11/03/1979 - Ritiro Quaresima Giovani COMMENTO SALMO 21

Montechiarugolo 11/03/1979
Ritiro spirituale quaresima

I MEDITAZIONE

“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?

Tu sei lontano dalla mia salvezza”:

sono le parole del mio lamento.

Dio mio, invoco di giorno e non rispondi,

grido di notte e non trovo riposo.

Eppure tu abiti la santa dimora,

tu, lode di Israele.

In te hanno sperato i nostri padri,

hanno sperato e tu li hai liberati;

a te gridarono e furono salvati,

sperando in te non rimasero delusi.

Ma io sono verme, non uomo,

infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo.

Mi scherniscono quelli che mi vedono,

storcono le labbra, scuotono il capo:

“Si è affidato al Signore, lui lo scampi;

lo liberi, se è suo amico”.

Sei tu che mi hai tratto dal grembo,

mi hai fatto riposare sul petto di mia madre.

Al mio nascere tu mi hai raccolto,

dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio.

Da me non stare lontano,

poiché l’angoscia è vicina

e nessuno mi aiuta.

Mi circondano tori numerosi,

mi assediano tori di Basan.

Spalancano contro di me la loro bocca

come leone che sbrana e ruggisce.

me acqua sono versato,

sono slogate tutte le mie ossa.

Il mio cuore è come cera,

si fonde in mezzo alle mie viscere.

È arido come un coccio il mio palato,

la mia lingua si è incollata alla gola,

su polvere di morte mi hai deposto.

Un branco di cani mi circonda,

mi assedia una banda di malvagi;

hanno forato le mie mani e i miei piedi,

posso contare tutte le mie ossa.

Essi mi guardano, mi osservano:

si dividono le mie vesti,

sul mio vestito gettano la sorte.

Ma tu, Signore, non stare lontano,

mia forza, accorri in mio aiuto.

Scampami dalla spada,

dalle unghie del cane la mia vita.

Salvami dalla bocca del leone

e dalle corna dei bufali.

Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli,

ti loderò in mezzo all’assemblea.

Lodate il Signore, voi che lo temete,

gli dia gloria la stirpe di Giacobbe,

lo tema tutta la stirpe di Israele;

perché egli non ha disprezzato

né sdegnato l’afflizione del misero,

non gli ha nascosto il suo volto,

ma, al suo grido d’aiuto, lo ha esaudito.

Sei tu la mia lode nella grande assemblea,

scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli.

I poveri mangeranno e saranno saziati,

loderanno il Signore quanti lo cercano:

“Viva il loro cuore per sempre”.

Ricorderanno e torneranno al Signore

tutti i confini della terra,

si prostreranno davanti a lui

tutte le famiglie dei popoli.

Poiché il regno è del Signore,

egli domina su tutte le nazioni.

A lui solo si prostreranno quanti dormono sotto terra,

davanti a lui si curveranno

quanti discendono nella polvere.

E io vivrò per lui,

lo servirà la mia discendenza.

Si parlerà del Signore alla generazione che viene;

annunzieranno la sua giustizia;

al popolo che nascerà diranno:

“Ecco l’opera del Signore! ”. (Sal 21)

Cos’è la vita cristiana? È incontrarsi con Gesù, è un conformarsi a Gesù, è vivere della sua vita, avere i suoi gusti, operare le sue scelte. Perciò tutto lo sforzo che viene logico dal nostro Battesimo è conoscere Gesù, è amare Gesù, è unirci a Lui, unirci con Lui morto e risorto. Perché il Mistero Pasquale è la sintesi di tutta la vita di Cristo, oltre ad essere la vetta.

Perciò sta a noi, con profonda umiltà, operare il nostro itinerario quaresimale, il volere veramente ciò che vuole Lui, l’abbandonare ciò che si deve abbandonare, il porre la nostra vita a sua disposizione.

Noi sappiamo che il mistero di Gesù Uomo-Dio comporta per noi di unirci alla sua umanità per gioire della sua divinità: tutto per noi è Gesù. Diceva S. Paolo: “Se uno non ama il Signore Gesù sia anatema”, sia maledetto.

Noi non possiamo avere altre aspirazioni che guardare a Cristo e possedere ciò che Lui ci ha così meravigliosamente donato. Vivere di Lui e con Lui operare la salvezza del mondo, essere come Lui per fare come Lui, essere come Lui per porci in una dinamica di forza e di grandezza, la grandezza del servizio, la grandezza della povertà, la grandezza dell’umiltà, trascendendo tutte le cose e vivendo così come i veri poveri di Cristo per continuare la sua vita, per tradurre nella pratica di ogni giorno la sua carità.

Il ritiro di Quaresima allora deve avere allora perfettamente questa impostazione: guardare a Gesù, guardare particolarmente al Mistero Pasquale, fissare gli occhi in Lui crocefisso. Il tempo della Quaresima è dato proprio per capire il mistero della croce; il tempo pasquale sarà dato per capire la sua resurrezione. Il punto centrale è il passaggio dalla sua morte alla sua resurrezione.

Ecco perché quello che noi dobbiamo fare è soprattutto una riflessione su Cristo, perché col Battesimo siamo stati uniti a Lui e perché il Padre ci vuole come Lui, perché il bene dei fratelli si deve realizzare proprio attraverso di Lui. Non possiamo dare agli altri qualche cosa perché in noi non c’è niente, la nostra umanità non può salvare la loro umanità, è partecipare di Cristo perché Cristo allora comunica i prodigi della sua umanità.

