26/10/1986 - Omelia XXX Domenica Ord

Sant’Ilario d’Enza, 26/10/1986
Omelia, XXX Domenica Tempo Ordinario – Anno C

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Sir 35,12-14.16-18; 2 Tm 4,6-8.16-18; Lc 18,9-14.

Dobbiamo meditare sull’efficacia della preghiera, perché quando è confidente e umile penetra i cieli. Devono essere giorni per noi di grande preghiera. Ci dobbiamo unire al Papa che domani ad Assisi vuole particolarmente che si alzi un coro di preghiera, da tutti, per la pace nel mondo, per il trionfo della giustizia. Uniamoci a lui e meditiamo sulla nostra preghiera perché valga, perché è una potenza che abbiamo in mano. Chi prega ottiene: “Bussate e vi sarà aperto” (Lc 11,9). È una potenza che abbiamo e non possiamo buttarla così, non possiamo permettere che esca da un cuore disordinato, da un cuore non caritatevole perché il Signore vuole la giustizia, vuole la verità, vuole quindi la carità.

Dobbiamo essere molto caritatevoli verso gli altri per essere graditi a Dio. Caritatevoli, non come il fariseo della parabola (Lc 18,11). Perché è facile anche per noi − ed è comune! − la tentazione di vederci bene, di vedere bene noi e di vedere gli altri male. Diamo sempre la colpa delle cose che non vanno, agli altri e non diamo mai la colpa a noi stessi. E osserviamo ciò che manca negli altri e non osserviamo ciò che manca a noi. Il Signore ci ha detto: “Perché vuoi togliere il busco dall’occhio del tuo fratello, quando nel tuo hai una trave? Levati prima la trave e poi potrai dire − ipocrita che sei! − potrai dire a tuo fratello: Ti tolgo il busco” (cfr. Lc 6,41-42). Quanta realtà! È la realtà di ogni giorno perché preghiamo Dio e offendiamo i fratelli. Preghiamo Dio e siamo nell’egoismo e cresciamo nell’egoismo e non vogliamo superare l’egoismo. Le nostre preghiere non valgono.

Dobbiamo essere quanto più possiamo veritieri cioè umili, sapendo prendere i nostri pesi e non volendo darli agli altri, volendo prendere la nostra parte di responsabilità e volendo fare come il pubblicano. Sentire il peso dei nostri peccati, sentire il desiderio che Dio ce li perdoni. “Oh, Dio! − diceva il pubblicano − abbi pietà di me peccatore” (Lc 18,13). Non aveva nulla da vantarsi. Riconosceva solo il suo torto. Il fariseo invece aveva da vantarsi e la sua preghiera finiva lì.

Noi cristiani dobbiamo essere così veramente logici che capiamo come il bene che è in noi è dono di Dio e per il bene che è in noi dobbiamo dare la responsabilità a tutte le misericordie del Signore. È il Signore che ci ha perdonato, è il Signore che ci vuole condurre. Siamo docili alla sua parola, siamo docili al suo invito, siamo docili e realizziamo in profondità. La profondità della carità.

San Paolo ci osservava nella lettera come, solo dopo aver lavorato, si può aspettare la corona di giustizia che il Signore giusto giudice ci consegnerà in quel giorno. Giusto giudice. Il Signore guarda il cuore. Il Signore guarda le opere. Non dobbiamo guastare il cuore e le opere con delle posizioni ipocrite e mentoniere. Solo lavorando, solo impegnandoci, solo moltiplicando le opere buone possiamo aspettare dal Signore la giusta ricompensa. Perciò impegniamoci a lavorare con fede, a lavorare con gioia, a lavorare con perseveranza.

CODICE 86LRO0133TN
LUOGO E DATA Sant’Ilario d’Enza, 26/10/1986
OCCASIONE Omelia, XXX Domenica Tempo Ordinario – Anno C
DESTINATARIO Comunità parrocchiale
ORIGINE Registrazione
ARGOMENTI Efficacia della preghiera; carità, umiltà
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