts 1, 5-10; Mt 22, 34-40
MESSA ORE 6, 30
L’infinito amore, che ha creato per amore, che ha dato alle sue creature una partecipazione della sua intelligenza e del suo amore, vuole che queste sue creature capiscano, vedano l’ordine giusto delle cose e che sappiano amare. Perché qual è la felicità infinita di cui gode Dio, se non la verità e l’amore? Dio è infinito Spirito e lo Spirito è verità e lo Spirito è amore. E quando Gesù ci svelerà la vita intima di Dio, ci dirà: “Dio è tanto verità, è tanto amore, che in lui la verità è una Persona, che in lui la verità si chiama il “Verbo”, il Figlio; che Dio è tanto amore, che in lui l’amore dà luogo ad una Persona, lo Spirito Santo. È lo Spirito Santo l’amore infinito tra il Padre e il Figlio e la gioia allora di Dio sta proprio in questa perfetta relazione di verità e di amore”. L’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio. Dio ha dato all’uomo una mente per comprendere il vero, ha dato all’uomo una volontà per seguire ciò che è vero e perciò una verità che sia guidata dall’amore. Educarci, allora, è educarci a cercare ciò che è vero sempre e ad amare sempre ciò che è vero. È in questa ricchezza che sta poi la nostra felicità, perché non c’è felicità nella menzogna e non c’è felicità nel rifiuto dell’amore, nell’egoismo e nella cattiveria. Crescere allora nella nostra vita cristiana è crescere esattamente così, nella fede che è una facoltà che Dio ci dà per vedere le cose come le vede lui; sta nella speranza, con la quale noi desideriamo i beni eterni, cioè desideriamo nella vita ciò che veramente vale, ciò che veramente è vero e particolarmente nella carità. Con questa virtù, noi veniamo a partecipare, per dire, al cuore di Dio, cioè amiamo Dio come Dio ama, amiamo Dio in se stesso e amiamo il prossimo nell’amore di Dio. Crescere nell’amore allora, ecco, è quello che dobbiamo fare nella vita; attraverso le nostre opere, attraverso l’osservanza dei comandamenti noi ci educhiamo all’amore. Se un comandamento non viene fatto per amore, anche se osservato, è piccola cosa; invece anche la minima tra le cose, se viene fatta per vero amore a Dio, ha un grande valore. Dobbiamo perciò capire l’essenziale e non disperderci in tante piccole cose secondarie. L’essenza del nostro essere cristiani sta in questo esercizio che la Chiesa ci propone in questa Liturgia fin dalla preghiera iniziale: “Signore, accresci in noi la fede, la speranza e la carità”, una crescita che è maturazione, una crescita che è santità. Diventiamo allora sempre di più persone di fede, vedendo le cose in Dio e per Iddio. Diventiamo persone animate sempre da una speranza soprannaturale, per dare il giusto valore e la giusta proporzione alle cose. Diventiamo particolarmente ricchi della carità, che Cristo ha portato sulla terra e che vuole come un fuoco che sia acceso. Educandoci così, ci educheremo ad essere veramente quello che il Signore ha voluto e stabilito per noi, perché, terminata questa vita, terminerà la fede e cesserà la speranza, ma in eterno ci sarà la carità ed è nell’amore che sarà la nostra pace eterna.
OMELIA 8,30
Amare Dio, amare il prossimo. È bello ed è facile dirlo. Sono molti che lo dicono, ma torna una grande parola di Gesù che ci spiega il senso di quest’amore: “ Non chi mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio, che è nei cieli” (Mt 7, 21). L’equivoco, diciamo l’illusione, nasce proprio su questa parola: “amare”. Non si ama che a determinate condizioni. La prova dell’amore sta nei fatti: “Signore, fa' che amiamo ciò che comandi”. È la grande preghiera della Liturgia di oggi: “Fa' che amiamo ciò che comandi”, i fatti, le opere. La liturgia sottolinea esemplificando, avete sentito nella prima lettura? Non si può dire che uno ama Dio e che ama il prossimo se non viene al pratico, se non rinuncia agli interessi egoistici: “Se presti denaro…” (Es 22, 24), “Se prendi in pegno il mantello…” (ib. 25) eccetera, sono cose pratiche, qui si dimostra se uno ama Dio, riconoscendo il dono di Dio: “Siete stati forestieri nel paese d’Egitto” (ib. 20).
