21/12/1980 - Ritiro Adulti in preparazione al Natale

28/04/1974
Ritiro spirituale tempo di Pasqua

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PRIMA MEDITAZIONE

Fammi giustizia, o Dio, 

difendi la mia causa contro gente spietata; 

liberami dall’uomo iniquo e fallace. 

Tu sei il Dio della mia difesa; 

perché mi respingi, 

perché triste me ne vado, 

oppresso dal nemico? 

Manda la tua verità e la tua luce; 

siano esse a guidarmi, 

mi portino al tuo monte santo e alle tue dimore. 

Verrò all’altare di Dio, 

al Dio della mia gioia, del mio giubilo. 

A te canterò con la cetra, Dio, Dio mio. 

Perché ti rattristi, anima mia, 

perché su di me gemi? 

Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, 

lui, salvezza del mio volto e mio Dio”. 

È il Salmo che per tanti secoli nella liturgia ha preparato la salita all’altare, ha servito ad entrare nella comunione eucaristica con Gesù: “Introibo ad altare Dei”. È un Salmo di forte desiderio, di anelito, è un sospiro forte che coinvolge tutta l’anima. 

Salire a Dio vuol dire abbandonare le remore delle nostre miserie e le stanchezze della nostra umanità, per entrare con gioia nel suo mistero, nella sua presenza, nella sua generosa Redenzione. È l’anima che è stanca, è stanca dei suoi peccati, delle sue mediocrità; è stanca di essere sempre oscillante nelle proprie decisioni e si abbandona a Dio, si abbandona perché sente come tutto è insufficiente, perché sente che tutto è vuoto e non ha senso quando non è con Lui. 

La nostra preparazione al Natale si deve collocare, così, nella constatazione della nostra radicale insufficienza, della nostra abissale povertà. Avvicinarci a Dio, partecipare alla grazia della sua nascita. Abbiamo troppo esperimentata la nostra miseria. Sentiamo sempre di più il fallimento di una vita che non è pienezza, che non è generosa, continua forma di abbandono. Sentiamo che senza la sua luce e la sua verità restiamo desolatamente fermi, desolatamente tristi, desolatamente insoddisfatti. 

Per chiarezza, in questa meditazione, fissiamo alcuni punti. 

Ci fermeremo sul primo versetto come primo motivo della nostra meditazione. I nostri difetti sono i nostri reali nemici. È il nemico che impedisce il bene, che impedisce la gioia, che impedisce l’unione stretta con il Signore. I nostri difetti sono il grande nostro peso: “È gente spietata”, dice il Salmo, sì, ed è tanto vero che abbiamo moltiplicato i propositi, abbiamo espresso tante volte le nostre aspirazioni e abbiamo dovuto constatare che, se tanti, se tanto numerosi sono i doni di Dio, la nostra corrispondenza è stata poca, fallosa, discontinua. “Gente spietata”, i nostri difetti ci tengono legati e cambiano faccia, ma sono sempre loro. Cerchiamo di dar loro una dignità e cerchiamo di dar loro una maschera, ma sono sempre loro. La pluralità dei nostri egoismi, la faccia diversa dei nostri orgogli sono sempre loro, che costituiscono una nostra falsa personalità. 

Liberami dall’uomo iniquo e fallace”, ingannevole. Noi in preparazione al Natale, ma sempre, ci dobbiamo porre davanti alla nostra anima nella sua fisionomia vera, direi, alla nostra anima nella sua nudità, perché troppe volte davanti agli altri assumiamo un contegno, troppe volte di fronte agli altri vogliamo apparire ciò che non siamo, troppe volte la nostra dignità pretesa, ostentata ci fa giocare al rimpiattino e siamo così sempre più poveri, sempre più falsi, sempre più indegni di essere con Lui.