Noi abbiamo davanti un testo, un Salmo profezia, un Salmo che ci unisca così nella riflessione più vera e più profonda al mistero del suo amore. Questo Salmo profezia noi dobbiamo tenerlo davanti per tutto il tempo della Quaresima, farne oggetto della nostra riflessione, farne motivo del nostro amore che va a Lui, del nostro amore che attraverso Lui va agli altri. Noi attraverso le parole del salmo leggeremo la sua passione e perciò leggeremo le sue scelte e vorremo possedere quello che Lui così misericordiosamente ci ha donato.

La prima sofferenza che il Signore ha avuto durante la sua passione è stata la solitudine: si è trovato da solo.

“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Tu sei lontano”: sono parole che il Signore farà sue, farà del tutto sue sulla croce.

Perché ha voluto essere solo? Ha voluto essere solo perché la prima espiazione del peccato era nell’ordine proprio dell’allontanamento da Dio. Il peccato è allontanarsi da Dio, il peccato è rottura e divisione. Gesù che è venuto a prendere il nostro peccato ha voluto rompere questa divisione e ha sofferto il soffribile proprio nella solitudine. E’ terribile, è terribile perché su che cosa era basata la vita di Gesù? Sulla continua presenza e la continua unione di Lui col Padre: “Il Padre ed Io siamo una cosa sola.” E Gesù comincia veramente la passione in questo senso d’isolamento.

Ricordate il testo di Matteo: “Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli: “Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare”. E presi con sé Pietro e i due figli di Zebedèo, cominciò a provare tristezza e angoscia. Disse loro: “La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me” (Mt 26, 36-38)

La passione comincia proprio in quest’angoscia. Notate, Gesù ha paura, ha tristezza, ha affanno proprio perché il peccato produce la paura di Dio, la paura di se stessi, lo scatenarsi delle incontrollabili passioni e paura anche degli altri. Gesù ha tristezza, perché ha davanti tutta la problematica dell’umanità, dell’umanità che vuole avere la gioia e va per la strada che è negazione della gioia, va per la strada che non sarà che un anticipo di un inferno: la tristezza di chi cade in peccato e di chi ripete il peccato.

Il Signore Gesù è proprio l’Agnello che prende su di sé i peccati del mondo, prende su di sè la tristezza del peccato, prende su di sè il peso del peccato. Ha tutti i peccati del mondo e per questo entra in angoscia, nell’angoscia per cui non si sente più Iddio, per cui non si sente più alcun appoggio: “La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me” domandando l’aiuto. Questo senso di smarrimento.

Tutto per noi.

“ E avanzatosi un poco, si prostrò con la faccia a terra e pregava dicendo: “Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu! ” (Mt 26, 39).

Il volere del Padre era proprio in quest’ordine di abbandono. Lui deve provare ciò che il peccato fa provare. E’ solo. “Pero non come voglio io, ma come vuoi tu.”

Ecco la delusione:

“Poi tornò dai discepoli e li trovò che dormivano. E disse a Pietro: “Così non siete stati capaci di vegliare un’ora sola con me? Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole. E di nuovo, allontanatosi, pregava dicendo: “Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà”. E tornato di nuovo trovò i suoi che dormivano, perché gli occhi loro si erano appesantiti. E lasciatili, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: “Dormite ormai e riposate! Ecco, è giunta l’ora nella quale il Figlio dell’uomo sarà consegnato in mano ai peccatori. Alzatevi, andiamo; ecco, colui che mi tradisce si avvicina” (Mt 26, 40-46).

Oh, che pagina, oh che pagina da meditare! Oh, che pagina che basterebbe a farci piangere per sempre i nostri peccati. La solitudine di Gesù che continuerà terribile. Vi ricordate come Gesù (e il testo va meditato) quando arrivano i soldati i suoi apostoli, abbandonatolo, fuggirono: non ha neanche più gli amici, ha solo Giuda, ha solo i manigoldi, solo. Così è trascinato in mezzo ai suoi nemici, quella notte, in mano ai soldati che lo beffeggiavano, che lo schiaffeggiavano, che lo sputacchiavano: da solo. Da solo davanti a Pilato: cerca poco prima una consolazione e s’incontra con lo sguardo di Pietro e Pietro l’aveva rinnegato. Va da Pilato e ancora davanti alla folla, che grida la sua crocefissione, è solo, è solo.

Sono brevi i suoi incontri sulla via del Calvario: sua madre, le buone donne.

Là sulla croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. È la solitudine più tremenda che Gesù supera con quell’amore di cui non si può dare uno maggiore: “Padre perdona loro”. Lui è solo ma pensa agli altri, Lui è martirizzato, ma pensa ai crocefissori: “Oggi sarai con me in Paradiso”, disse al ladro.

Io vorrei che capissimo bene questa lezione, che la capissimo come una grande strada di conversione. Per convertirsi davvero, per diventare del tutto cristiani noi abbiamo bisogno di essere solitari, di essere da soli, d’avere il coraggio di essere da soli, d’avere un grande coraggio. Io dico che per un giovane che ha capito (dico soprattutto per uno che è giovane) l’unico ostacolo sta nella mancanza di coraggio: si ha paura di non essere come gli altri, si ha paura di perdere qualche cosa.

Il coraggio, quel coraggio di ogni giorno, quel coraggio delle scelte, della manifestazione delle idee, quel coraggio che ognuno deve costruirsi nell’intimo della propria anima. Noi lo sappiamo, viviamo in un mondo peggio che pagano, viviamo in un mondo che ci dà assolutamente e continuamente solo delle interpretazioni sbagliate: noi abbiamo bisogno di stare così uniti al Signore da non pensare che a Lui, che con Lui, che per Lui.

