02/12/1983 - Adunanza SG Bosco Storia della Chiesa San Francesco

Sant’Ilario d’Enza 02/12/1983
Adunanza

Ricominciamo la nostra trattazione della storia della Chiesa. Siamo arrivati al sorgere degli ordini medicanti: ordine francescano e ordine domenicano. Non sono monaci, non vivono secondo la regola dei monaci di tipo benedettino, o cistercense: hanno un’altra fisionomia e un altro scopo. S. Francesco non pensava di fondare un ordine, non ci pensava neanche nell’anticamera del suo cervello: è stato inseguito alla sua predicazione e al suo esempio che si è verificato questo movimento grandioso che ha cambiato un po’ l’epoca e la storia. Francesco quando si presenta al Papa, c’era allora Papa Innocenzo III che si può dire è il vertice del fastigio del pontificato nel Medioevo, quando si presentò questo giovanotto dell’Umbria, vestito come si vestivano i contadini dell’epoca, col cappuccio, con l’abito ruvido, Innocenzo III lo accolse; notate che Francesco aveva allora ventotto anni e Innocenzo III è stato un grande Papa, un Papa di un’intelligenza e di una forza non comune e anche l’episodio torna tutto ad onore di Innocenzo III. C’erano allora un mucchio di spiritualisti che giravano predicando la riforma della Chiesa, predicando la povertà, predicando ognuno secondo la sua visuale: erano tipi molto discutibili. Innocenzo III ascoltò Francesco molto attentamente. Il sogno stesso che aveva avuto quella notte lo confortava: aveva visto in sogno che stava crollando la basilica di S. Giovanni in Laterano e che c’era uno che la teneva su: nel giovanotto che aveva davanti, un giovanotto di bassa statura, magro, barbetta rada, aveva visto che poteva essere lui a sostenere la basilica. Era un Papa che sapeva distinguere le persone che aveva davanti: uno dei grandi pregi di chi comanda è saper riconoscere le persone, dare alle persone gli incarichi che le persone sanno fare. Innocenzo III lo autorizzò a predicare, sicché Francesco che era arrivato con dodici compagni come lui, cenciosi come lui, tornò da Roma con un potere abbastanza singolare, il potere del Papa, la facoltà del Papa di predicare. Voi ricordate com’era arrivato Francesco a quel punto: era nato nel 1182, aveva avuto una giovinezza piuttosto spendereccia e allegra, perché era figlio di un mercante, Bernardone, che stava bene e dava a suo figlio quel che voleva. L’episodio che lo fece molto riflettere fu quando in una delle solite guerriglie che si facevano allora tra città e città, tra borgata e borgata: fu fatto prigioniero e restò un anno in prigione e ne uscì molto mal messo di salute. Le carceri allora erano certo non agevoli; da noi adesso ci sono delle carceri con molti comfort, ma allora li trattavano con durezza, molto spesso, anche se andavano a Messa, con ferocia. Quest’anno di carcere indubbiamente ha fatto riflettere Francesco. Fatto sta che, rimessosi in salute, venne in lui un rivolgimento profondo: avviene la sua conversione, s’incontra con Cristo, s’incontra, direi, a faccia a faccia con Cristo. Nessuno, lo sapete bene, è veramente convertito se non s’incontra con Cristo, se non matura l’esperienza di Cristo, nessuno ci riesce, perché noi abbiamo accesso a Dio solo per mezzo del Figlio suo: la salvezza viene sempre e solo da Cristo, sempre e solo da Lui perché Lui c’è stato dato dal Padre. E se per Mosè ci è venuta la legge per mezzo di Gesù Cristo è venuta la grazia. S’incontra con Gesù Cristo e del Vangelo tiene due o tre frasi: quando Gesù dice “chi vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”, quell’altra in cui Gesù dà le norme ai predicatori “non prendete niente, né oro né argento…”. S. Francesco comincia allora, essendosi innamorato di Cristo, a dare un valore relativo alle cose, molto relativo: le cose gli appaiono come in realtà devono apparire per uno che segue il Signore. Le cose non hanno un grande valore: si devono adoperare quando sono utili, quando servono e