Dn 12, 1-32; Eb 10, 11-14.18; Mc 12, 24-32
Il cristiano è un uomo che aspetta, che aspetta il suo Signore. Tutta la Liturgia è un commento di queste parole, un commento di quella speranza che nel nostro cuore nasce col Battesimo, ma che si deve sviluppare sempre più forte e più impetuosa.
Noi speriamo, speriamo perché Dio è il nostro rifugio, perché, dice l’apostolo nella seconda Lettura, abbiamo chi intercede per noi, è Gesù che nel cielo è ancora in offerta e in preghiera per noi. Non ci dobbiamo mai allora sentire soli, sentire la nostra angoscia e la nostra solitudine; lo sentono i pagani, noi sappiamo di essere con lui, sappiamo di essere sostenuti dalla sua grazia e dalla sua misericordia. E allora la vita del cristiano è proprio così: nella fede sa che il Signore gli è vicino, nella fede sa che il Signore verrà a lui e lo porterà nella gloria.
La vita nostra si snoda così in una confidenza continua e in un’attesa fiduciosa. Il cristiano allora conosce le misericordie del Signore, ogni giorno ne conosce delle nuove, sa che il suo Signore continua ad effondere su di lui la sua misericordia, “che i suoi angeli”, la prima Lettura, “che i suoi angeli lo custodiscono” (cfr. Dn 12, 1), sa che non c’è tentazione maggiore della grazia di Dio, che possiamo vincere tutto, che possiamo trionfare su di tutto, che Satana e il mondo non ci possono travolgere. Quello che possiamo temere è il giudizio di Dio, non le cose del mondo. Quando verrà, il Signore giudicherà l’universo intero, nulla sarà fuori dal suo giudizio, ma chi con cuore retto lo ha servito, ma chi con cuore aperto ogni giorno lo ha visto, lo ha visto presente e risorto nella sua Chiesa, non ha nulla da temere, non ha nulla da trepidare. Il Signore è per noi e quando a un suo cenno l’anima nostra lascerà il corpo, non per questo il suo volto di Salvatore e di amico si cambierà. Troveremo il suo volto come lo abbiamo cercato.
L’atteggiamento allora è quello del vegliare, è quello dello star pronti, perché non sappiamo in qual giorno il Signore verrà. Quello che importa è che cerchiamo di fare molte opere buone, di non sciupare del tempo, di non lasciar passare delle occasioni. Il tempo è molto prezioso, il tempo merita l’eternità, il tempo dobbiamo riempirlo di tanto amore di Dio, di tanto amore del prossimo, di quelle opere buone che hanno ragione di semente per la gloria futura.
Proprio così: noi in una confidenza totale, in un abbandono fiducioso dobbiamo passare i nostri giorni e nella Messa noi siamo uniti al Mistero Pasquale di Cristo. Dobbiamo rinsaldare le nostre convinzioni, rendere sempre più operanti i nostri propositi, avere il coraggio di affrontare tutte le difficoltà, perché, se ci uniamo alla sua passione e alla sua morte, certamente ci uniremo alla sua resurrezione. Certamente! Com’è certo che i nostri sacrifici vengono accolti dal Cristo e fatti suoi, così sappiamo che questi stessi sacrifici lui li cambierà in una gloria senza fine.
Dobbiamo essere molto vigilanti allora, vigilanti nel fare i nostri sacrifici, vigilanti nel moltiplicare le nostre preghiere e le nostre opere di carità, vigilanti nel non lasciarci prendere dalle tante tentazioni che possono travolgerci: dalla tentazione della stanchezza, dalla tentazione dell’avvilimento, dalla tentazione del disorientamento.
Vigilare vuol dire essere pronti e la prontezza sta sopratutto nell’accogliere lo Spirito Santo, nell’accogliere le sue ispirazioni, nel camminare secondo la volontà di Dio.
Sia dunque il nostro proposito ben saldo: fiducia, abbandono a Dio, continuità di preghiera, soprattutto la nostra partecipazione alla Messa fatta con molto senso di responsabilità e di fede, perché nella Messa noi abbiamo il memoriale della morte, della passione del Signore, ma abbiamo ancora il memoriale della sua resurrezione.
CODICE | 76MDO0133WN |
LUOGO E DATA | Sant'Ilario d'Enza, 14/11/1976 |
OCCASIONE | Omelia, XXXIII Domenica Tempo Ordinario - Anno B |
DESTINATARIO | Comunità parrocchiale |
ORIGINE | Registrazione |
ARGOMENTI | Speranza, confidenza, attesa |
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