E il secondo esempio nell’altra Lettura: San Paolo ai Tessalonicesi sottolinea la necessità della comprensione, di una comprensione spirituale degli altri, di un aiuto dato agli altri nella tribolazione. È evidente allora: possiamo dire di amare Dio, possiamo dire di amare il prossimo? Guardiamo quello che noi facciamo. Se la nostra vita è una vita proiettata così, solo in quello che ci piace, solo in quello che ci è comodo; se crediamo di servire Dio facendo il nostro capriccio, ecco, anche se diciamo tutto il giorno: “Io ti amo, Signore”, tutto il giorno non facciamo che dire delle bugie. Allora la preghiera diventa bugia, allora la preghiera diventa una forma odiosa di falsità, perché è vero che sono stati tanti che hanno proclamato il loro amore a Dio, ma la loro opera è stata solo di danno e di confusione. Il nostro interrogativo deve allora andare nel profondo, sulla coerenza della nostra vita, sulla generosità pratica: l’impuro, se non si corregge dai suoi peccati, non può dire: “Signore, ti amo”. Non lo può dire, perché tutta la sua vita lo smentisce. Se tenta di correggersi, se s'impegna, allora sì, può dire: “Signore, ti voglio amare, aiutami ad amarti!”. L’ingiusto, l’oppressore, colui che danneggia gli altri negli interessi, colui che fa solo quello che gli porta profitto, non può dire: “Signore, io ti amo”, ecco la vita che smentisce le parole. Il discorso perciò della nostra sincerità, della nostra coerenza parte proprio dalla nostra preghiera, dal nostro atteggiamento verso Dio. È così in tutto, è così in ogni circostanza, la prova del nostro amore sta nella ricerca umile e generosa della volontà del Signore: “Sia fatta la tua volontà”, ecco l’amore. Sia fatta sempre, anche quando non mi piace, anche quando io devo prendere delle posizioni difficili: “Sia fatta la tua volontà”, quella volontà di Dio manifestata nella sua rivelazione, ecco la riflessione sulla Parola di Dio, quella volontà di Dio manifestata attraverso la sua Chiesa, quella volontà di Dio manifestata nell’intimo della nostra coscienza: “Sia fatta la tua volontà”. Ecco, educarci all’amore è educarci a fare la volontà del Signore. Ogni giorno sia questa la nostra autentica devozione, ripetere al Signore di voler fare la sua volontà e cercare di tradurla nelle opere, giorno per giorno, come dovessimo subito dopo comparire davanti a lui. Di che cosa saremo giudicati al tramonto della nostra vita? Saremo giudicati dall’amore, cioè saremo giudicati da quanto abbiamo fatto la volontà del Padre. La nostra vita sarà benedetta se è stata una ricerca continua di questa volontà. Sia allora un nuovo motivo di confronto questa Liturgia, ognuno di noi si chieda: quanto faccio la volontà di Dio? Cerco di far piacere a Dio, o in fondo il centro sono sempre io, un centro odioso di egoismo? Odioso, perché mi pongo così in opposizione al Signore, in opposizione ai miei fratelli. Sostituire questo “io” egoistico con Dio, la nostra cattiva volontà con la sua adorabile, santissima volontà.
CODICE | 75LRO0133TN |
LUOGO E DATA | Sant’Ilario d’Enza, 26/10/1975 |
OCCASIONE | Omelia, XXX Domenica Tempo Ordinario - Anno A - Messa ore 6, 30 e 8, 30 |
DESTINATARIO | Comunità parrocchiale |
ORIGINE | Registrazione |
ARGOMENTI | Crescere nella fede ed educarci all’amore |
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