Perché mi respingi, perché triste me ne vado oppresso dal nemico?”. Dio ci respinge quando non vogliamo ammettere quello che è vero, quando vogliamo sembrare ciò che non siamo, quando difendiamo i difetti come fossero virtù. O Dio, difendici da noi stessi! “Tu sei il Dio della mia difesa”, difendici da tutte le cose che noi simuliamo e proclamiamo, come avessero un’apparenza almeno di valore, ma non hanno neanche quella. Cognizione di noi stessi è dire: “Mi voglio vedere come sono” e questo, indubbiamente, è un suo dono. 

Mandami la tua verità, mandami la tua luce”, mandami questa partecipazione, per cui io veda me stesso come tu mi vedi, come tu mi giudichi, perché anch’io partecipi al tuo giudizio e si verifichino le parole di Gesù: “Se tu ti giudichi, non sarai giudicato; se tu ti condanni, non sarai condannato” (cfr. Lc 6,37). Guardare allora i nostri difetti, quelli veri che resistono, che resistono ad ogni grazia, ad ogni liturgia, che ci troviamo tali e quali dopo le nostre Confessioni. “Mandami la tua verità”, perché io ho bisogno di vedere, perché i miei occhi non si chiudano, come dice un altro salmo, “non si chiudano nella morte” (Sal 13,4), in questa morte spirituale per cui tutti sanno i nostri difetti e noi non li sappiamo, perché tutti ci compassionano per i nostri difetti e noi, invece di averne tristezza, ne abbiamo una falsa gloria e diciamo: “Siamo così, siamo così!” e ci crogioliamo nei nostri difetti; e diciamo, al più, che appartengono alla nostra personalità e che è inutile attaccarli. 

Liberami dall’uomo iniquo e fallace”. Iniqui perché diciamo «virtù» ciò che è difetto, fallaci perché diciamo che tutto va bene o che, se non tutto va bene, la maggior parte va bene, e non vediamo i nostri difetti come reali, ma scoloriti e leggeri.

Il secondo punto della nostra riflessione sarà come dobbiamo prendere cognizione di noi stessi. Il cristiano sa che c’è la sua salvezza e il Natale ci ricorda proprio che Gesù è venuto per redimere, è venuto per amore, è venuto per donarci la sua forza. Con il Natale iniziamo la contemplazione dei suoi misteri, che non vuol essere una visione da lontano, ma vuol essere una comunione con Lui. 

“Redentore” ci dice che la salvezza viene solo dall’alto, che noi non possiamo salvare noi stessi, che noi non possiamo porre la nostra sapienza, la nostra energia come elementi risolutivi; non possiamo. È venuto proprio perché noi non possiamo, è venuto proprio per donarci la ricchezza della sua divinità. Si è fatto uomo, perché noi potessimo godere della sua divinità. Si è fatto visibile, perché noi potessimo salire alle cose invisibili. Si è manifestato come la grande rivelazione dell’amore di Dio, perché noi potessimo abbandonare tutte le nostre illusioni e godere dell’amore vivo e grande.

Allora la considerazione dei nostri difetti è una considerazione che non ci porta alla disperazione, non ci porta al nichilismo, non ci porta all’avvilimento. “Manda la tua verità e la tua luce”: ecco è lì, è in Gesù Redentore e nel suo amore. Il modo di vincere i nostri difetti è proprio la considerazione dei suoi doni, dell’abbondanza dei suoi doni, della magnificenza dei suoi doni. Quanti doni ci ha dato il Signore! Ce ne ha dati tanti che nessuno di noi potrebbe contarli tutti, nessuno di noi, nessuno di noi può dire: ecco, ho fatto l’elenco. E tutti vengono da Gesù, dalla sua redenzione e i suoi doni ci raccontano della sua sapienza, della sua instancabile pazienza, della sua ricerca. Ogni dono è una bocca che parla, che canta il suo amore.

