30/11/1975 - Ritiro Avvento Giovani

Montechiarugolo, 30/11/1975
Ritiro spirituale avvento

I MEDITAZIONE

Il testo base della Scrittura da meditare oggi propongo che venga preso dal libro di Isaia: “Udite, cieli; ascolta, terra, perché il Signore dice: “Ho allevato e fatto crescere figli, ma essi si sono ribellati contro di me. Il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende”. Guai, gente peccatrice, popolo carico di iniquità! Razza di scellerati, figli corrotti! Hanno abbandonato il Signore, hanno disprezzato il Santo di Israele, si sono voltati indietro; perché volete ancora essere colpiti, accumulando ribellioni? La testa è tutta malata, tutto il cuore langue. Dalla pianta dei piedi alla testa non c’è in esso una parte illesa, ma ferite e lividure e piaghe aperte, che non sono state ripulite, né fasciate, né curate con olio. Il vostro paese è devastato, le vostre città arse dal fuoco. La vostra campagna, sotto i vostri occhi, la divorano gli stranieri; è una desolazione come Sòdoma distrutta. È rimasta sola la figlia di Sion come una capanna in una vigna, come un casotto in un campo di cocomeri, come una città assediata. Se il Signore degli eserciti non ci avesse lasciato un resto, già saremmo come Sòdoma, simili a Gomorra. Udite la parola del Signore, voi capi di Sòdoma; ascoltate la dottrina del nostro Dio, popolo di Gomorra! “Che m’importa dei vostri sacrifici senza numero? ” dice il Signore. “Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di giovenchi; il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco. Quando venite a presentarvi a me, chi richiede da voi che veniate a calpestare i miei atri? Smettete di presentare offerte inutili, l’incenso è un abominio per me; noviluni, sabati, assemblee sacre, non posso sopportare delitto e solennità. I vostri noviluni e le vostre feste io detesto, sono per me un peso; sono stanco di sopportarli. Quando stendete le mani, io allontano gli occhi da voi. Anche se moltiplicate le preghiere, io non ascolto. Le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni dalla mia vista. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova”. “Su, venite e discutiamo” dice il Signore. “Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana” (Is 1, 2-18).

All’inizio dell’Avvento una considerazione ci porta a tornare in principio, a rifare la strada, a chiederci se le cose che facciamo vanno bene o se ci illudiamo perché c’è una certa cornice, perché presentiamo offerte, perché partecipiamo ad assemblee sacre, perché stendiamo le mani. Ecco, l’Avvento ci ricorda una grande cosa: Dio viene sempre incontro a noi e noi dobbiamo renderci molto coscienti e molto responsabili. È la sostanza stessa della nostra fede: che cosa dice la nostra fede, se non che l’iniziativa è di Dio, che il cammino lo fa Lui e che la nostra posizione è una posizione di attesa, è una preparazione di umiltà, è una preparazione per togliere gli ostacoli che ci impediscono di vedere il Signore? È Lui che viene! Tutta la liturgia ripete dei testi che sono davvero fondamentali: “Preparate la via al Signore, rendete diritte le vostre strade”. È la spiritualità di Giovanni Battista che dobbiamo capire bene: preparare la via al Signore, cioè porci in una disposizione sostanziale, riconoscendo che da Dio viene il bene, viene tutto il bene e che noi dobbiamo collaborare con Lui, renderci disponibili. L’Avvento ci ricorda questa misteriosa insistenza del Signore: “Ecco, Io sto davanti alla tua porta e busso: Aprimi!” dice lo Sposo nella Scrittura. Ci dobbiamo rendere conto allora che noi Chiesa dobbiamo vivere i giorni dello Sposo, i giorni cioè nei quali noi dobbiamo celebrare questo incontro di salvezza: il Signore viene. Noi dobbiamo allora porci in precise condizioni, dobbiamo porre una piena apertura della mente e del cuore, un’apertura senza riserve, senza condizioni. Ecco perché vi ho proposto il testo di Isaia. Mi pare che potremmo allora fare la nostra riflessione fermandoci particolarmente su alcuni punti.

