27/10/1974 - Omelia XXX Domenica Ord ore 6.30 e 8.15

Sant'Ilario d'Enza, 27/10/1974
Omelia, XXX Domenica Tempo Ordinario - Anno C - Messa ore 6,30 e 8, 30

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Sir 35,12-14.16-18; 2Tm 4,6-8.16-18; Lc 18, 9-14

MESSA ORE 6,30

Il fariseo era uno contento di sé, il pubblicano era sommamente scontento di sé. Raccontando la parabola, Gesù mette in risalto dunque questa idea, l’idea che l’uomo deve riconoscere quanto ha ricevuto e riceve da Dio e deve sentire la propria abissale povertà.

In fondo il fariseo non si può limitare ad una categoria di persone, non l’intendeva nemmeno Gesù, ma piuttosto in un atteggiamento di autosufficienza, in un essere soddisfatti del proprio lavoro, come nel regno di Dio non si dovesse sempre progredire, fare di meglio, agire di più. E noi dobbiamo ben riflettere su questa posizione. San Paolo, nella seconda Lettura, ci ha detto quella che è stata la sua buona battaglia e le sue parole ci tracciano la strada per poter dire: “Non voglio essere in un atteggiamento farisaico”. San Paolo dice di battaglie, dice di corse: “Ho terminato la mia corsa” (2Tm 4, 7).

Ecco, la vita cristiana deve essere posta così: un correre, un combattere, un conservare la fede che è conquista quotidiana; cioè, per essere ben posti nel regno di Dio, ogni giorno c’è un lavoro da fare, ogni giorno ci sono delle tentazioni da vincere, ecco perché la pigrizia è considerata una tentazione di fondo. Il pigro desiste dall’attivismo, il pigro rinuncia, il pigro non sta alle sollecitazioni della fede; dopo averla ascoltata un po’, si adagia nella sua istintività, nel suo comodo momentaneo, nel suo capriccio.

L’esortazione allora sta proprio qui: non passi un giorno senza fare un passo in avanti nella nostra vita cristiana, nella nostra virtù, nel nostro impegno. Calcoliamo ogni giorno come fosse il primo, in cui noi siamo a servizio del buon Dio e, nello stesso tempo, come fosse l’ultimo. Se sapessimo di avere solo una giornata, solo una e poi l’eternità, come vorremmo riempire di bene, di preghiere fatte con tutta l’anima, di opere buone, di testimonianza! Diremmo: “Abbiamo solo una giornata, com’è preziosa!”.

Ebbene, ponendoci in questa situazione, sia la nostra vita un vero sforzo di bene. Non desistiamo mai dal fare le opere buone, le opere di virtù e di generosità. Impegniamoci sempre maggiormente, tesi alla grazia di Dio, tesi a quello che la Scrittura chiama l’anelito della santità.

MESSA ORE 8, 30

Domenica scorsa la Liturgia insisteva sulla necessità della preghiera; oggi pone una sottolineatura forte sul modo di pregare: non basta pregare, bisogna pregare bene. E particolarmente nella preghiera sta l’impegno dell’umiltà, perchè l’umiltà è posizione veritiera, autentica. Presentarsi a Dio con una maschera, presentarsi a Dio in una bugia è essere rifiutati da Dio.

E quand’è allora? E l’interrogativo è profondo, direi, dovrebbe essere sconcertante: ma chi è fariseo? Perchè abbiamo la tendenza a costituire un tipo di fariseo in cui noi siamo fuori, vediamo degli altri farisei. Noi, diciamo, detestiamo questa posizione, ma il fariseismo non è legato ad una categoria di persone; il fariseismo si è moltiplicato e il fariseismo è costituito soprattutto, mi pare, da un senso di autosufficienza, uno che è bastevole a sé, uno che sa trovare la sua strada indipendentemente da tutto, forse delle volte, si dice, anche dalla Chiesa: “Prendo io la mia strada e mi incontro con Dio”, così come si illudeva l’uomo della parabola, che pensava di essere gradito in questo suo soliloquio, “pregava tra sé”. “Pregava tra sé” che cosa vuol dire? Che la sua preghiera era autocompiacersi; diceva così: “Ti ringrazio, sono un privilegiato, non sono come gli altri”.

Il fariseismo è diffuso proprio perchè porta l’uomo a porsi in una posizione diversa, in una posizione in cui uno non si compiace di Dio, ma si compiace di quello che lui ha fatto, o addirittura di quello di cui uno ha intenzione di porre opere.

Nella seconda Lettura abbiamo sentito la testimonianza che di sé dà Paolo alla vigilia della morte: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede” (2Tm 4, 7). Il gigante del cristianesimo, che con grande, profonda umiltà diceva di se stesso: “Ho conservato la fede” (ib.). Non ha detto: “Ho fatto prodigi”, non ha detto: “Io resterò nei secoli a luce di testimonianza”, ha detto: “Ho conservato la fede” (ib.).

Il combattere il fariseismo è riconoscere i propri limiti, è riconoscere i propri difetti, è riconoscere le proprie miserie, è riconoscere quanto ci manca. E la preghiera diventa l’espressione vertice, nella preghiera noi prendiamo atto della nostra miseria e diciamo a Dio la nostra lode, la nostra gloria, il nostro onore. “Non a noi, Signore, non a noi, ma al tuo nome da' gloria” (Sal 115, 1).

Ecco, è in questo senso che dobbiamo sentire la prima Lettura. Il Signore è giudice e la preghiera dell’umile penetra le nubi; il Signore è giudice, cioè, nessun uomo può giudicare di se stesso, nessuno uomo può giudicare tanto meno degli altri. Ogni uomo deve riconoscere i doni di Dio, deve riconoscere la propria miseria, il proprio peccato; deve dire quando ha fatto tutto: “Io sono un servo inutile” (Lc 17, 10).

Impariamo a pregare ed è allora la preghiera della vita, che è preghiera di servizio, che è preghiera continuata di impegno e di dono.Allora la vita stessa è un cantico al Signore, allora la vita stessa è una manifestazione piena del senso evangelico.

La nostra commemorazione di oggi, ecco, ci presenta un esempio che è stato tra noi, ecco, proprio in questo senso: nel senso della fede, nel senso dell’umiltà, nel senso del servizio, nel senso vero che il Signore ha sottolineato nella frase: “Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato” (Lc 14, 1).

CODICE 74LSO0133TN
LUOGO E DATA Sant'Ilario d'Enza, 27/10/1974
OCCASIONE Omelia, XXX Domenica Tempo Ordinario - Anno C - Messa ore 6,30 e 8, 30
DESTINATARIO Comunità parrocchiale
ORIGINE Registrazione
ARGOMENTI Saper pregare
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  • “È evidente come Don Pietro abbia vissuto il suo sacerdozio
    tra la vita delle persone, condividendo tutto. 
    In fondo, forse, è il segreto più prezioso che ci ha svelato.”
    Umberto Roversi

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