Il salmo precedente, il salmo 41, che anticamente formava un unico salmo con il 42, parla della moltitudine delle acque, dei flutti, delle onde. Possiamo paragonare “la voce di molte acque” alla voce dei tanti doni, che salgono a noi da tutti i punti della nostra vita: i doni dell’infanzia, i doni dell’adolescenza, quanti! Quante prevenzioni! Quanti perdoni! Quanti instancabili voci di richiamo! Eravamo svagati, eravamo attratti dal mondo, eravamo inquieti. Senti, senti la voce di tante acque! Senti com’è stato buono il Signore! Com’è stato misericordioso! Come si è chinato su di te! Ti rincorreva e tu scappavi. Ti ha rincorso per tanti anni, ti ha reso amara l’esperienza del mondo e non ha tenuto conto delle tue piccole o grandi pazzie. Il Signore ti è venuto dietro. E poi senti la voce della tua giovinezza, la voce del Signore! Ricordi quando ti ha fatto capire tante cose? Quando ti ha dato la fortezza, ha dato nella pazienza il richiamo, nella soavità il rimprovero, nella preghiera la gioia? La senti? La senti la voce delle molte acque nella tua realizzazione, nella tua maturità di vita? Come il Signore è sempre nuovo nelle sue meravigliose provvidenze, nei suoi doni tanto, tanto efficaci? Lo senti come ha reso la tua vita efficace, la tua famiglia oggetto di tanti doni, il tuo amore sponsale reso ad immagine del suo amore sponsale per la Chiesa? Quanti doni! La voce di tante acque …

Tu sei il Dio della mia difesa. Perché mi respingi, perché triste me ne vado?” No, tu ci ami Signore, tu ci ami e tu ci stai vicino e, se è molto quello che hai fatto, ancora di più sarà quello che farai, ancora di più. La tua magnificenza non viene mai meno, la tua ricchezza è infinita. Ecco, la nostra anima si deve aprire: nel ricordo dei suoi doni dobbiamo sentire la sua presenza e la sua promessa. E perciò dobbiamo acquistare nuovo ardore nello sforzo della nostra perfezione, della nostra carità, nello sforzo di donare al Signore tutto quello che possiamo donare, tutto, tutto. Un abbandono fiducioso, una grande speranza che si alza dal nostro animo: “Signore, sono con te”.

Ed ecco il terzo punto della nostra riflessione: il Signore è con noi. Dice ancora un altro Salmo: “È alla mia destra” (Sal 110,1). La terza riflessione passerà allora nel concreto. 

La prima riflessione ci ha dato la vera cognizione di noi stessi. La seconda riflessione ci ha aperto il cuore alla speranza. La terza riflessione: come devo realizzare questa mia nuova conquista, questo passo che domanda da me il Signore; lo sentite, il versetto si ripete: “Manda la tua verità e la tua luce”, è allora nel saper prendere questa verità e nel saper prendere questa luce. Lo strano fenomeno di chiusura caratterizza un certo numero di anime: si chiudono perché non hanno abbastanza l’apertura mentale, che è fede. Tutto viene da Dio. La preghiera è un canale, un canale con il quale il Signore ci dà. Pregare vuol dire aprirsi. Pregare non è fare dei discorsi. Pregare non è inventare sempre nuove litanie, che esprimano delle cose sempre più raffinate. Pregare non è andare davanti a Lui per far bella figura con un abito nuovo. Pregare è aprire noi stessi alla forza, alla parola, all’azione di Dio. E tu devi studiare quanto la tua preghiera è così; non aprirti alle tue preoccupazioni, non aprirti alle tue forme di autocommiserazione, non arrovellarti. Altrimenti la preghiera invece di essere soavità è tensione, è richiamo di tutte le noie e di tutte le paure. Pregare è aprirti a Lui, alla sua verità, alla sua luce. È lì che il Signore interviene misteriosamente, ma sicuramente e fortemente. È lì che il Signore interviene: “Manda la tua verità e la tua luce”, capire le cose nella fede, camminare secondo la fede, ecco che cosa produce la preghiera. 