Scoprire nella nostra vita ciò che non è fede, ciò che è abitudine. Scoprire cioè nella nostra vita ciò che non è autentico, che non è risposta al Signore che viene, ma un giro di cose nelle quali noi siamo entrati e in cui andiamo avanti a forza d’inerzia. Scoprire nella nostra vita ciò che davanti agli occhi di Dio è falso, soprattutto perché i nostri propositi s’infrangono continuamente, soprattutto se la nostra vita spirituale è un faticoso ritorno agli stessi difetti, dove non cambiamo forse neanche l’apparenza. Siamo sempre lì, è un gioco di compromessi: vogliamo essere suoi e non lo siamo, vogliamo certe impostazioni che poi rinneghiamo nella pratica. Il Signore viene, e ci vuole veramente suoi. Dio ha i suoi interventi nella storia e la nostra vita è un tratto di storia: e come è venuto per il popolo dell’Antico Testamento, e come è venuto con Gesù nella pienezza dei tempi, ecco che viene anche adesso. Vedere quindi ciò che Dio desidera da noi perché possa avvenire “il giorno del Signore”. Venga per noi, dico, come comunità, come Chiesa e venga ancora per noi nella nostra storia individuale.

Voi ricordate l’Esodo e ricordate l’opera di Mosè nell’Esodo: una delle cose che sono costate di più a Mosè e ai più responsabili del popolo ebreo è stata il dover persuadere il popolo che aveva bisogno di liberazione e che era possibile la liberazione. Mancava questa constatazione di fondo: sapevano di essere schiavi, si erano abituati ad essere schiavi e non credevano alla possibilità di un’altra condizione. Liberati dall’Egitto, infatti, non tutto era risolto, perché volevano ritornare alla condizione di prima: “Oh, fossimo ancora in Egitto!”. Quanto è difficile il persuaderci che abbiamo bisogno di liberazione! Di solito noi siamo contenti di noi stessi perché indebitamente facciamo dei paragoni e, facendo dei paragoni, ci giudichiamo bene e i rilievi che facciamo sono rilievi di dettaglio. Diciamo: “Sì, potevo pregare meglio… Potevo fare quella piccola cosa…”; il difficile è fare una constatazione di fondo, la constatazione della necessità di una radicale trasformazione.