Abbiamo bisogno di coraggio e prima che il coraggio esterno dobbiamo darci il coraggio interno: il coraggio della preghiera, il coraggio della penitenza, il coraggio del rifiuto del piacere, il coraggio di una strada che gli altri non solo non condividono, ma che compassionano. “Capirai…arriverai anche tu a capire…arriverai anche tu ad essere furbo…perché non ti diverti come gli altri?…perché non fai come fanno tutti?…non capisci che così perdi molto, perdi nella tua soddisfazione di uomo, nel tuo piacere, nel tuo amore: non sai che perdi?”

“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Tu sei lontano.” La problematica di un’anima che è sola, sola e sente l’urlo della passione, e sente tremendo l’invito al male o almeno alla mediocrità, a dividere un po’. Si fa presto a dire: “io voglio diventare santo”, ma non sembra questa un’utopia, non sembra qualcosa di assolutamente falso? “Sei abbastanza cristiano: non esagerare, non essere fanatico, non esagerare.”

E l’anima prega, l’anima geme: “Dio mio t’invoco di giorno e non rispondi, grido di notte e non trovo riposo.”

Allora l’anima viene ad assomigliarsi, nel suo piccolo, all’angoscia di Gesù nell’Orto degli Ulivi, allora si sente tremendamente l’urgenza di una scelta che sia sostanziale, di una decisione che non conosca più cadute. L’anima si avvilisce, si prostra così in se stessa. Gesù prostrato con la faccia a terra nell’orto del Getsemani sente che è chiamato a partecipare a questo mistero.

Le scelte fondamentali che ci presenta insistentemente la Quaresima sono proprio qui, sono proprio in queste fondamentali decisioni. Cristo nell’Orto degli Ulivi ha visto tutti i nostri peccati, ha visto i nostri peccati d’orgoglio, i nostri peccati d’egoismo, il luridume della nostra impurità, ha ascoltato le bestemmie e i sacrilegi: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?… Passi da me questo calice.”

Ed è lì che ci ha ottenuto una potentissima grazia, una grazia che sta a noi cogliere: la grazia di superare queste tentazioni di angoscia e queste tentazioni di vigliaccheria, è lì che ci ha ottenuto la grazia per superare tutto ed essere come Lui, i santi di Dio. E’ lì dove si appuntano i nostri occhi e le nostre speranze.

Allora la nostra meditazione si allarga e ci dobbiamo chiedere come fino ad ora abbiamo superata questa tentazione della solitudine, come siamo stati dei decisi nella vita spirituale, dei decisi, dei forti, o se la nostra vita è stata un singhiozzo di cose, una tremenda povertà di cose, una non volontà seguita da una debole volontà, una piccola rivolta subito rientrata (parlo delle rivolte contro la tirannia delle nostre mediocrità). Il Signore non ha bisogno, non vuole delle anime a metà buone. Noi siamo seguaci suoi e dobbiamo essere tremendamente forti.

La sua passione è per noi ed è dalla sua passione dove dobbiamo trovare tutto l’aiuto. Sì, facciamo la statistica: la Quaresima ci è data per camminare, la Quaresima ci è stata data per convertirci, ma non fermiamoci a un discorso generico, scendiamo fino in fondo. E guardiamo proprio a questa tentazione di solitudine, tentazione che troppe volte ha impedito il cammino della nostra preghiera, ha impedito delle scelte forti e logiche, ha impedito una decisione senza ombra di voler ritornare. Le nostre decisioni lasciano sempre dietro un ponte per tornare eventualmente, temiamo d’aver davanti una terra che non conosce possibilità di ritorno e siamo sempre lì a misurare quello che diamo al Signore; misuriamo e perciò annulliamo, misuriamo e perciò facciamo schifo perfino a noi stessi, misuriamo e allora non ci poniamo in un ordine di una decisione logica.

Ne viene di conseguenza che il terzo punto della nostra riflessione viene ad essere sul dove dobbiamo insistere. Ogni anima ha le sue debolezze, ogni anima è in una posizione particolare, cioè sono diverse le tentazioni, la solitudine si presenta con angolazioni molto diverse: noi dobbiamo scoprire queste nostre debolezze nella preghiera. Oggi pregando nel silenzio, nel deserto scoprire che cosa ci ha fatto far fallimento, che cosa è stato che provocando questo stato di paura, o di tristezza, o di affanno, ha determinato le nostre cadute, le nostre mediocrità.

Molte volte dipende dall’individuare bene la tentazione, dallo scoprire che cosa il Signore vuole da noi in certi momenti, arrivi alla solitudine mediante la strada del tuo orgoglio? Arrivi alla solitudine mediante le esasperazioni del tuo egoismo, delle te pretese, della tua impazienza? Arrivi alla solitudine perché non hai saputo arrivare a un dominio più forte di te stesso? Sei senza controllo, sei istintivo. Sei arrivato ai momenti di solitudine così pericolosi per la tua purezza, ai momenti delle voglie d’evasione, proprio perché non hai saputo vedere nella giusta luce il piacere e ti sei diseducato al piacere? Come arrivi alla solitudine dove poi è tanto difficile superarsi? Come arrivi?

Forse ti lamenti che di fronte a certe tentazioni non hai la forza di resistere e non capisci che la tua tentazione la dovevi fermare prima, hai lasciato entrare il nemico in casa: dovevi essere più energico, pregare di più, scegliere meglio il tuo tempo, ordinare meglio le tue cose. Ti sei esposto al pericolo, hai sguarnito la tua anima, hai lasciato che tutto confluisse: ecco allora perché non hai potuto fermare la tentazione.