La preghiera, spirito di questo Avvento, dobbiamo rivederla proprio fino in fondo. 

Rorate coeli desuper”: la rugiada che viene dall’alto, le nubi portano il Giusto. È qui, è qui: è la nostra preghiera-attesa; tutto deve essere attesa e l’attesa deve crescere sempre di più, e l’attesa deve essere sempre più forte, più viva. L’attesa, Lui, il Signore, Lui che nella problematica di ogni giorno è la sicurezza, la soavità, il gaudio, la gioia, perché ci ama, perché viene per amore, perché per Lui ognuno di noi è importante. Gli altri uomini possono non far nessun conto di noi, ma Lui, il Signore, fa conto di noi! E ogni anima è più importante di Lui, di tutto l’universo fisico, delle lontane costellazioni, è più importante ogni anima. 

Ecco, aspettiamolo così in una riforma progressiva e forte della nostra preghiera, la preghiera che si apre, la preghiera che gioisce, la preghiera che prende tanta, tanta velocità di salita con Lui.

E allora le conclusioni della nostra prima riflessione vogliono dunque essere queste: dobbiamo costruirci una grande attesa, un’anima fatta tutta di attesa, un’anima che possa veramente gioire di Lui, perché ha rifiutato se stessa in una falsa personalità e in una falsa sicurezza. “Manda la tua verità e la tua luce”. Attesa, gioia profonda, pace in mezzo a tutte le nostre preoccupazioni. Quando si parla di Natale di pace, vogliamo particolarmente dire tutto questo e altro ancora.

SECONDA MEDITAZIONE (tratta da appunti)

Ritorniamo sulla nostra meditazione.

Manda la tua verità e la tua luce;

siano esse a guidarmi,

mi portino al tuo monte santo e alle tue dimore.

Verrò all’altare di Dio, 

al Dio della mia gioia, del mio giubilo.

A te canterò con la cetra, Dio, Dio mio”.

La forza della Parola di Dio è una forza irresistibile, è una forza divina essa che ci può unicamente guidare: “Io sono la luce del mondo, chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”, ha detto Gesù (Gv 8,12). La vera posizione del cristiano è quella di Gesù, perché il cristiano è un altro Cristo. Bisogna realizzare come Lui e Lui si è realizzato sul monte del Calvario. Nella consumazione del suo sacrificio ha realizzato ciò che Lui stesso aveva predetto: “Distruggete questo tempio e io lo riedificherò in tre giorni” (cfr Gv 2,19). È nella partecipazione al Mistero Pasquale di Cristo che noi possiamo raggiungere la nostra pienezza, ecco perché dobbiamo partecipare alla sua Morte e anche la nostra morte fisica ha il suo senso se unita alla sua Morte e se è posta in redenzione come la sua. È necessario attuare in noi stessi il piano di Dio, che comporta questa misteriosa morte spirituale, questa intensa unione al Cuore di Cristo. Non dobbiamo più avere il sogno così facile dell’adolescenza, che immagina che in fondo, dopo aver attuato un certo sviluppo di vita spirituale, tutte le cose procedano lisce, quasi in modo trionfale, e basti la buona intenzione a risolvere i nodi della vita. È lui che ci guida e non può guidarci se non sul suo binario, per cui la dimostrazione del nostro amore al Signore, lo diciamo frequentemente ma mai a sufficienza, è fare la sua volontà e le sue strade non sono le nostre strade: “Insegnami, Signore, le tue vie, mostrami i tuoi sentieri” (Sal 25,4).