La voce di Dio è una voce che sconvolge, è una voce “da temporale”, direbbe il Salmo, una voce che ti fa capire rovesciando tutto. Tipico è il salmo 28: “Il Signore tuona sulle acque, il Dio della gloria scatena il tuono, il Signore sull’immensità delle acque. Il Signore tuona con forza, tuona il Signore con potenza. Il tuono del Signore schianta i cedri, il Signore schianta i cedri del Libano. Fa balzare come un vitello il Libano”. È evidente che c’è allora una riflessione biblica sul come Dio interviene, su come Dio libera: è la storia della liberazione. L’intervento di Dio nella storia: ripassate i testi, almeno qualcuno della Bibbia. Sull’intervento, sullo stile di Dio nella storia potete guardare Es 15, 3-8; Nm 10, 33-36; sul senso dei prodigi, il perché dei prodigi, come Dio aiuta e libera l’uomo: Gs 3, 14-17; Gs 6, 20; Gs 10, 11-14; Gdc 5, 4-5; Gdc 7, 7; 1 Sam 7, 10; Is 9, 3; sul giorno della venuta del Signore, la nostra vita è un giorno dove si manifesta, dove c’è l’avvento del Signore: Is 13, 4-13; Sof 1, 14-18; Is 40, 10; Sal 49, 2-3; Bar 4, 36; Is 35, 4; il giorno del Signore nel quale vengono ben precisate le responsabilità Ez 5, 2-7; Dn 12, 8-13; Zc 14, 19; il giorno del Signore inteso come Dio che ci giudica, che ci giudica con amore, perché vuole che prendiamo vera coscienza del nostro essere, del nostro muoverci: Am 5, 16-20; Mic 1, 2-5; Ez 34, 17-22; Sal 93, 1-12; Is 66, 16; questo giorno del Signore è giorno di castigo per chi rifiuta il suo amore: Gl 2, 1-13; Is 34, 2-6; Is 9, 11; Zc 14, 12-13; però è ancora il giorno della salvezza: Sof 3, 16-18; Zc 8, 9-10; Am 9, 11; Gl 3, 1-2; Is 45, 15-17; Is 52, 7-10; Is 12, 1-3. Do molti testi non perché li meditiate tutti (magari!) ma perché possiate esercitare il vostro gusto spirituale. In questa cornice dell’Antico Testamento, ecco Cristo presenza di Dio, Cristo che ha attuato la liberazione, una liberazione piena. Egli è venuto per dare a noi, per comunicarci un’incalcolabile ricchezza. Potete guardare: Gal 4, 4-5; Tt 2, 11; Tt 3, 4-5; Mt 3, 11-12; Mt 12, 28; Gv 1, 14-18; Gv 12, 31; Gv 3, 18-36; Gv 5, 24. Dove allora dobbiamo tendere e in che cosa dobbiamo insistere? Dobbiamo essere estremamente sinceri: se all’inizio di un anno liturgico ci dobbiamo porre in una posizione di attesa, dobbiamo cercare una posizione di resa. Una posizione di resa: uno che si arrende. I testi che vi ho suggerito presentano proprio il Dio guerriero, il Dio che viene con forza; sembrerebbe impossibile, ma sono tante le anime che non si sono mai arrese a Dio, arrese incondizionatamente; hanno sempre tenuto qualcosa in riserva e hanno detto: “Sì, però aspetta che nascondo questo, che non resti proprio senza niente”. Essere poveri, accettare la povertà come stile di colloquio con Dio, è proprio non tenere niente. Quando pensiamo poi che può darsi che le nostre riserve siano dei peccati, delle stupidità… Tornano allora le parole della liturgia: “A te, o Signore, alzo la mia anima: che io non resti confuso, che non resti preso in giro dai miei nemici”. I nostri nemici sono i nostri difetti, le nostre miserie, i nostri paurosi ritorni. Ecco allora, voi mi capite, la riflessione deve andare lì: che cosa ci manca per essere totalmente del Signore, che cosa ci manca per dare a Lui pienamente noi stessi come comunità e come individui? La risoluzione di fondo sta proprio lì. Drizzare le strade vuol dire prendere via tutte le nostre tortuosità. Dice Giovanni Battista, ricordando Isaia: dovete abbassare e dovete innalzare, perché solo così la strada diventa giusta. “Razza di vipere (diceva a quelli che pure venivano in abito di penitenza, con intenzioni di penitenza) chi vi ha suggerito di sottrarvi all’ira imminente?”. Sicché, il proposito mi pare che debba essere un sostanziale proposito di sincerità con noi stessi, per cui vediamo ciò che non va, vediamo quelli che chiamiamo «propositi» e non lo sono perché non s’adempiono mai, vediamo ciò che chiamiamo «preghiere» e sono solo confusione, ciò che chiamiamo «carità verso gli altri» ed è solo una forma d’interesse o di convenienza, ciò che chiamiamo la «doverosa nostra pace» ed è solo una forma brutta d’egoismo, ciò che chiamiamo «tranquillità di coscienza» ed è solo un dormire sotto una particolare droga. Ecco un discorso di sincerità. Noi siamo chiamati in questo tempo soprattutto alla sincerità, a definirci e a definire le nostre cose. Dobbiamo perciò avere il coraggio di prendere via tutto quello (torno sempre al testo d’Isaia) che sembra buono e non lo è, o che sembra molto buono ed è solo poco buono. Nel capitolo 3 del vangelo di Luca Giovanni Battista dà una traccia di ciò che si deve fare nell’ordine personale e sociale. Dice che non dobbiamo abusare della misericordia: “Non cominciate a dire in voi stessi: abbiamo Abramo per padre! (cioè siamo nel popolo della salvezza) Perché io vi dico che Dio può far nascere figli di Abramo anche da queste pietre. Anzi, la scure è già posta alle radice degli alberi; ogni albero che non porta buon frutto sarà tagliato e buttato nel fuoco” (Lc 3, 8-9). Impostazione allora ben precisa e ben chiara. Sarà così il primo risultato, la prima realtà che noi ci poniamo. Quando siamo arrivati a questa sostanziale sincerità e l’avremo vista come la cosa più dignitosa, più grande, potremo poi procedere oltre.

