I MEDITAZIONE
“ finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo. Questo affinchè non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore. Al contrario, vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità.
Vi dico dunque e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani nella vanità della loro mente, accecati nei loro pensieri, estranei alla vita di Dio a causa dell’ignoranza che è in loro, e per la durezza del loro cuore. Diventati così insensibili, si sono abbandonati alla dissolutezza, commettendo ogni sorta di impurità con avidità insaziabile.
Ma voi non così avete imparato a conoscere Cristo, se proprio gli avete dato ascolto e in lui siete stati istruiti, secondo la verità che è in Gesù, per la quale dovete deporre l’uomo vecchio con la condotta di prima, l’uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici e dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera.” (Ef 4, 13-24)
Lo scopo unico di tutta la vita cristiana è quello di condurci alla conformazione a Cristo, che resta il modello unico, il modello cui sempre dobbiamo guardare. Ma dobbiamo guardarlo con un desiderio molto forte, con uno slancio sempre rinnovato. Guardare a Cristo per volere Cristo, guardare a Cristo per tradurci in Cristo.
Abbiamo bisogno di Lui, sempre di più lo constatiamo, abbiamo bisogno di Lui: tutti gli altri discorsi contano quello che contano, alle volte molto poco.
Tutta la nostra sapienza ci deve portare a Cristo, tutta la nostra carità ci deve portare a Cristo, tutto il nostro sforzo ascetico è per potere avere la vita nuova nel Cristo.
La Quaresima sottolinea e accentua questo aspetto dell’ascesi cristiana: il liberarsi, raggiungere un equilibrio, sapere rifiutare delle cose che ci fanno essere come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là. Lo sforzo dell’ascesi cristiana: sia l’ascesi che ci fa essere sereni anche di fronte alle prove, ai dolori, alle noie della vita, alle disgrazie della vita, sia quell’ascesi che si rende necessaria per saperci comandare, per saperci dirigere, per saper superare le nostre ricorrenti forme di pigrizia e d’incertezza.
Siamo sempre lì: se la vita cristiana non può fare senza l’ascesi, se la vita cristiana non può realizzarsi se non attraverso la rinuncia è perché, dice S. Paolo, “è la carne”, è la tendenza a vivere secondo la carne ciò che c’inganna. Per carne evidentemente l’apostolo Paolo intende l’eredità che abbiamo ricevuto da Adamo ed Eva, il nostro peccato d’origine, la nostra tendenza così radicata in noi a una passione irragionevole, a una passione che non sente richiami.
Bisogna quindi che sappiamo vedere con molto senso di realismo la nostra condizione, dobbiamo vederla con un senso di molta umiltà: perché i nostri fallimenti? Perché le nostre poche realizzazioni? Perché non c’è stato tutto quello che ci dovrebbe essere stato per gli anni che abbiamo avuto di grazia, per la misericordia che abbiamo toccato, che abbiamo così sperimentata come tangibile?
Dobbiamo allora essere persuasi che questo sforzo è uno sforzo giusto, è uno sforzo lodevole, è uno sforzo soprattutto che dev’essere posto nell’amore. Se vogliamo raggiungere Cristo, se vogliamo raggiungere la comunione con Lui, se vogliamo raggiungere l’amicizia con Lui, se vogliamo nella Pasqua (questo per inquadrarci bene nel tempo che stiamo vivendo) vivere più profondamente il suo mistero dobbiamo avere il coraggio di fare la critica di noi stessi.
E’ l’amore che ci spinge e l’amore non può essere una forza da poco. L’amore è la più grande forza: “L’amore di Cristo – dirà S. Paolo – ci spinge”. Questo amore che è la forza che Lui ha portato, che Lui ha detto di volere dare a tutti per poter incendiare tutti. “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra: che cosa voglio che non che s’accenda?”