Ci sono vie evidenti e sentieri aggrovigliati, che sembrano portare in un labirinto senza uscita: “Siano esse a guidarmi, la tua verità e la tua luce”. Ritorniamo sulla legge della partecipazione al suo sacrificio e alla sua Passione, che per Gesù sono iniziati a Betlemme nella mangiatoia degli animali, dove certo non stava comodo. Lungo i secoli la pietà cristiana ha contemplato spesso Gesù bambino, povero, al freddo ed è una pietà che entra un po’ più nel Mistero, perché Gesù ha voluto così, quando le soluzioni diverse non mancavano. Ha voluto tremare e piangere fin dai primi momenti della sua apparizione sulla terra. Un inno natalizio dice che Gesù è il Creatore dell’universo, per il quale tutto vive e nemmeno viene a mancare di sostentamento l’uccellino. Perché si pone così? È l’insegnamento delle sue strade. È troppo vero che noi non maturiamo bene la nostra vita spirituale, stentiamo a vincere i nostri difetti, ricadiamo, perché ci difetta questo spirito di umiltà, di penitenza, di povertà essenziale. Pur avendo la vita come l’abbiamo, ci mancano quegli utili punti di progresso che sono la mortificazione cristiana, le piccole penitenze che ci abituano al dominio di noi stessi, che ci abituano ad una parola scritturistica, ma che stentiamo a capire: rinnegare noi stessi. “Chi non rinnega se stesso non può essere mio discepolo” (cfr Mt 16,24). Per mancanza di questi punti siamo tardi e non arriviamo a quel grado di vita spirituale per cui sull’altare di Dio proviamo gioia e giubilo. “Verrò all’altare di Dio” vuol dire comunione perfetta con il Sacrificio di Gesù. Partecipare all’Eucarestia è immolarsi con Lui. Cerchiamo le gioie superficiali e perdiamo quelle profonde; cerchiamo Dio lontano da noi e trascuriamo l’offerta di Gesù, l’offerta di ogni giorno di Gesù. La nostra è una posizione da dilettanti, che non prendono sul serio quello che fanno. In prossimità del Natale sentiamo la nostra vera posizione: è inutile che cerchiamo di scappare e che cerchiamo altre cose. Non arriveremo in profondità che attingendo all’Eucarestia e vivendo di essa, sentendo che salire all’altare è salire con Lui, porci sull’altare e condividere la sua sorte, non semplicemente porci accanto. Il mistero del presepio è un mistero che dobbiamo cercare di penetrare nella logica di tutta la vita di Gesù. Se uno contempla il presepio e si ferma ad esso, fa pochi passi; il presepio s’interpreta con la Croce e con la Resurrezione, sentiamolo come l’inizio di una grande lezione.

Di conseguenza siamo stimolati ad una revisione di vita: le nostre mortificazioni e il tipo delle nostre gioie. Come vediamo la gioia dell’immedesimarci con Gesù ed essere un’unica cosa con Lui? “Per me vivere è Cristo” (Fil 1,21). Quali sono le cause della nostra mediocrità? Quali sono le cause di certi tipi di mediocrità, che si ripetono e si affermano come disordini permanenti? 

Farei, ma sono pigro e disordinato? Mi avvilisco e mi compiaccio? Dico che tanto non ci riesco? Non realizzo certi impegni, scusandomi che me lo impediscono? 

Ci fermiamo alle nostre mediocrità e non ne usciamo. La nostra santità così va sempre più lontana. Vediamo questa nostra mancanza di vera e chiara mortificazione. Se dentro di noi avessimo maggiore spinta, noi faremmo e supereremmo le difficoltà. Il Signore lo vuole, mi ama, m’invita! Le gioie sono poche e le tribolazioni sono molte, ma io ho la gioia profonda della comunione con Gesù: Dio è il “Dio della mia gioia e del mio giubilo”. Noi vogliamo mancare di queste gioie, perché preferiamo le mediocrità e le stanchezze, preferiamo vivacchiare.

