15/11/1987 - Omelia XXXIII Domenica Ord

Sant’Ilario d’Enza, 15/11/1987
Omelia, XXXIII Domenica Tempo Ordinario – Anno A

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Pro 31,10-13. 19-20. 30-31; 1 Ts 5, 1-6; Mt 25, 14-30.

La parabola è per noi, perché tutti abbiamo ricevuto e verrà per ognuno di noi il momento del rendiconto: “Volle regolare i conti con loro”. Il momento del rendiconto lo chiamiamo «il giudizio di Dio», il giudizio che Dio darà della nostra vita. Che cosa vale la nostra vita? Che significato ha?

Ecco, ce lo dice il Signore: è un servizio, un servizio che dobbiamo fare e verrà più o meno all’improvviso, più o meno presto o tardi il giorno del rendiconto. “Dammi conto dei beni che ti ho dato, delle cose che ti ho affidato da ammaestrare”. Oh, quel giorno, quel terribile giorno quando partiremo da soli! Notate: da soli. Nessuno sarà con noi, né gli amici, né i familiari, nessun altro. Da soli partiremo e andremo davanti a Lui e Lui darà il giudizio sulla nostra vita. Che cosa ne hai fatto delle grazie che ti ho così abbondantemente dato, delle grazie nell’ordine naturale e delle grazie nell’ordine soprannaturale? Che ne hai fatto? Che ne hai fatto? La Parabola ci deve dare molta paura, perché il servo che è stato buttato fuori, “nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti”, non aveva sciupato il talento, lo aveva solo nascosto. Ma se noi davanti a Dio dovessimo confessare che abbiamo sciupato, che abbiamo rovinato, che non solo abbiamo nascosto e che siamo stati fannulloni, ma che abbiamo rotto? Il Signore ci ha dato una mente per la verità, se noi l’avessimo adoperata per l’errore? Ci ha dato una volontà perché tenda al bene, se l’avessimo adoperata per tendere al male, per compiacerci del male, per essere così sciocchi da rovinare proprio le cose più belle che ci ha dato Lui? Voi sapete cosa sono «le tenebre»: è l’inferno. Sapete cosa sono «il pianto e lo stridore di denti»: è il tormento che non cessa mai.

Sì, dobbiamo avere paura di andare all’inferno, dobbiamo avere paura! Si chiama «timore di Dio», si chiama «responsabilità» che dura per l’eternità. Dobbiamo avere paura, perché con gli uomini riusciamo a fare bella figura, anche se siamo sciupati, ma con Dio no. Dio è la stessa verità, Dio è il giudice imparziale. Dal momento, da quel momento, dipende tutta l’eternità. Passeranno i secoli, si sconvolgerà il cielo, tutto cambierà, ma chi va all’inferno sarà all’inferno per sempre, per sempre e dopo cento secoli ricomincerà da capo. Verso la fine di quest’anno liturgico ci dobbiamo chiedere: se oggi dovessimo comparire davanti al tribunale di Dio, com’è la nostra anima? Che sicurezza abbiamo di un giudizio positivo? Cosa abbiamo rovinato o sciupato? Abbiamo resistito alla grazia? Il giudizio di Dio è un giudizio veritiero. E in quel momento, in cui compariremo davanti a Lui, sarà la sua giustizia che agirà, per tutta la vita è stata la sua misericordia. Quante volte il Signore ci ha perdonato, quante volte! Quante volte abbiamo ripetuto i nostri peccati e Lui ci ha sempre perdonato! Basta, basta bisogna dire: basta essere nel peccato, basta essere nella mediocrità e nella rovina del peccato. Basta! Ci dobbiamo decidere ad essere fervorosi e generosi.

Quest’altra domenica, il 29 di novembre, incomincerà il nuovo «anno ecclesiastico»; guardiamo di prepararci perché è l’Anno di Maria, è l’anno consacrato alla Vergine. Dobbiamo cambiare vita, deciderci e rendere frutto, quel frutto che si aspetta da noi il Signore.

CODICE 87MEO0133WN
LUOGO E DATA Sant’Ilario d’Enza, 15/11/1987
OCCASIONE Omelia, XXXIII Domenica Tempo Ordinario – Anno A
DESTINATARIO Comunità parrocchiale
ORIGINE Registrazione
ARGOMENTI Il giudizio di Dio sulla nostra vita
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