Non è la critica di noi stessi qualcosa che possa essere compiuta freddamente, non è una forma di autolesionismo: è la logica conseguenza dell’accettare l’amore di Cristo, l’amore che ha portato sulla terra dal seno della Trinità. Accettare questo amore e vivere per questo amore, tagliare per questo amore, superare per questo amore e dare alla nostra vita uno slancio potente e grande.
Non lo ha detto il Signore che l’amore deve occupare la nostra vita? Voi ricordate i discorsi che sono raccolti dall’apostolo Giovanni nell’Ultima Cena dove Gesù insiste: per rimanere in Lui, per vivere di Lui, per considerarci tralci innestati non in un’altra cosa, ma nella sua vita, nel suo profondo essere. Bisogna rimanere in Lui e allora si porta frutto, bisogna amare come ha amato Lui perché Lui ci ha amato come il Padre lo ha amato: “Come il Padre ha amato me così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore.” Ecco la raccomandazione fondamentale: “Rimanete nel mio amore.”
Allora la stima e la gioia di questo amore, la stima e la gioia di quello che Lui ci ha portato non attraverso il gaudio, non attraverso la vita comoda, non attraverso il plauso: Lui ci ha portato questo amore accettando una vita di penitenza e di penitenza terribile. “L’imitazione di Cristo” dice che tutta la vita di Cristo è stata una croce e un tormento, da Betlemme al Calvario. Il Signore ci ha portato questa grazia attraverso i suoi disagi fisici, attraverso le sue umiliazioni: è stato trattato male, è stato vilipeso e, dice il Vangelo, che pesavano tutte le sue parole e che lo seguivano per contraddirlo fino in ultimo, quando sghignazzavano sotto la croce sul termine della sua regalità. “Si è proclamato Figlio di Dio, Dio lo liberi” la derisione.
Il Signore ci ha portato il suo amore attraverso la sua terribile linea ricevuta dal padre: “Non sia la mia, ma la tua volontà che si faccia.” Il Signore non ha avuto che una linea di contraddizione e noi che siamo piante, piante casomai cresciute storte, non cercheremo di drizzarci?
E per accettare e conquistare questo amore non indugeremo, non cercheremo l’equilibrismo: quanto è triste vedere delle anime che hanno fatto anche delle cose buone, che stanno facendo anche delle cose buone, ma che sono ferme spiritualmente a dei punti che sembrerebbero molto secondari; sono ferme: sono ferme di fronte a un sacrificio, sono ferme di fronte a un’esigenza di particolare pazienza, sono ferme di fronte a un non sapersi ordinare, a un non sapere soprattutto essere umili e portano nel loro orgoglio tanta, tanta miseria.
L’amore di Cristo deve potere occupare tutta l’anima nostra, per cui noi arriviamo ad amare come ha amato il cuore di Cristo, a scegliere le cose secondo che le ha scelte Cristo, ad avere le preferenze di Cristo. L’ascetica, questa dottrina della vita cristiana, prende proprio il nome dall’ascesi, lo sforzo. Cos’è la vita cristiana? Uno sforzo, un’ascesi. Cos’è la vita cristiana? Un’ascesi nell’amore e per l’amore di Cristo.
Dobbiamo vedere quindi con molta fortezza il nostro cammino. Di che cosa abbiamo bisogno? Tante volte abbiamo bisogno solo di questo: di fortezza. La vita ci porta a tante difficoltà, la vita ci porta a tante preoccupazioni, ci porterebbe, se non stiamo attenti, a un disordine: si comincia e poi si lascia, si scelgono cose inferiori invece di rispettare la gerarchia dei valori, si è sempre in una posizione di non perseverante impegno. Il nostro impegno dev’essere un’umile e grande servizio alla gloria di Dio, un umile e grande servizio: umile, cioè non ci sopravvalutiamo, ci lasciamo condurre. L’amore di Cristo che lavora in noi vuole questo abbandono, questa fiducia totale. Poi un grande servizio, perché non possiamo fare nulla di meglio che vivere nell’amore di Cristo, condotti nell’amore di Cristo nel cercare il completo amore, la completa unione.