II MEDITAZIONE

Giovanni gli rende testimonianza e grida: “Ecco l’uomo di cui io dissi: Colui che viene dopo di me mi è passato avanti, perché era prima di me”. Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia. Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato. E questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: “Chi sei tu?”. Egli confessò e non negò, e confessò: “Io non sono il Cristo”. Allora gli chiesero: “Che cosa dunque? Sei Elia?”. Rispose: “Non lo sono”. “Sei tu il profeta?”. Rispose: “No”. Gli dissero dunque: “Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso? ”. Rispose: “Io sono voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, come disse il profeta Isaia”. Essi erano stati mandati da parte dei farisei. Lo interrogarono e gli dissero: “Perché dunque battezzi se tu non sei il Cristo, né Elia, né il profeta? ”. Giovanni rispose loro: “Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, uno che viene dopo di me, al quale io non son degno di sciogliere il legaccio del sandalo”. Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando (Gv 1,15-28). Noi ponevamo questa mattina un’istanza fondamentale: essere sinceri, rifiutare ogni aspetto d’ipocrisia nella nostra vita cristiana, essere davvero. Troppo spesso sembriamo e non siamo. E dicevamo che l’Avvento ci dice: “Basta, finiscila d’essere ipocrita, finiscila! Per la tua dignità di uomo e di cristiano devi prendere fino in fondo le tue responsabilità, devi eliminare dalla tua vita ogni sorta di falsità”. E cerchiamo un modello di sincerità e il modello di sincerità lo abbiamo in questa figura forte e prorompente dell’Avvento che è Giovanni Battista, una figura di estrema linearità, di estrema forza. Vorrei che noi lo prendessimo come figura di rapporto, che ci confrontassimo con essa. Perché sarà estremamente eloquente quello che lui ha fatto. Questo raffronto ci deve coinvolgere direttamente. In Giovanni Battista possiamo distinguere alcuni aspetti. Un primo aspetto: il profeta che ha una missione storica, che viene a portare la parola di Dio. Su questo aspetto potete meditare sul capitolo 3 di Luca dove c’è l’inquadratura storica della missione di Giovanni. Potete poi meditare Mt 3, 1-2, in cui Giovanni è il profeta che richiama alla penitenza, alla penitenza biblica che è annuncio della santità di Dio e annuncio della colpa dell’uomo. Qui Giovanni è nella scia dei profeti dell’Antico Testamento: “Va’ e grida tali cose verso il settentrione dicendo: Ritorna, Israele ribelle, dice il Signore. Non ti mostrerò la faccia sdegnata, perché io sono pietoso, dice il Signore. Non conserverò l’ira per sempre. Su, riconosci la tua colpa, perché sei stata infedele al Signore tuo Dio; hai profuso l’amore agli stranieri sotto ogni albero verde e non hai ascoltato la mia voce. Oracolo del Signore” (Ger 3,12-13). Giovanni chiamava a penitenza: “Fate penitenza perché il regno di Dio è vicino”. E proprio nell’ordine della sincerità era il penitente, ricordate la presentazione fatta da lui, ricordate come si presentava alle folle? “Giovanni portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano locuste e miele selvatico. Allora accorrevano a lui da Gerusalemme, da tutta la Giudea e dalla zona adiacente il Giordano; e, confessando i loro peccati, si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano” (Mt 3,4-6). La penitenza dunque testimonianza, invito, annuncio. Questa penitenza che deve entrare anche nella nostra vita proprio in questi lineamenti, perché la penitenza è la sincerità del riconoscere i propri peccati, è la sincerità di dire al Signore che abbiamo sbagliato e che intendiamo recuperarci, è la sincerità verso noi stessi perché diamo a noi stessi quello che è giusto darci, è sincerità verso la Chiesa che noi abbiamo danneggiato, per ridare alla Chiesa qualche cosa che abbiamo preso. Torna l’espressione di Geremia: “Dissodatevi un terreno incolto e non seminate fra le spine. Circoncidetevi per il Signore, circoncidete il vostro cuore” (Ger 4,3-4). Io vedo la mancanza di penitenza soprattutto come una mancanza di logica, di sincerità, di coraggio. Non dobbiamo guardare la penitenza come qualcosa di anomalo e di strano, ma qualcosa di eloquente, di forte che deve nascere nella nostra vita, perché troppo spesso noi abbiamo peccato e non abbiamo riparato il peccato. Che Dio non voglia che abbiamo fatto delle Confessioni addirittura ridicole, ridicole perché non esprimevano nessuna penitenza, ridicole perché erano solo una formalità, in un certo senso blasfeme perché erano come un beffeggiarsi di Dio accostandosi e proclamando alla Chiesa una penitenza che non c’era! Il senso della nostra colpa ci deve prendere. Non basta che siamo così in un gioco di cose devozionali, non basta assolutamente. Quindi revisioniamo la nostra vita proprio come dice il capitolo 40 di Isaia: “Ogni valle sia colmata, ogni monte e colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in pianura. Allora si rivelerà la gloria del Signore e ogni uomo la vedrà, poiché la bocca del Signore ha parlato” (Is 40,4-5). Ed è chiaro, allora, che impareremo da Giovanni Battista a mettere nella nostra vita il senso della penitenza come un elemento salvifico forte. La penitenza come logica di vita, la penitenza come ricerca di Dio e come testimonianza alla Chiesa. Una revisione dunque di penitenza fino in fondo, in tutte le sue varie forme, soprattutto nelle forme delle cose che dobbiamo fare, delle cose che dobbiamo accettare, del nostro impegno verso gli altri, di un esercizio vivo di Chiesa che si purifica.