Progrediamo in questo, progrediamo nell’analisi di noi stessi, in un’analisi che va ai mezzi. Mezzi ne abbiamo tanti, ma ci sono penitenze che sono false penitenze, ci sono degli atti di dolore che sono falsi atti di dolore perché sono convenzionali, perché ci sono confessioni che lasciano il tempo che trovano perché non sono precedute dalla preghiera e dalla riflessione, ci sono delle chiusure agli altri che sono provocate dalla tua chiusura a Dio, ci sono delle forme indiscriminate della tua voglia di emergere che derivano dal non aver meditato abbastanza sulla scala dei valori.

Controllati, guardati, poniti con umiltà davanti al Signore.

“ Eppure tu abiti la santa dimora,

tu, lode di Israele.

In te hanno sperato i nostri padri,

hanno sperato e tu li hai liberati;

a te gridarono e furono salvati,

sperando in te non rimasero delusi.”

Ecco allora, c’è un modo di pregare e c’è un altro modo; il Signore Gesù con le parole del Salmo dice: “Tu non mi ascolti”, la chiusura, “hai ascoltato i padri” ed ecco perché Lui si è addossato i peccati degli uomini.

Abbiamo bisogno di entrare pienamente nella speranza e nella liberazione e di entrarci mediante l’adesione alla volontà di Dio, un’adesione continua e incondizionata, un’adesione che sia una vera, continua pienezza di abbandono.

La nostra riflessione allora sia una riflessione profonda.

Sintetizzerei così:

1. Porci sulla necessità di guardare a Gesù. Gesù è la nostra salvezza. Dobbiamo unirci a Gesù, unirci soprattutto nel mistero pasquale e in particolare nella quaresima dobbiamo unirci a Gesù sofferente. Contemplare il crocefisso. Dobbiamo insistere sulla meditazione della passione di Gesù, perché Lui l’ha fatta nell’amore e per amore, per noi, per me.

2. Esaminando la passione di Gesù uno dei grandi tormenti che ha avuto è stato il senso della solitudine e dell’abbandono. Noi dobbiamo prendere la forza da Lui e imparare come si vince la tentazione della solitudine. La tentazione della solitudine si vince nell’unione alla volontà di Dio, nella sicurezza della strada di Gesù e della speranza che viene da Dio.

3. Però noi non ci dobbiamo esporre a questa tentazione (“non c’indurre in tentazione”) e perciò dobbiamo cercare di vincere ciò che ci conduce a un certo tipo di tristezza, di affanno.

4. In questo l’esame della nostra coscienza e l’esame dei mezzi che ci possono condurre alla vittoria sulla tentazione.

II MEDITAZIONE

Sal 21, 7-9

Entriamo ancora nella passione di Gesù.

C’è un secondo rilievo da fare. Dicevamo: durante la passione Gesù entra nella solitudine. Vediamo che entra ancora in una apparente impotenza.

Non fa nulla, è come passivo. Man mano che progredisce la passione è apparentemente bloccato.

Nell’orto degli ulivi, nonostante lo stato di agonia, Gesù agisce. Vi ricordate, ai soldati Lui si fa incontro e dice loro “chi cercate?”:

“ Gesù allora, conoscendo tutto quello che gli doveva accadere, si fece innanzi e disse loro: “Chi cercate? ”. Gli risposero: “Gesù, il Nazareno”. Disse loro Gesù: “Sono io! ”. Vi era là con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse “Sono io”, indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: “Chi cercate? ”. Risposero: “Gesù, il Nazareno”. Gesù replicò: “Vi ho detto che sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano”. (Gv 18, 4-8)

Poi guarisce l’orecchio a Malco. Gesù si preoccupa di salvare i suoi. Insomma, agisce.

Poi man mano sembra che la sua potenza sia paralizzata mentre cresce la tracotanza dei suoi nemici: diventa una vittima. Aveva predetto Isaia nel capitolo 53: sarà come un agnello davanti a chi lo tosa. E Lui aveva accettato la designazione di Giovanni Battista: “Ecco l’Agnello di Dio.”

Si verificavano le profezie:

“ Ho presentato il dorso ai flagellatori,

la guancia a coloro che mi strappavano la barba;

non ho sottratto la faccia

agli insulti e agli sputi.” (Is 50, 6)

“ porga a chi lo percuote la sua guancia,

si sazi di umiliazioni.” (Lam 3, 30)

Dice il vangelo che di fronte a questo silenzio Gesù taceva, che davanti a questo mutismo Pilato si stupì molto e insiste: “come, non dici niente? Non sai che ho il potere di liberarti o di mandarti a morte?” Questo aspetto, che è un aspetto apparentemente misterioso, ci deve molto colpire, ci deve colpire e far riflettere.

Un altro testo:

“ Ma se facendo il bene sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio. A questo infatti siete stati chiamati, poiché

anche Cristo patì per voi,

lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme:

egli non commise peccato

e non si trovò inganno sulla sua bocca,

oltraggiato non rispondeva con oltraggi,

e soffrendo non minacciava vendetta,

ma rimetteva la sua causa a colui che giudica con giustizia.

Egli portò i nostri peccati nel suo corpo

sul legno della croce,

perché, non vivendo più per il peccato,

vivessimo per la giustizia;

dalle sue piaghe siete stati guariti.