La gioia allora si sintetizza in quello che dicevano i santi: “Ciò che non è eterno non è niente.” Senza l’amore di Cristo tutto è niente. L’amore di Cristo, che ci porta alle cose eterne, che ci dà le cose eterne, che ci fa fare quello che Lui ha preparato nel suo piano, l’amore di Cristo è la nostra condotta e la nostra guida.
Certo, abbiamo il peso dei nostri peccati.
Dire mortificazione e dire penitenza è la stessa cosa, cambia solo l’intenzione. Se prendiamo una cosa difficile per potere così dare gloria al Signore la chiamiamo “mortificazione”, se prendiamo la stessa cosa che ci costa per scontare i peccati la chiamiamo “penitenza”, ma senza la potenza dell’amore, l’abbandono all’amore di Cristo, l’entusiasmarci di questo amore, volere la pienezza di questo amore, perché Lui, che ha detto che non può soffrire i mediocri, che butta via quelli né caldi e né freddi, non vale nulla.
Perché se ci scopriamo mediocri, vorremmo restare mediocri, vorremmo limitare l’irrompere di questo amore prepotente in noi? Diceva S. Caterina da Siena: “Mangiate il Fuoco e non avete fuoco”: ogni nostra Comunione è un prendere un nuovo contatto con Cristo, il cuore di Gesù è fornace ardente dell’amore. Prendiamo da Lui e impegniamoci del tutto.
Sicché, se vogliamo fare un esame di coscienza, lo possiamo fare con molta schiettezza. Ci manca amore? Guardiamo poco a Gesù e al suo insegnamento d’amore? Trascuriamo questo amore che ci vuol portare ad essere a sua immagine verso il Padre (l’amore per il Padre) e verso il prossimo, cui dobbiamo portare la carica dell’amore di Cristo? Il mondo ha bisogno di apostoli, ma non di apostoli che finiscono tutto nella vociferazione; abbiamo anche troppe parole, troppi discorsi, troppi discorsi e abbiamo poco amore: per questo abbiamo poche conversioni, per questo fatichiamo. Dobbiamo portare agli altri l’amore del Cristo ma non lo portiamo se non lo possediamo, non lo portiamo se non abbiamo raggiunto un certo grado di vivacità e di slancio.
Esaminiamoci per vedere come abbiamo avuto il coraggio, particolarmente nel programma di questa quaresima, dell’ascesi cristiana, dello sforzo, della penitenza per i nostri peccati, della mortificazione.
L’amore vince tutto: lasciamoci vincere dall’amore, dall’amore di Cristo, dalla gloria di Cristo.
II MEDITAZIONE
“Un giorno Gesù si trovava in una città e un uomo coperto di lebbra lo vide e gli si gettò ai piedi pregandolo: “Signore, se vuoi, puoi sanarmi”. Gesù stese la mano e lo toccò dicendo: “Lo voglio, sii risanato! ”. E subito la lebbra scomparve da lui. Gli ingiunse di non dirlo a nessuno: “Và, mostrati al sacerdote e fà l’offerta per la tua purificazione, come ha ordinato Mosè, perché serva di testimonianza per essi”. La sua fama si diffondeva ancor più; folle numerose venivano per ascoltarlo e farsi guarire dalle loro infermità. Ma Gesù si ritirava in luoghi solitari a pregare.” (Lc 5, 12-16)
La Quaresima ci deve aiutare a risolvere adeguatamente l’impegno della preghiera proprio prendendo la misura da Gesù.
Gesù è veramente solo Lui che ci può parlare della necessità della preghiera, del modo della preghiera, della frequenza della preghiera.