basta. Perciò, proprio perché vuole che la roba serva, la dà e comincia quella elemosina che, con la preghiera, è uno dei grandi mezzi di lode al Signore e di acquisto di grazie. Dà tutto quello che ha in elemosina, dà così senza indagare troppo se uno è bisognoso o no. Voi sapete che provoca la reazione di suo padre, questo figlio scriteriato, questo figlio che dissipa i beni che lui ha acquistato con le sue fatiche; Bernardone andava fino in Francia a trattare le sue mercanzie, i suoi panni, faceva tutto questi viaggi e tribolazioni e Francesco le dava via così. Era un ragionamento dal punto di vista umano molto valido, ma Francesco pensava a Gesù che si nasconde nei poveri e beneficando i poveri testimoniava il suo amore a Gesù. E generosamente, quindi, Francesco continua la sua opera, finché il padre lo diseredata, gli dice che non lo riconosce più suo figlio e lo manda fuori di casa. Vi ricordate come l’azione legale è fatta davanti all’autorità d’Assisi, il vescovo: S. Francesco si spoglia di tutto, dà tutto e poi dice: “Così posso dire veramente: Padre nostro che sei nei cieli”, e se ne va così. Sembrava un maniaco, sembrava un esaltato: stava per sorgere in lui una delle più grandi figure di tutti i secoli. Comincia questa vita di umiltà, di povertà e di evangelizzazione. Si presenta proprio a Innocenzo III sottolineando proprio questo bisogno di riformare la Chiesa, perché la Chiesa non si può riformare se gli uomini della Chiesa sono attaccati ai soldi, attaccati alla roba, se gli uomini di Chiesa non capiscono che devono riempirsi di carità e andare ai poveri e riempirsi dell’amore di Cristo da portare questo amore dappertutto. Il suo esempio impressiona. Ci sono persone che riflettono: il suo esempio diventa contagioso. Ha inizio il movimento francescano che avrà alcuni punti base: accogliere Cristo, accoglierlo nella sua umanità. E’ venuto Gesù per essere il nostro modello: è su di Lui che ci dobbiamo conformare. Gesù è Figlio di Dio, ma si è fatto uomo, è diventato come uno di noi e ci ha insegnato la vera strada. E la vera strada è quella delle Beatitudini, che rovesciano tutte le posizioni umane, tutte, le rovesciano tutte, tutte. Per cui ciò che l’uomo comune stima non vale. E’ la strada della povertà, dell’umiltà, è la strada della carità: Francesco sottolineerà questo amore al Cristo, ma nello stesso tempo per Lui l’amore ai fratelli, l’amore agli altri uomini. S. Francesco bandirà la crociata dell’amore e dirà agli uomini: “Basta, basta, basta ai vostri egoismi, basta alla vostra sete di ricchezze, alla vostra sete di piaceri, basta, perché è per il vostro orgoglio, per la vostra avarizia, per la vostra sensualità che odiate il vostro prossimo, che opprimete il vostro prossimo, è per questa cupidigia che voi rovinate quello che dev’essere il regno di Dio, regno che è fatto di giustizia, si misericordia, che è fatto per portare a tutti gli uomini la pace”. S. Francesco non si ritirerà in solitudine se non per pregare, ma andrà di città in città, di villaggio in villaggio, trattato male, incompreso, preso a sassate dai monelli, andrà a predicare l’amore, la pace. Ripeterà: “Ci dobbiamo voler bene e tanto più uno è misero e tanto più gli dobbiamo voler bene”. Partirà dal baciare il lebbroso, che gli faceva uno schifo orrendo, e andrà a tutti, predicherà per tutti questo amore, questa pace. Notate però sempre non come si predica adesso la pace. La pace si predica come una moderazione, non tutti, si capisce, ma parecchi fanno ragionamenti che ridotti ai minimi termini suonano come “facciamo la pace perché altrimenti viene la bomba atomica…se noi ammazziamo ci ammazzano anche noi e tutti il mondo diventa una rovina”: è un discorso semplicemente di utilità per scampare a una strage. Allora Francesco portava invece la pace di Cristo: amatevi perché Cristo vi ha amato, amatevi perché siete stati tutti redenti da Cristo, perché in ognuno degli altri