Eravate erranti come pecore,

ma ora siete tornati al pastore

e guardiano delle vostre anime. ” (1 Pt 2, 21-25)

Un altro testo:

“ È in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, e voi avete in lui parte alla sua pienezza, di lui cioè che è il capo di ogni Principato e di ogni Potestà. In lui voi siete stati anche circoncisi, di una circoncisione però non fatta da mano di uomo, mediante la spogliazione del nostro corpo di carne, ma della vera circoncisione di Cristo. Con lui infatti siete stati sepolti insieme nel battesimo, in lui anche siete stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti. Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti per i vostri peccati e per l’incirconcisione della vostra carne, perdonandoci tutti i peccati, annullando il documento scritto del nostro debito, le cui condizioni ci erano sfavorevoli. Egli lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce; avendo privato della loro forza i Principati e le Potestà ne ha fatto pubblico spettacolo dietro al corteo trionfale di Cristo. ” (Col 2, 9-15)

Alla luce di questi passi della Scrittura cerchiamo di fare la nostra meditazione.

Dunque, l’apparente impotenza di Gesù è in realtà una grande potenza. È impotente davanti al sinedrio, è impotente davanti ai soldati, davanti a Pilato, davanti a Erode, davanti alla folla: lascia fare.

È la potenza dell’amore, dell’amore che sta facendo una creazione, si sta maturando lo splendore della sua vittoria. Gesù accetta questa sconfitta perché deve riparare i nostri peccati, deve riparare l’eccessiva nostra vanagloria, la nostra ostentata ambizione, deve riparare il nostro eccessivo sperare nel successo, il valutare troppo le cose che avvengono in un momento; deve riparare tutte le nostre leggerezze e deviazioni. E si pone come esempio del silenzio, dell’umiltà, del sapere accettare la sofferenza, del sapere accettare un apparente fallimento. Cristo si pone nella sua passione come l’esempio grande che tutti gli uomini avrebbero dovuto seguire e devono seguire, per saper giudicare delle cose, per saper valutare le cose.

Nella Quaresima s’impone una rivalutazione, una rilettura del valore delle nostre cose, perché molto spesso diamo troppo valore a delle cose che non ne hanno e diamo poco valore a delle cose che ne hanno tanto. La rilettura nel tempo di Quaresima diventa più di un esame di coscienza, diventa il metterci nella scala delle cose che valgono, una scala che ci è data da Dio, che ci è data da Dio in Cristo.

“Speravamo – dicevano i discepoli di Emmaus – speravamo” e non avevano capito che nelle sofferenze e nelle umiliazioni di Gesù c’era la grande speranza dell’umanità, la grande speranza di ogni uomo, la grande sicurezza di chi sa quanto è prezioso sapere misurare ogni giorno il nostro agire su un metro eterno.

Gesù è apparentemente impotente, ma in realtà agisce come non mai: sta facendo una creazione. Dirà san Paolo nella lettera agli Ebrei: “Col suo sangue ci introduce nel santuario, nel Santo dei santi.” Gesù compie l’opera che gli ha assegnato il Padre, come diceva Lui stesso nel capitolo 17 di Giovanni. Le opere della sua creazione allora erano proprio l’esercizio della sua bontà, l’esercizio della sua umiltà, l’esercizio del suo perdono, l’esercizio del suo silenzio.

Oh, come si impara leggendo la passione di Gesù! Che grande nutrimento è leggerla con gli occhi di fede!

E’ proprio lì dove dobbiamo insistere. Ed è vero che noi troppe volte siamo come le farfalline che volano attorno alla fiamma finché si sono bruciate le ali.

Allora, cosa vale di più nella vita? Cosa vale di più?

Ciò che vale nella vita è la ricerca della volontà di Dio. E qual è la volontà di Dio? Ascoltate cosa dice l’apostolo: “Egli ha voluto che noi fossimo conformi al Figlio suo.” La grande volontà di Dio che si esprime sta lì: “Questo è il mio Figlio prediletto nel quale mi sono compiaciuto: ascoltatelo!”

Cercare Dio è dunque cercare Cristo, è dunque ricopiare Cristo, è dunque apprezzare ciò che ha apprezzato Cristo, è rifiutare ciò che ha rifiutato Cristo.

Durante la Quaresima è giusto parlare di penitenza, perché la penitenza è equilibratrice, la penitenza mette a posto il nostro disordine e le nostre rotture. Ma qual è la penitenza più completa? Ce lo dice la Scrittura: la penitenza completa è rinunciare a noi stessi per rivestirci di Lui. La penitenza più grossa è quella segnata da Gesù: “Se uno non rinnega se stesso non può essere mio discepolo.”

Perché rinnegare noi stessi, se non perché impastati male? Ci siamo impastati con i nostri peccati, ci siamo compromessi in tante deviazioni, ci siamo persi in tanti sentieri sbagliati.

Gesù lo ha affermato davanti a Pilato rispondendo alla domanda: “sei tu re?” e ha detto: “Sì, lo sono”, ha affermato la sua regalità. La sua regalità è la sua potenza e non è meno re sotto i flagelli che non lo sia nel trionfo. E’ re.

E così noi che partecipiamo alla sua regalità dobbiamo vedere come praticamente dobbiamo ridimensionare la nostra vita.

Allora, a titolo di esemplificazione, fissiamo certi punti.

Prima di tutto: seguire Cristo nell’umiltà. Umiltà è riconoscere che siamo creature, è riconoscere che siamo peccatori. Come creature abbiamo ricevuto tutto da Dio, come peccatori abbiamo sciupato i doni di Dio. Dobbiamo allora capire la lezione di Gesù:

“umiliò se stesso

facendosi obbediente fino alla morte

e alla morte di croce.” (Fil 2, 8)

Fino alla morte. L’umiltà di Cristo ci insegna il nostro equilibrio, il prendere atto delle nostre capacità, del nostro essere con Lui e della nostra fragilità. Senza di Lui non possiamo.