Nel brano di Vangelo che abbiamo letto c’è la sua azione: Gesù guarisce, Gesù attrae le folle, ma Gesù si ritira in luoghi solitari a pregare, cioè come Gesù vede la sua missione, quella ricevuta dal Padre? La vede proprio così nel dare la sua parola, nel beneficare, nel guarire, nel salvare l’uomo nell’anima e nel corpo. Era venuto per salvare tutto l’uomo. Ma faceva parte, e una parte importante della sua missione, la sua preghiera, la preghiera di Lui, Figlio di Dio.
Sicché, Gesù ci insegna fa parte della nostra missione, una parte veramente grande, la preghiera.
Noi abbiamo bisogno di stimare la preghiera sull’esempio di Gesù, di non vederla come una frangia della nostra giornata, di non vederla semplicemente sotto un aspetto legatario, di prescrizione. Bisogna che vediamo la preghiera come un respiro della nostra vita di fede, il respiro. Bisogna che non dimentichiamo mai questo.
La Quaresima sottolinea, invita alla preghiera. E indubbiamente anche Gesù ha avuto i suoi tempi, il suo deserto, tempi nei quali ha intensificato questa sua azione di salvezza; Gesù prima di tutto ci ha salvato con la sua preghiera e ha detto che anche Lui doveva pregare. “Certi generi di demoni – disse una volta ai discepoli che non riuscivano a fare l’esorcismo – non si cacciano che col digiuno e la preghiera.”
Ci vuole la penitenza, e Gesù la farà tanto grave e preziosa e si offrirà in olocausto, ma ci vuole anche la preghiera.
La preghiera quindi stimata come una grande, magnifica realizzazione della nostra vita. E’ una delle cose che dobbiamo conquistare, è una delle cose in cui dobbiamo mettere più fortezza, più energia, più slancio, più fiducia. E’ scritto: “bene sa vivere chi sa bene pregare”: questa massima della nostra ascetica tradizionale dobbiamo capirla con molta insistenza. Noi non riusciamo e non possiamo essere capaci, anche con tutte le nostre smanie, di ottenere qualcosa di solido se non insistiamo prima di tutto sulla preghiera.
Bisogna che noi amiamo la preghiera. Senza questo amore tutto diventa pesante, tutto diventa formale. Allora non troviamo più il cuore di Cristo, troviamo un omaggio freddo, troviamo un impegno tra tanti impegni, ma non troviamo quello che si deve trovare: la comunicazione. Perché pregare è comunicare, pregare è aprire totalmente il nostro animo alla grazia e alla tenerezza del Signore.
Perché il Signore vuole che preghiamo, se non perché ci vuole coscientemente vicini a Lui? Perché il Signore ci ha dato l’esempio di pregare, se non perché nella preghiera si incontra così in profondità con noi? E’ un incontro di una profondità che altrimenti non riusciamo a realizzare. Non siamo dei servi che devono semplicemente compiere il loro dovere, che hanno un precetto eseguito il quale tutto è a posto. Il Signore desidera essere nostro amico, desidera essere nostro confidente.
Nel Battesimo noi siamo diventati i figli di Dio e dobbiamo realizzare questa adozione a figli attraverso proprio questa partecipazione di sentimenti. Il Signore si comunica a noi e ci ha messo nel cuore lo Spirito che ci apre l’intelletto, che ci dà il gusto del colloquio.
Quanto bisogna pregare? Secondo quanto lo Spirito insiste per ognuno di noi. Di solito, diciamolo pure, i cristiani danno poco tempo alla preghiera (…)
Non s’accontenta dell’esteriorità, vuole dirci tante cose, vuole dirci tanti segreti, vuole dirci tante amabilità. Il Signore ha desiderio di comunicare con noi e noi non avremo desiderio di comunicare con Lui?
Ecco allora l’urgenza di prendere l’occasione di questa Quaresima per rivedere le nostre posizioni, per rivedere le sostanza della nostra preghiera, i tempi della nostra preghiera, per prendere di petto quello che è il problema di preghiera mancante, di preghiere vuote, di preghiere fatte per consuetudine, di preghiere che esigono, esigono, che noi mettiamo la nostra attenzione e il nostro fervore.