Un secondo aspetto: Giovanni il battezzatore. In quel tempo Gesù dalla Galilea andò al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: “Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me? ”. Ma Gesù gli disse: “Lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia”. Allora Giovanni acconsentì (Mt 3,13-15). L’umiltà. È veramente colossale l’umiltà di Giovanni. Giovanni non vuole battezzare Gesù perché gli sembrava un Battesimo che non esprimesse la verità. C’era una verità più profonda: la verità espressa da Gesù e che Giovanni stesso capirà quando dirà: “Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”. Ci dobbiamo interrogare sull’umiltà, sulla vera virtù e non sugli stravolgimenti. Umiltà non è avere dei complessi, umiltà non è dire delle cose strane, umiltà non è inattività, umiltà non è fuggire dalle responsabilità, ma è mettere le cose al loro posto. Vorrei che come seconda virtù dell’Avvento cogliessimo la necessità di essere umili, umili di fronte a Dio e umili di fronte agli altri. Forse troppi pensieri ci occupano la mente, troppi desideri di essere stimati dagli altri, troppi desideri, troppa ansietà, troppa voglia di mettersi in mostra, troppa voglia di essere al centro, troppe pretese, troppe esigenze... L’umiltà molte volte ci è ignota e per questo otteniamo poche grazie. L’umiltà ci domanda un riconoscimento esatto e una collocazione esatta nella Chiesa. Molte cose ci sarebbero da dire, ma mi limito, perché altrimenti il discorso diventerebbe molto lungo. Potete vedere altri testi. At 1, 5; At 11, 15-16; At 19, 4.