La penitenza dell’umiltà cosa vuol dire allora? Vuol dire equilibrare in questo campo il disordine, perché quando siamo stati superbi, orgogliosi, abbiamo rotto l’ordine della verità, abbiamo preferito esaltarci anziché essere nella verità.

Penitenza dell’umiltà vuol dire ripensare alle nostre relazioni con Dio. Sei umile con Dio? O ti lamenti? O pretendi? O credi di essere?

Devi essere umile nel tuo cuore, non solo in un atteggiamento esterno, perché altrimenti saresti nell’ipocrisia. Umile vuol dire persuaso, vuol dire sereno, vuol dire limpido: scarta da te tutte le fantasie d’orgoglio, tutte le fantasie di ambizione, scarta da te tutte le forme di auto-esaltazione, perché non sei vero, fa’ quella penitenza! Non sei vero: tu ti atteggi a quel che non sei.

Cristo Signore si lascia pestare da dei farabutti, da dei barbari, da dei cinici e lascia che cantino vittoria: “Ha salvato gli altri e non riesce a salvare se stesso: scenda dalla croce e crederemo in Lui.” Gli sghignazzi, le risate, le stupidaggini continue, e Gesù: “Padre, perdona loro.”

Come puoi dire di fare penitenza, se dentro di te sei così diverso da Gesù e aspetti sempre la lode, aspetti sempre il plauso, non fai le cose perché sono bene ma perché sono notate, non fai le cose perché è giusto farle ma perché attirano su di te la considerazione.

Sii umile. L’umiltà è accettare il proprio niente, è accettare i propri limiti, è accettare i doni che vengono da Dio e saperli usare. “Per grazia di Dio io sono quello che sono - diceva Paolo - e la sua grazia non è stata inutile in me.”

Sii umile anche verso gli altri, verso i tuoi fratelli, che devi amare nella verità e non nella menzogna, che devi rispettare per quello che sono. E’ vero, anche se ci mettiamo sotto a tutti (“Va’ all’ultimo posto” dice Gesù) non ne riceviamo danno, mentre ne riceviamo danno anche se ci mettiamo sopra a uno solo.

Sii umile, umile in casa: quanta maggiore pace, quanta maggiore serenità. Sii umile con i tuoi amici. Sii umile con quelli che lavorano con te e quelli che fanno con te l’apostolato. Sii umile se sei fidanzato, sii umile se sei sposato. L’umiltà è amore che si dona, che si dona proprio nella consapevolezza dei propri limiti e del dono di Dio.

Sii umile: Gesù nella passione ci dà l’esempio d’umiltà. “Non aprì bocca” era stato profetizzato. Non aprì bocca, come non avesse niente da dire ed era la Sapienza infinita, come non avesse da rimproverare e da castigare. Gesù taceva, Gesù conservava il suo dignitoso silenzio tanto, tanto da passare per pazzo. Erode lo interrogò a lungo, ma non ottenendo nessuna parola disse: “è matto.” Guardate fino a quanto ha spinto il suo equilibrio, fino dove Gesù ha spinto la sua umiliazione.

La penitenza dell’umiltà. Perché vai a cercare, ti sei imbrogliato nel trovarti una penitenza? E’ qui la tua penitenza.

La forza che nasce da un’anima umile è una forza tremenda: sono i superbi che sono deboli, gli umili sono forti perché hanno la confidenza totale in Dio, hanno l’abbandono pieno in Lui e sanno che con Dio non si perde mai. Ricordate il Magnificat: il canto della Madonna è il canto dell’umiltà e nello stesso tempo è il canto della potenza, il canto della potenza di Dio che col suo braccio disperde i potenti, è il canto della fiducia totale di un’umilissima ragazza che si vede al centro dell’universo. “Tutte le generazioni mi chiameranno beata.”

Sii umile veramente: è la conquista maggiore che puoi fare, perché fatta questa Dio si apre con te, perché gli umili hanno grazia davanti a Lui, hanno un’abbondanza incredibile di grazia.

La misura della tua grandezza è data dalla misura della tua umiltà. Se sei orgoglioso sei piccolo, sei debole, se sei orgoglioso sei in preda a tutti i pericoli.

Sii umile, insisti sull’umiltà, perché Dio che è verità odia la menzogna e quando sei orgoglioso sei falso, sei bugiardo.

Sii umile.

Gesù allora continua il suo esempio e noi lo cogliamo in un altro aspetto: l’aspetto del saper soffrire.

Saper soffrire è duro, perché noi in tutte le nostre fibre tendiamo alla gioia, tendiamo al piacere.

Il Signore non era venuto al mondo per godere: era venuto al mondo per soffrire. E a noi insegna ad accettare le cose contrarie, le cose che nel corpo o nello spirito ci causano dolore. Voi vedete: non si lamenta. E’ torturato in tutto il corpo, è lacerato dall’ingratitudine degli uomini in tutta l’anima. E Gesù accetta perché sa che la sofferenza è una grande potenza, come leggevamo nella lettera di S. Pietro. In questa lettera leggevamo come Cristo si è lasciato colpire perché “ha portato i nostri peccati nel suo corpo, sul legno della croce…è dalle sue piaghe che siamo stati guariti.”

La sofferenza entra nella dinamica stessa della vita in questa presente situazione. Non si può far nulla che valga, non si può far nulla soprattutto che valga in continuità se non si ottiene con la sofferenza.