S’impone il problema delle nostre distrazioni. Preghiere distratte, preghiere vuote, preghiere inconcludenti: come dobbiamo trattare il problema delle distrazioni? Dobbiamo trattarlo in modo molto serio. Se la grande conquista dev’essere la nostra preghiera non possiamo lasciarla così vuota, o se non vuota una preghiera in cui si pensa di tutto, una preghiera buttata là in modo superficiale e in modo veramente puerile.
Diciamo “distrazione” quei pensieri che vengono durante il tempo che abbiamo destinato a pregare, quei pensieri che non c’entrano, che allontanano l’attenzione, che spengono il fervore.
Le distrazioni possono essere involontarie e sono una sofferenza; possono essere volontarie e fanno sciupare.
Le distrazioni involontarie, che non vogliamo, sono una sofferenza, perché parlano della nostra debolezza, parlano che abbiamo molti punti di riferimento che ci attraggono di più che non il colloquio col Signore. Sono tante volte distrazioni colpevoli in causa, proprio perché facciamo dei centri d’interesse troppo profondi e inutili. Bisogna curare il raccoglimento e avere la gioia e una gioia alimentata continuamente di ciò che vale di più, di ciò che serve di più, di ciò che anche per gli altri è più utile.
Sulle distrazioni volontarie dobbiamo sentire la sconvenienza, dobbiamo sentire quanto è indegno che rompiamo l’attenzione e il silenzio che ci siamo prefissi per l’ascolto quando rubiamo a Dio. Le cause più frequenti sono un esagerato interesse per delle cose che vanno dopo la preghiera: anche quando sono cose che riguardano il nostro dovere vanno dopo, prima c’è il Signore, in quel tempo c’è il Signore.
E’ la nostra pigrizia, è l’indolenza, è il non saper organizzarci bene, il non saper prendere i tempi necessari, è il lasciare cose che solleticano il nostro interesse ma che vanno mortificate.
Come stiamo, ci dobbiamo interrogare, con le distrazioni? Ci siamo forse rassegnati? Ci siamo rassegnati a dire attentamente due Ave Maria su cinquanta? Ci siamo disperati, nel senso che abbiamo detto: “non ce la faccio”? E abbiamo preso le formule, diciamo le formule, le vociferiamo ma non le pensiamo. Che lavoro sodo abbiamo fatto perché le preghiere siano più possibile ricche, ricche di riflessione, ricche di amore, ricche di donazione sull’esempio di Gesù che parlava con suo Padre. “Abbà, Padre”, cioè Babbo, diceva Gesù, e c’era tutto il suo senso di confidenza e di donazione.
Risolvere più intensamente e più celermente, perché altrimenti moriamo prima di pregare bene. Vi garantisco che, quando si diventa vecchi, la mente scappa di più.
L’impegno per potere dire: “Signore, ho desiderato darti gloria, ho desiderato che anche gli altri ti dessero gloria. Ho cercato la preghiera soprattutto per la tua gloria proprio sull’esempio di Gesù.” Gesù si ritirava in luoghi solitari a pregare: la sua preghiera non aveva bisogno di solitudine, ma Gesù lo faceva per darci l’esempio.
Per la gloria del Padre: noi dobbiamo pregare non per motivi egoistici, ma dobbiamo pregare per la gloria di Dio, per dare a Dio tutto il nostro cuore, per ubbidire a quello che ci ha detto, per la gioia che diamo a Lui e che diamo a noi in questo colloquio d’amore.
Voglio risolvere il problema della preghiera, lo voglio risolvere con molto lavoro e con molto impegno. In questa Quaresima cercherò di approfittare della grazia del tempo ed è proprio qui la grazia del tempo, la grazia di pregare bene.