“Il Dio della mia gioia”. Ogni anima sa che è là un giubilo tale che ci vorrebbe uno strumento, per cantare la gioia che irrompe come un torrente, una gioia che si prova quando si sa abbracciare la Croce, quando si scartano tutte le false consolazioni e si va direttamente all’altare. Alla Resurrezione si va quando si è stati sul Calvario, ci si è distesi sulla Croce e si è ripetuto con sant’Andrea: “O buona croce, tanto desiderata, intensamente abbracciata”; quando noi ogni giorno, attraverso l’unione eucaristica, abbiamo avuto un’unione stretta con il Signore e, anziché lamentarci delle avversità e degli imprevisti, ripetiamo: “Si, Signore, per lavorare e vivere come te”. Quando abbiamo capito l’unione stretta che c’è tra l’Eucarestia e la vita, è questo il prolungamento che vogliamo attuare, per abituarci a non essere dei rassegnati alle lotte di ogni giorno, alle delusioni e alle stanchezze di ogni giorno, ma al saper abbracciare ogni giorno con forza quello che il Signore permette come sua volontà. 

È il gradino ultimo dell’altare: “Introibo”, io verrò a Dio, che allieta questa giovinezza perenne dell’anima che si è incontrata con il suo Signore, non di un incontro rituale ma di verità: io penso come te, Signore; di volontà: “Sia fatta la tua volontà non la mia”, di un’offerta totale di tutto quello che si ha. Gesù si presenta al Padre così: “Io vengo a fare la tua volontà. Non hai voluto sacrifici e offerte, mi hai dato un corpo” (cfr Sal 40,7-9). 

Il Natale ci deve dare una gioia più forte di quella di celebrare una cara festa, ci deve dare la gioia della profonda unione con Gesù, dell’essere con Gesù povero. La povertà vera di Gesù è stata quella di non avere una sua volontà e di essere contento, sempre, della volontà del Padre, di essere privo di affetti, privo di un messianesimo comodo. E Gesù ha detto di sì. Anche noi dobbiamo essere veramente poveri, per avere solo la sua volontà, per servire come Lui il Padre, perché anche noi dobbiamo seguire il Messia, ripetere il suo piano, realizzare le sue opere.

SECONDA MEDITAZIONE (tratta da appunti)

Riflettiamo sugli ultimi versetti:

Perché ti rattristi anima mia,

perché su di me gemi?

Spera in Dio: ancora potrò lodarlo,

lui, salvezza del mio volto e mio Dio”.

L’itinerario della vita spirituale è lungo e, per definizione, di superamento. La vita presente è una prova, non dimentichiamolo mai; è facile confondere le cose e sentirci quasi a nostro agio, come non sapessimo che siamo pellegrini, che andiamo verso il Signore e non abbiamo qui la nostra patria. Di qui vengono le illusioni e la nostra anima geme, perché il sogno è stato diverso mentre la realtà è lotta. Mettiamoci davanti a Dio e valutiamo seriamente la regola, cioè la norma della vita cristiana che, essendo lotta contro il male in noi e attorno a noi, deve essere accettata con umiltà. Insistiamo su questa parola: umiltà. Essere umili vuol dire accettare la realtà e dare a Dio quello che spetta a Dio e a noi quello che ci spetta. La superbia è l’esagerazione della stima di noi stessi, è la valutazione sbagliata delle cose a nostro riguardo.

L’umiltà è una virtù tanto rara in questo tempo: è la virtù dell’uomo che sa di non poter da solo risolvere i suoi problemi, è la virtù del cristiano che sa di non poter costruire da solo, è la virtù dell’anima che, sentendo il peso delle cose, non si ribella e accetta, perché sa di aver bisogno, e fa molte cose, perché Dio si mette vicino a lei. “Spera in Dio” e non nel tuo ingegno, nelle tue forze, nelle tue capacità. “Spera in Dio”. L’umiltà è un giudizio che risiede nell’intelligenza ma non vi si ferma, per essere vera esige che non solo accettiamo, ma amiamo il nostro niente perché ci apre a Dio che può tutto. Se riconosco in umiltà che non posso niente, Lui interviene con il suo tutto nei problemi sociali, di famiglia, di apostolato … Dio può tutto. L’umiltà è la condizione necessaria per vivere bene secondo Dio, nell’equilibrio e nella serenità. L’umiltà è rispetto di ciò che Dio mette a nostra disposizione, è accoglienza vedendo come Dio si occupa della nostra vita, perciò è riconoscenza. Per celebrare bene il Natale ci vuole l’umiltà, che riconosce in Gesù la vera salvezza, riconosce che in noi non c’è niente che possa risolvere il problema della vita. Dio può tutto.

