Lv 19,1-2. 11-18; Mt 25,31-46
Ci sarà un giudizio su di noi. È un giudizio al quale non possiamo fuggire; nessuno, proprio nessuno può fuggire. Un giudizio sulla nostra vita, sulla validità che ha espresso. Oh, gli altri ci possono giudicare nella maniera più diversa! Per gli altri noi possiamo essere santi o peccatori, da premiare o da castigare, ma il giudizio degli uomini non conta, quello che conta è il giudizio di Dio, perché, se sarà lode, sarà vera lode per l’eternità, se sarà riprovazione, sarà riprovazione per l’eternità.
Noi dobbiamo temere il giudizio di Dio, noi non possiamo non guardare a quel giudizio come alla cosa definitiva. Il Signore ci ha parlato più volte di questo giudizio, che Lui farà su ognuno di noi e su tutti noi insieme. Il Signore giudicherà con verità, giudicherà come sono le intenzioni e come sono i fatti, per cui non basta il fatto se manca l’intenzione, non basta l’intenzione se mancano i fatti.
È in fondo proprio qui il segno della nostra salvezza: unire l' intenzione ai fatti, perché, se resta solo intenzione, indica non una volontà, ma una velleità. Se ci sono solo i fatti, non vogliono di per sé dire la parola di salvezza, ci vuole l’intenzione e l’intenzione è sempre unica che dobbiamo avere: il fare la volontà di Dio, l’agire per amore, perché per amore siamo stati creati, per amore dobbiamo vivere, per amore dobbiamo agire. Per amore.
Il Signore ci domanda questa carità che coinvolge tutta la nostra vita, tutta. Per cui sia a riguardo a Lui, sia a riguardo al nostro prossimo, chi ci deve guidare e segnare è l’amore, è la carità, una carità dunque non formale, ma una carità intima e sostanziale. C’è chi è impossibilito a fare delle opere, ma ha il cuore ricco di amore: il suo amore gli è computato come opera. C’è chi opera e sembra compiere delle opere di carità, ma invece hanno un’altra origine e vengono fatte o per farsi vedere o per un altro motivo deteriore, o solo per un motivo umano. No, allora non valgono, valgono se sono espressione di vero amore.
Noi dobbiamo vedere la nostra vita e interrogarci se abbiamo la retta intenzione e se, di fronte al sacrificio che richiede l’opera, non decliniamo, ma lo compiamo fino in fondo. E tanto più alta sarà la nostra intenzione, tanto più sarà di vero amore, tanto più conterà, tanto più sarà di merito. Ma quanto più la nostra intenzione fosse scadente, anche le opere più preziose non contano.
Vi ricordate san Paolo: “Anche se dessi tutto il mio, anche se dessi il mio corpo a bruciare, ma non ho la carità, nulla conta” (1 Cor 13, 3). È la carità che conta.
Dobbiamo riempirci il cuore dell’amore di Dio, perché Dio è venuto a portare al mondo l’amore: “Io sono venuto a portare il fuoco” ha detto Gesù. È un fuoco necessariamente da sfavillare. “Che cosa voglio, se non che arda?” (Lc 12, 49).
Guardiamo che nel nostro cuore ci sia quest’amore di Dio. Ogni mattina mettiamolo come scopo della nostra giornata: “Signore, io faccio le cose di oggi per compiere la tua volontà, per amarti. Ogni cosa ti esprima amore”. E alla sera dobbiamo interrogarci su quanto amore abbiamo espresso, non essendo ipocriti di accontentarci di parole e di intenzioni, ma in quanto sta in noi traducendole in fatti, nei fatti di pazienza, di umiltà, di carità, di comprensione, di generosità.
Ecco questo sarà il vero nostro proposito.
CODICE | 78BCQ01340N |
LUOGO E DATA | Sant’Ilario d’Enza, 13/02/1978 |
OCCASIONE | Omelia, Lunedì I settimana Tempo Quaresima |
DESTINATARIO | Comunità parrocchiale |
ORIGINE | Registrazione |
ARGOMENTI | La retta intenzione, la carità |
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