Dica ognuno di noi al Signore: “Signore, in questo tempo di Quaresima voglio allenarmi ancora di più all’impegno della preghiera, a studiare tutto quello che ne confluisce: tempo della preghiera, luogo della preghiera, modo della preghiera, sforzo per la preghiera, preghiere liturgiche, preghiere personali, preghiera di riflessione, preghiera di adorazione e di lode, preghiera di ringraziamento, preghiera d’invocazione, preghiera per la salvezza delle anime.” La preghiera propiziazione è la preghiera che ci unisce a Gesù mediatore tra il Padre e noi, a Gesù che domanda il perdono per tutti i peccati del mondo. “E’ il Vivente nei secoli davanti al Padre intento a intercedere per noi”: è la sua volontà quella di essere sempre per noi, è il nostro Salvatore.
Noi ci dobbiamo unire a Lui.
Cerchiamo allora di fare un esame di coscienza più intenso e particolareggiato, un esame di coscienza sullo stato della nostra preghiera: com’è, di quali rimedi ha bisogno, dove vogliamo arrivare già al termine di questa Quaresima per potere poi camminare con viva generosità e vivo impegno.
III MEDITAZIONE
“Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno possa sorprendervi come un ladro: voi tutti infatti siete figli della luce e figli del giorno; noi non siamo della notte, né delle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma restiamo svegli e siamo sobrii.
Quelli che dormono, infatti, dormono di notte; e quelli che si ubriacano, sono ubriachi di notte. Noi invece, che siamo del giorno, dobbiamo essere sobrii, rivestiti con la corazza della fede e della carità e avendo come elmo la speranza della salvezza. Poiché Dio non ci ha destinati alla sua collera ma all’acquisto della salvezza per mezzo del Signor nostro Gesù Cristo, il quale è morto per noi, perché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui. Perciò confortatevi a vicenda edificandovi gli uni gli altri, come già fate.” (1 Ts 5, 4-11)
Vorrei che facessimo una breve riflessione sull’impegno della nostra Quaresima, l’impegno di coloro – dice S. Paolo – che sono figli della luce e figli del giorno, coloro quindi che devono restare svegli ed essere sobri.
La penitenza quaresimale ha un senso soprattutto in quest’ordine: l’ordine del nostro dovere fatto bene, fatto sempre, fatto nella fede. Noi dobbiamo santificare ogni nostra giornata, sapendo che nella pazienza e nell’umiltà di ogni giorno noi realizziamo quello che dice l’apostolo. Perché dobbiamo essere sobri, cioè dobbiamo prendere dalle mani di Dio quello che Dio, nella sua provvidenza, ha ordinato per noi. Non possiamo avere delle altre preoccupazioni, non possiamo avere delle altre aspirazioni: dobbiamo volere la volontà di Dio così come in ogni giornata si presenta.
Lo sappiamo bene: tante sono le cose che ci affaticano, tante sono le cose che ci urtano, tante sono le cose che ci frastornano.
La penitenza quaresimale è imparare la penitenza di sempre, cioè è insistere per la santificazione del giorno che si presenta così abitualmente. Il nostro peso, il nostro onere, la nostra difficoltà accettata e offerta al Signore.
Prendiamo i due aggettivi che usa S. Paolo: dice “restiamo svegli e siamo sobri”.
Essere svegli vuol dire essere avvertiti, vedere con chiarezza, non lasciarci addormentare da diverse posizioni e da diverse cose. Dobbiamo essere svegli, vale a dire sapere che il merito e il progresso della santità sta lì, sta nelle giornate offerte al Signore, nelle azioni ordinarie fatte straordinariamente bene. In questo resta la percezione della nostra vita, la percezione di ciò che vale la nostra vita.
Quando leggiamo le vite dei santi troppe volte vengono sottolineate le cose straordinarie: la santità tutti l’hanno maturata nel dovere di ogni giorno, nell’accettazione di tutte le occasioni che ci dà il Signore, nella benedizione delle cose che ci dà il Signore. “Benedetto il Signore”: lo dobbiamo ripetere stesso. La sua volontà e il suo desiderio è che attraverso le piccole cose realizziamo la vera santità.