La penitenza di saper soffrire le cose contrarie, di saper soffrire il dolore, la penitenza di accettare ciò che la provvidenza di Dio dispone per noi, dispone per la nostra santificazione.

Noi al più piccolo dolore alle volte siamo inquieti, alla più piccola contraddizione mandiamo a monte tutto, la preghiera e il resto. Noi siamo diseducati: non sappiamo fare quello che il buon Dio vuole da noi che facciamo. Perché nelle sue mani la sofferenza è un cesello per lavorare e fare il suo grande lavoro di purificazione. Il dolore, venga dalle cose, venga dalle persone, è un mezzo meraviglioso di salvezza: salviamo, cioè ci costruiamo, ci edifichiamo, impariamo qual è il vero nostro comportamento, ci adoperiamo per salvare gli altri.

Il Signore ha sofferto un oceano di tormenti e noi vorremmo diventare buoni, diventare santi, salvare gli altri senza soffrire, senza saper accettare le prove comuni della vita? Non si domandano da noi degli eroismi, non si domandano da noi delle cose strane e sanguinose: si domanda il sacrificio di ogni giorno, il dovere di ogni giorno. Tu sei studente? Studia: quella è la tua penitenza, la tua sofferenza. Tu sei a lavorare? Lavora con consapevolezza, con dignità, non badando se gli altri non lavorano: tu fai il tuo dovere. Sei in casa? Fai i tuoi doveri di casa. Sei fuori? Dà testimonianza, dà testimonianza nell’impegno del tuo apostolato, nella responsabilità che ti sei preso. Accetta questo ordine di sofferenza per essere con Cristo nella passione.

Soffrire con gioia (si può soffrire con gioia? Sì, la gioia della profondità del nostro animo, per cui siamo sereni in fondo anche quando la superficie è agitata), soffrire con amore, perché il Signore vuole da noi questa costante, questo indirizzo che è quello che rende grande la vita, soffrire con umiltà, senza sbandierarlo: “Quando fai digiuno profumati la faccia…non sappia la tua destra quello che fa la tua sinistra affinché il Padre veda.”

Ecco l’impegno della nostra penitenza di sofferenza, di generosità. Soffri con fede, sapendo che colui che soffre in te è Cristo, perché Cristo ha sofferto nel suo corpo mortale per tutti noi come nostro capo e ci ha ottenuto la grazia di rivivere in noi la nostra sofferenza: Lui soffre in noi, quindi se tu soffri sappi che Cristo dà la sua dignità alla tua sofferenza.

Quindi soffri con speranza: la sofferenza è via sicura verso la risurrezione…

III MEDITAZIONE

Sal 21, 10-12

L’ultima breve meditazione, necessariamente, la poniamo proprio qui, nel senso di una confidenza illimitata.

Dice il salmista che la nostra vita, che sembrerebbe fatta a caso, in balia di elementi contrastanti e irrazionale, la nostra vita è in realtà in mano a Dio.

“Tu mi hai raccolto”: non è che quando sono nato io sono stato posto così come veniva, senza una provvidenza. “Mi hai raccolto” cioè sono tuo.

La tentazione che molte volte è prevalente è una tentazione di avvilimento per cui si guarda sempre con un po’ di diffidenza le cose, i propositi, gli esercizi di devozione; sembrano cose belle, ma sembrano come certi soprammobili che basta un urto e vanno in pezzi. E si insinua nell’anima, insistente e corrosivo, questo senso di non poter riuscire: “Dico, dico, propongo, l’ho fatto mille volte, lo posso fare anche questa volta, ma poi, poi tutto in fondo andrà come prima.”

Il senso della confidenza in Dio come ci deve prendere! Nella Quaresima è insistente più che in altri tempi il motivo dell’abbandono, dell’abbandono continuo. Sono i sentimenti che dovremmo sempre avere davanti al termine di ogni nostra giornata e che la Chiesa spesso mette nella compieta della sera, quelli il salmo 90:

“ Tu che abiti al riparo dell’Altissimo

e dimori all’ombra dell’Onnipotente,

dì al Signore: “Mio rifugio e mia fortezza,

mio Dio, in cui confido”.

Egli ti libererà dal laccio del cacciatore,

dalla peste che distrugge.

Ti coprirà con le sue penne

sotto le sue ali troverai rifugio.

La sua fedeltà ti sarà scudo e corazza;

non temerai i terrori della notte

né la freccia che vola di giorno,

la peste che vaga nelle tenebre,

lo sterminio che devasta a mezzogiorno.

Mille cadranno al tuo fianco

e diecimila alla tua destra;

ma nulla ti potrà colpire.

Solo che tu guardi, con i tuoi occhi

vedrai il castigo degli empi.

Poiché tuo rifugio è il Signore

e hai fatto dell’Altissimo la tua dimora,

non ti potrà colpire la sventura,

nessun colpo cadrà sulla tua tenda.

Egli darà ordine ai suoi angeli

di custodirti in tutti i tuoi passi.

Sulle loro mani ti porteranno

perché non inciampi nella pietra il tuo piede.

Camminerai su aspidi e vipere,

schiaccerai leoni e draghi.

Lo salverò, perché a me si è affidato;

lo esalterò, perché ha conosciuto il mio nome.

Mi invocherà e gli darò risposta;

presso di lui sarò nella sventura,

lo salverò e lo renderò glorioso.

Lo sazierò di lunghi giorni

e gli mostrerò la mia salvezza.