Terzo aspetto di Giovanni Battista: è il precursore. Venne a preparare le vie del Signore. “Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore, che voi cercate; l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate, ecco viene, dice il Signore degli eserciti. Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai. Siederà per fondere e purificare; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un’oblazione secondo giustizia ” (Ml 3, 1-3). È l’Elia che deve venire. C’era tutta questa attesa nel popolo ebreo, l’attesa del ritorno del profeta Elia. Gesù dirà: “Ecco, si attende Elia, ma Elia è già venuto” e indicava Giovanni. Giovanni viene per essere precursore, come aveva profetizzato suo padre nel Benedictus: “Tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo, camminerai davanti a Lui per preparare le sue strade”. È una figura che appare per scomparire; dirà lui stesso: “È necessario che Lui cresca e che io diminuisca.” I testi di meditazione: Gv 1, Mt 11, 7-10; Mc 6, 17-20. Giovanni muore testimone della verità e testimone della purezza: era questo lo scopo della sua vita e lo compie fino in fondo. Vorrei che vedessimo, sempre nel quadro della revisione di verità, la nostra purezza, perché se c’è un campo dov’è facile essere falsi e ingannarsi è proprio questo. Il diavolo dell’impurità si mimetizza e molto spesso non si vuole riconoscere le proprie colpe, si fa ma s’inganna persino se stessi, ci si giustifica largamente. Allora nascono quelle situazioni equivoche, quelle situazioni strane e non si ha il coraggio di affrontare le cose fino in fondo. Allora tutto diventa falso, tutto: diventano false le Comunioni perché non può avvenire un incontro vero tra la stessa purezza che è il corpo di Gesù e chi subdolamente è impuro; diventano false le Confessioni perché non si ha il coraggio di mettere il dito sulla piaga; diventano false le direzioni spirituali perché non si vuole arrivare dove si dovrebbe; diventa falso l’atteggiamento verso gli altri che sembra d’amore ed è solo di sensualità. Tutto si tinge di falso. L’impuro, molto facilmente, diventa eminentemente falso. Dobbiamo guardare la sincerità della nostra purezza, delle nostre impostazioni. Giovanni andò davanti ad Erode e gli disse “Non ti è lecito”: ha pagato con la vita ma la sua gloria è stata piena. L’esame della nostra purezza è dunque un esame che richiede in noi una grande linearità, grande assolutamente e ci interroghiamo. Ci interroghiamo senza compassione falsa per un’avanzarci decisamente. La virtù della purezza è virtù d’Avvento proprio perché la vediamo nell’Immacolata Concezione di Maria, cioè la vediamo nella santità della Madonna, la vediamo nella maternità e in questi giorni ricordiamo la sua maternità di attesa. È diventata la madre del Signore perché sommamente pura. “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio”: è stata tanto pura che l’ha posseduto e l’ha portato con sé ed è diventata la madre del Signore. Quarto aspetto di Giovanni: il testimone della luce. “Non era lui la luce, ma era venuto per dare testimonianza alla luce”. Era venuto per indicare agli uomini dove potevano trovare salvezza. Abbiamo visto prima: “Non sono io il Messia, sta in mezzo a voi uno che voi non conoscete. […]. Ecco l’Agnello di Dio”. Questo aspetto è soprattutto sottolineato nel Vangelo di Giovanni: Gv 1; Gv 3,25-30; Gv 5,33-35. Giovanni testimone della luce indica allora la nostra necessità di verità, di parola di Dio, d’incontro autentico col Signore e ci porta a riflettere sulla validità di questa nostra ricerca, soprattutto nella preghiera e nella meditazione, soprattutto in quella preghiera che deve esprimere ogni giorno un grande amore, perché la parola di Dio non può essere accettata senza amore. L’amore esprime il nostro giudizio, quanto valore noi diamo. Ecco così sulla nostra meditazione che deve sempre di più portarci a qualcosa di profondo, di intimo, di forte ogni giorno. Guardiamo se trascuriamo la meditazione perché le diamo poco peso, se la trascuriamo come una cosa ingombrante, se non ci poniamo in una vera dinamica di collaborazione. La povertà della nostra preghiera molto spesso dipende dalla povertà della nostra meditazione: chi medita poco prega male, chi medita poco non segue linearmente la strada del Signore, chi medita poco rischia di costruire sulla sabbia. Quante colpe dalla nostra mancata meditazione! Vorrei allora che su questi quattro punti poneste la vostra meditazione. Perciò sintetizzando: essere sinceri sì, essere sinceri nella nostra anima, essere sinceri con gli altri e verso gli altri. Penitenza, la mia penitenza, la nostra penitenza. L’umiltà che è alla base della carità, dell’amore fraterno; la mia umiltà, la nostra umiltà, perciò esercizio di umiltà individualmente e insieme. Vedo che delle volte ne fate, ma sarebbe bello che ne faceste di più. Umiltà di gruppo: il gruppo che si propone di fare degli atti di umiltà, tutti insieme. Penitenza insieme, umiltà insieme. La purezza, la sincerità nella mia purezza, la chiarità di purezza. Vedere le cose come escono dalle mani di Dio e come sono strumenti per arrivare a Dio. La tua purezza; per i fidanzati la nostra purezza; per i gruppi la nostra purezza di gruppo. Poi, infine, la nostra preghiera, la sincerità della nostra preghiera e della nostra meditazione. La meditazione tua, la meditazione e la preghiera insieme che si chiama liturgia. Un rinnovamento liturgico, una comprensione più profonda dei valori della liturgia. Sono piccoli accenni ma che voi poi svilupperete convenientemente: sono spunti per la riflessione, spunti per la tua riflessione.

CODICE75MVR093
LUOGO E DATAMontechiarugolo, 30/11/1975
OCCASIONERitiro spirituale avvento
DESTINATARIOGruppo giovani
ORIGINERegistrazione
ARGOMENTIIl Signore viene e ci vuole veramente suoi: la sincerità con noi stessi Il confronto con Giovanni Battista: la penitenza, l’umiltà, la purezza, la preghiera
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