Quindi, l’essere svegli poniamolo proprio nell’essere avvertiti del valore delle singole cose, un valore grande.
Il secondo aggettivo che usa l’apostolo è sobri; la sobrietà che dice astensione, che dice difesa. Infatti parla di una corazza della fede e della carità, perché chi ci difende se non il saper abbandonare le speranze terrene, le cose terrene, le cupidigie terrene, le ansie terrene e porci nella fede e nella carità? Poi soggiunge “come elmo la speranza della salvezza”: ecco, la vita teologale, la fede, la speranza e la carità che è possibile, che è grande se sappiamo astenerci da ciò che è indegno di un figlio di Dio, ciò che dà sl figlio di Dio una contaminazione.
Siamo fatti per le cose grandi, dobbiamo saper accettare le cose della terra con ringraziamento a Dio. Non dobbiamo rifiutare la gioia, non dobbiamo rifiutare la soddisfazione: quelle cose che il Signore ci dà prendiamole con molta serenità, con molta apertura.
L’elmo della salvezza è la speranza, cioè chi ci copre, chi ci difende è la speranza.
Dobbiamo essere completamente entusiasti in questa nostra speranza, ringraziare Dio delle cose terrene ma prenderne il motivo per sperare le cose celesti, la speranza della salvezza.
Proprio perché, soggiunge l’apostolo, “Dio non ci ha destinati alla sua collera”: Dio vuole che prendiamo i suoi regali, le gioie che ci dà, le soddisfazioni che ci dà, perché è il Dio della gioia infinita e ci ha destinati alla gioia eterna anche noi. E se Gesù è morto per noi, è morto perché viviamo insieme con Lui. E’ morto perché viviamo, è morto perché anche noi risorgiamo, è morto perché anche noi vegliamo, è morto perché diamo alla nostra vita un senso assolutamente deciso e forte.
Quindi l’esortazione dell’apostolo ci deve colpire e ci deve far dire: “Sì, Signore, io voglio fare il mio dovere, io voglio prendere tutto dalle tue mani, la gioia come il dolore, la preoccupazione come la consolazione e voglio vivere la vita dei figli di Dio perché i battezzati hanno ricevuto l’effusione delle tre virtù teologali, la fede, la speranza e la carità e devono vivere sempre di queste virtù”. Sono le facoltà operative. Il figlio di Dio è in grazia e la sua vita si afferma pensando come Dio (fede), sperando sulla parola e sulla promessa di Dio, soprattutto la cosa più perfetta è la carità, amando e nell’amore realizzare tutta la nostra fortezza.
Sì, in questo senso la nostra sobrietà non è un’autolacerazione: la penitenza è una liberazione, la penitenza ci aiuta a saper prendere dalle mani di Dio tutto quello che il Signore ha stabilito per noi con una serenità grandissima.
Allora ci vogliamo raccogliere in un esame di coscienza per cui ci chiediamo sul nostro dovere, sulla pluralità dei nostri doveri: ci sono dei doveri che trascuriamo? Ci sono cose che lasciamo cadere per pigrizia, per egoismo? E guardiamo il modo col quale nella sobrietà vogliamo realizzare i nostri doveri.
Il Signore non vuole cose strane, non vuole cose troppo difficili per arrivare alla salvezza.
“Sia che vegliamo, sia che dormiamo” possiamo arrivare a un’unione ben stretta con Gesù, perché se siamo con Lui uniti nella morte lo siamo anche nella resurrezione.
CODICE | 86C1R083 |
LUOGO E DATA | Sant’Ilario d’Enza 02/03/1986 |
OCCASIONE | Ritiro spirituale quaresima |
DESTINATARIO | Gruppo adulti |
ORIGINE | Registrazione |
ARGOMENTI | Ascesi per conformarci a Cristo L’importanza della preghiera. Le distrazioni nella preghiera La santità del quotidiano: fede, speranza, carità |
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