Tutto il Salmo è pieno di confidenza. La confidenza dice: l’opera della tua santità è un’opera di Dio, non è un’opera prevalentemente tua, è un’opera di Dio; l’opera della tua santificazione entra nella volontà di Dio. “Questa è la volontà di Dio, che voi diventiate santi” dice la Scrittura.

E’ nell’ordine delle cose, è nell’ordine dell’economia spirituale il darci quegli aiuti che sono necessari: tutto è per te, per te è Cristo, per te sono i santi, per te è la vitalità della Chiesa, del corpo mistico. Tutto ti aiuta a realizzare un tuo cristianesimo pieno, un tuo cristianesimo forte.

L’insidia sta allora nel non confidare.

“Tu mi hai raccolto”: il suo gesto di raccogliere non è per buttare via, il suo gesto di raccogliere non è quello di sciupare. Ti ha raccolto: è con te.

“Dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio”: su quel “mio” ci dev’essere tutta la nostra gioia.

Certo, lo meditavamo, la vita spirituale è superamento, la vita spirituale è sforzo, è salita: ma quanta soavità, quanta gioia Dio dà alle anime che sono generose!

Diceva S. Teresa d’Avila, che se ne intendeva: “Un’ora di preghiera ben fatta dà più gioia che tutti i piaceri del mondo.”

Noi manchiamo di gioia perché manchiamo di generosità, perché manchiamo di confidenza, cioè non teniamo sempre ben presenti i motivi della nostra speranza, i motivi della nostra sicurezza, come Dio ci vuol bene. “I capelli del vostro capo sono contati.”

E che cosa sarà dei movimenti del nostro cuore, del nostro sforzo d’andare a Lui? Quanta fiducia dobbiamo avere, quanta generosità, quanto impegno.

Oh, non temiamo: Dio non si lascia mai vincere in generosità! Se gli diamo qualche cosa Dio ci dà infinitamente di più.

Allora questi versetti del Salmo noi li dobbiamo ripetere ogni volta che ci viene l’avvilimento e la tentazione del non potere. Il Signore è con noi e in Lui possiamo tutto.

Ricordate la frase di S. Paolo: “Tutto posso in Colui che mi conforta”, che mi sostiene, che mi sorregge.

Fate una penitenza forte, una Quaresima veramente impegnata, ma soprattutto confidate molto: il suo amore è tenace, il suo amore non abbandona neanche quando noi lo abbandoniamo e il buon Pastore va in cerca mille volte della pecorella smarrita.

Dobbiamo ripetere al Signore la nostra precisa volontà di servirlo, di amarlo e il Signore sarà sempre con noi; non c’è peccato che resista, non c’è debolezza che sia invincibile: con Lui riusciamo tutto.

Vi vorrei perciò, terminando questo ritiro, sottolineare tre punti di confidenza:

1. Nutrite la vostra confidenza con la parola di Dio, insistete nel far sì che durante la Quaresima ci sia un’assimilazione più attenta e più aperta alla parola di Dio. La meditazione della liturgia quaresimale vi stia straordinariamente a cuore come il deposito di energia.

Fate ogni sacrificio per partecipare alla liturgia quotidiana; noi cerchiamo di dare un motivo di meditazione ogni sera, sgorgato, questo motivo, dalla liturgia nella comunione totale col Cristo.

Quindi appoggiate la confidenza alla parola.

2. Appoggiate la confidenza alla beata Vergine. Perché il Signore ci ha dato una madre? Perché siamo bambini sempre, anche quando siamo vecchi, e abbiamo bisogno della tenerezza e della meravigliosa azione di una mamma. Motivo di confidenza è che Lui ci ha dato la sua stessa madre. Gesù ci ha dato tutto, ha voluto che avessimo la stessa madre e Lui se l’era scelta, Lui l’aveva dotata come il grande, meraviglioso capolavoro.

Ecco perché il punto di confidenza nella beata Vergine Maria

3. Il terzo punto di confidenza dev’essere l’essere noi nella Chiesa. Il valore della comunione di tutti noi che crediamo e amiamo, il valore dell’amicizia conquistata e sofferta, il valore dei carismi che sono nella Chiesa, particolarmente il valore della guida spirituale nel sacerdote: valori indubbiamente molto grandi, molto importanti, molto consistenti.

Se lo vogliamo, allora, è certo, è possibile, è bello ed è fecondo.

CODICE 79CAR093
LUOGO E DATA Montechiarugolo 11/03/1979
OCCASIONE Ritiro spirituale quaresima
DESTINATARIO Gruppo giovani – I parte salmo 21
ORIGINE Registrazione
ARGOMENTI COMMENTO SALMO 21. La prima sofferenza di Gesù: la solitudine. Avere il coraggio di essere da soli per una vera conversione
L’impotenza apparente di Gesù: la penitenza dell’umiltà e del saper soffrire
La santità è principalmente opera di Dio: la nostra confidenza
Condividi su
MOVIMENTO FAMILIARIS CONSORTIO
Via Franchetti, 2
42020 Borzano
Reggio Emilia
Tel: + 39 347 3272616
Email: info@familiarisconsortio.org
Website: familiarisconsortio.org
  • “È evidente come Don Pietro abbia vissuto il suo sacerdozio
    tra la vita delle persone, condividendo tutto. 
    In fondo, forse, è il segreto più prezioso che ci ha svelato.”
    Umberto Roversi

© 2022 Movimento Familiaris Consortio | Via Franchetti, 2 42020 Borzano (RE) | info@familiarisconsortio.org |Privacy Policy | COOKIE POLICY | SITEMAPCREDITS