dovete trovare e vedere il suo volto. Dobbiamo allora vedere in Francesco un imitatore pieno di Cristo; è povero perché Cristo è stato povero e non perché la povertà debba servire di protesta e di ostentazione; bisogna confidare nel padre e non avere preoccupazioni terrene perché Gesù ci ha raccomandato questo. Il movimento diventa fortissimo e dall’Umbria si diffonde per l’Italia e per il mondo. S. Francesco d’Assisi poteva pensare a una confraternita: venne invece un ordinamento ben preciso e lui stesso darà le linee. Le linee sono la regola e il suo testamento, per cui raccomanderà ai suoi frati, ai suoi fratelli, di non possedere alcun bene e di dare tutto per amore di Cristo e di andare agli altri con la bontà che ci ha insegnato Gesù, quella bontà per cui “se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra porgigli anche la sinistra e se uno ti muove lite per toglierti la tunica cedigli anche il mantello. Dà a chiunque chiede e non voltare la faccia da chi ha bisogno di te”: questa totale arrendevolezza, questo totale dono che troppi uomini che si vogliono definire cristiani hanno cercato di edulcorare, o di ridurre, o di minimizzare, o di farci molte note per spiegare poi che si può intendere in un’altra maniera, o che si può in qualche modo diminuire, o che non è necessario restare proprio in quella crudezza. S. Francesco, innamorato di Gesù, non ha fatto distinzioni: ha seguito così in pienezza. E’ un santo formidabile, un santo di statura morale gigantesca. Due anni prima di morire, ebbe le stigmate, cioè ebbe il privilegio di assomigliare anche nel corpo a Cristo, di portare il segno della ferite che aveva Gesù nelle mani, nei piedi, nel costato. Soffrirà in maniera terribile: piaghe che sanguinavano, piaghe sulle quali camminava, piaghe che non lasciavano mai di tormentarlo anche quando prendeva un po’ di riposo. E a tutti continuava a predicare Cristo, a predicare l’amore, a predicare la pace, a tutti, senza sosta, si offriva per essere strumento di pace e di fraterna unione: una cosa meravigliosa. Indubbiamente la Chiesa ne fu scossa. Migliaia e migliaia furono i francescani che portarono un soffio di spiritualità altissima, francescani del popolo, i laici, del clero, dei vescovi. S. Francesco morirà il 4 ottobre 1226, ancora giovane, consunto dalle sue fatiche e dalle sue penitenze, ma veramente lasciando un’eredità elevatissima che non solo i francescani, ma tutti noi dobbiamo prendere, perché, lo sappiamo bene, dobbiamo amare gli altri e amarli sul serio, amarli e donargli anche quando ci è molto scomodo, anche quando tutta la nostra posizione e il nostro ragionamento umano lo rifiuterebbe. Bisogna che ci vogliamo più bene, che vogliamo più bene a tutti, che non diciamo “vogliamo bene a quelli lì perché è dei nostri e non vogliamo bene a quell’altro perché non è dei nostri”. Ad ogni uomo va dato l’amore e in ogni uomo dobbiamo vedere il Signore: dobbiamo sentire questa vocazione dell’amore che è propria del cristiani e che Gesù ha chiaramente sottolineato dicendo “da questo capiranno che siete miei discepoli, se vi amerete gli uni con gli altri.” Poi vincere quell’ostacolo che è la nostra avarizia, il nostro amore dei beni terreni, per cui dobbiamo riempirci dello spirito vero di povertà, ma vero, vero! Lo spirito vero di povertà non è dare le briciole, lo spirito vero di povertà non è fare economia: lo spirito vero di povertà è seguire Gesù povero, seguire le orme di Gesù, è cercare che la nostra vita diventi sempre più simile alla sua, sempre più innamorata delle cose celesti, desiderosa delle cose celesti, sapendo che nella povertà c’è una grande liberazione e c’è una grazia particolare.

CODICE 83N1A103
LUOGO E DATA Sant’Ilario d’Enza 02/12/1983
OCCASIONE Adunanza
DESTINATARIO Gruppo S. Giovanni Bosco
ORIGINE Registrazione
ARGOMENTI Storia della Chiesa XIII secolo S. Francesco
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