Bisogna essere umili soprattutto nella preghiera: “La preghiera dell’umile penetra i cieli” (Sir 35,17). È l’umiltà radicale. La nostra preghiera non sia il gemito del pagano, che si tormenta perché non può, non raggiunge, non ha forza. L’anima mia geme su di me perché, constatando il mio niente, richiamo il suo tutto, secondo una costante della Scrittura: “All’umile dà tutto, respinge il superbo” (Gc 5, 6).

L’umiltà porta un’altra virtù cristiana: la semplicità. “Ancora potrò lodarlo”, dice il Salmo, nonostante quanto in me c’è di contrario; “Ancora potrò lodarlo” con il cuore semplice che non guarda indietro, non si complica, non si arrovella. La lode serena parte dal cuore di chi è «piccolo». “Non temere piccolo gregge, perché si compiacque il Padre di darti il suo regno” (Lc 12,32). Ecco il regno: “Ancora potrò lodarlo”. È Lui che salva la mia faccia, perché io non resti confuso, sbigottito nella facile mia viltà; “Lui, salvezza del mio volto e mio Dio”.

La semplicità ci fa andare a Dio con tutta l’apertura del cuore, con tutta l’anima, perché sappiamo che con Lui non possiamo fare bella figura o assumere qualche falsità che Lui non veda, perché Lui, Lui mi ama. La semplicità sboccia nell’amore. Dio è diventato il “mio Dio” nel presepe, l’Incarnazione ha fatto di Dio il mio Fratello: sboccia allora la carità. Sono umile e riconosco, sono semplice e cerco e trovo l’Amore.

Il nostro proposito. Parlavamo di preghiera, che deve essere umile, semplice, piena d’amore. 

Nel Natale devo trovare il mio Dio in un Bambino e, per essere in sintonia, devo essere umile, semplice, ricco d’amore. Quando il Signore si è fatto vedere nell’Eucarestia, si è mostrato quasi sempre Bambino. C’è un legame profondo tra l’Eucarestia e l’infanzia di Gesù, perché l’Eucarestia ripete l’esperienza di Betlemme, dove Gesù si è fatto piccolo, piccolo, e per ognuno si fa piccola cosa, per possedere il cuore di ognuno. La preghiera del Natale è la semplicità eucaristica. Quando preghiamo ci diamo delle pose e siamo goffi, perché abbiamo bisogno di semplicità per amare. Nell’Eucarestia dobbiamo trovare Gesù Bambino e abituarci ad una preghiera confidente e serena: ecco il regalo di Natale e ciò su cui insistere.

 Il Natale è realtà di vero dono e di vero amore. Passiamo in rassegna le varie nostre pratiche di pietà, per vedere in che cosa sono artefatte o mancano e non sono vero amore; passiamole in rassegna per migliorarle e intonarle così, per renderle tanto più ricche d’amore quanto più semplici e tanto più efficaci quanto più donate e spontanee.

Il Signore in questo Natale ha preparato una magnifica donazione. Il Padre ha fatto il suo grande dono in Gesù, noi doniamo il nostro sì nei fratelli. Il Natale è un segreto, quello del dono che il Padre ci vuol fare, accogliamolo con grande gioia.

CODICE 80NMR083
LUOGO E DATA Sant’Ilario d’Enza, 21/12/1980
OCCASIONE Ritiro in preparazione al Natale
DESTINATARIO Adulti
ORIGINE Registrazione
ARGOMENTI Preghiera e attesa; commento al Salmo 43

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