20/11/1981 - Adunanza SG Bosco Storia della Chiesa Pentecoste e apostoli

Sant’Ilario d’Enza 20/11/1981
Adunanza

Eravamo al giorno di Pentecoste. Pietro prende lo spunto da una frase lanciata così da uno: “Sono pieni di vino dolce quelli lì”, perché parlavano e pregavano estasiati. Pietro dice: “No, non sono pieno di vino dolce. Alle nove di mattina nessuno è pieno di vino dolce. Si è verificata invece la profezia di Gioele”. Pietro dice col suo discorso che con la morte, la risurrezione e la discesa dello Spirito Santo si sono completate le profezie, profezie che non erano mancate nella storia dell’Antico Testamento. L’Antico Testamento è pieno di profezie e le profezie costituiscono un autentico miracolo: una delle prove della divinità del cristianesimo sono proprio le profezie avverate. Pietro dice che si sono verificate: “Quel Gesù che voi (si rivolgeva agli abitanti di Gerusalemme) avete crocefisso, Dio lo ha risuscitato ed è Lui la salvezza”. Il discorso è caldo, convinto, fervido: la grazia dello Spirito Santo, estremamente abbondante, converte queste migliaia di persone. Il ritmo delle conversioni diventa molto rapido: anche i giorni seguenti s’accrescono i fedeli e si forma la prima comunità cristiana, la Chiesa di Gerusalemme. Questa Chiesa di Gerusalemme presenta due caratteristiche: 1. Intensa e forte comunione: “Erano un cuor solo e un’anima sola”. Questa comunità sarà l’esemplare di tutte le comunità cristiane e guardiamo a questa comunità proprio come a un’ideale, proprio per questa intensa carità. 2. La seconda caratteristica avviene quando, mossi dallo Spirito Santo, non parlavano né di tuo e né di mio: tutte le cose le mettevano insieme. Era un “sacro comunismo”, era un “comunismo libero”, era un “comunismo d’amore”. E dice che quelli che avevano proprietà le vendevano per mettere i soldi a disposizione della comunità. Nel corso della storia della Chiesa si sono tentati tutti e due gli esperimenti, sia di una comunione così intensa, sia di una povertà spinta così, e l’esempio indubbiamente ha prodotto frutti: le comunità monastiche sorgono sempre su questi due principi, la carità e l’assoluta povertà, il mettere le cose insieme. Anche comunità parrocchiali hanno tentato. Da noi si è tentato? Si è tentato: quanto si sia riusciti non spetta a me definirlo, però si è tentato e si tenta, perché le due cose vanno direttamente contro quello che è il grande ostacolo sulla via della spiritualità che è l’egoismo, l’egoismo che vuole esigere senza darsi, l’egoismo che vuole dominare e non collaborare, l’egoismo che vuole avere in preferenza per potere avere posizione di preferenza. Perché la roba è comoda, non tanto perché porta un piacere sensibile, quanto perché porta a un risalto. Il ricco, se non sta attento, facilmente diventa orgoglioso proprio perché possiede. E’ chiaro che il movimento cristiano messo così come questa comunità carismatica di Gerusalemme è entusiasmante, ma l’impatto con l’autorità vigile, timorosa, grifagna non poteva mancare, quella autorità che aveva ucciso Gesù non perché avesse fatto del male, infatti aveva detto parole buone e basta, aveva fatto miracoli e basta, ma perché non sottostava a quelle norme che questa autorità voleva che si rispettassero, non per il bene del popolo ma per il bene dei loro interessi. Ricordate quando Caifa persuase il sinedrio a condannare a morte Gesù dice: se lo lasciamo ancora fare il movimento sfocerà in un’azione contro i romani e allora sarà la fine; disse così perché una repressone romana avrebbe chiuso la loro epoca, l’epoca dei loro privilegi. Lo spunto è preso da una straordinaria guarigione che fa S. Pietro, quando alla porta del tempio, detta “Bella”, guarisce uno storpio dalla nascita e questo fatto porta a molta risonanza: un accorrere enorme di gente, Pietro parla nel tempio. Evidentemente ce n’era di più di quanto occorreva: Pietro e Giovanni vengono arrestati e portati davanti al sinedrio. Davanti al sinedrio si fa il processo; sono gli stessi personaggi del processo a Gesù: Anna, Caifa e gli altri sgherri. Di che cosa li potevano accusare, per cosa li potevano condannare? Si limitano a un ingiungere loro di non predicare “in quel nome”: “Voi non dovete più predicare in quel nome, voi dovete tacere!” non negano i fatti: proibiscono solo la verità. Allora Pietro e Giovanni replicarono: è più giusto ubbidire a Dio che agli uomini e noi ubbidiamo a Dio e non a voi. Minacce, ulteriori raccomandazioni e poi li lasciano liberi, ma l’esortazione non solo non viene accolta, ma si intensifica la propaganda cristiana. Arriviamo a un nuovo arresto, a nuove raccomandazioni e questa volta anche a qualche cosa di più persuasivo ed energico: li fecero fustigare. Ricorrono alle botte, visto che le esortazioni non servono per persuaderli. Ma il testo degli Atti dice che dopo essere stati fustigati se ne andarono lieti, contenti di aver potuto soffrire per Gesù. La comunità si consolida sempre di più, c’è qualche incidente, come quello dei due coniugi Anania e Saffira che nel fervore generale hanno cercato di fare i furbi. Ci sono sempre quelli che cercano di fare i furbi. Hanno detto “sì, mettiamo tutto in comune: ci mantiene la comunità e allora vendiamo il campo. Però teniamoci una scorta, non si sa mai…” e s’imbatterono in Pietro, che conosceva poco le mezze misure: ispirato dallo Spirito Santo, fece loro un interrogatorio che si rivelò per i coniugi un vero disastro; perché prima arriva lui nell’assemblea e poi arriva lei e Pietro dice: “Ho sentito che hai venduto il campo e quanto hai preso l’hai già consegnato, ma quanto hai preso?” e lui dice la sua bella bugia già preparata; ma S. Pietro dice: “Non hai mentito a me, ma hai mentito allo Spirito Santo”. Anania morì subito d’infarto: per una persona di una certa età certe emozoni… Poi arriva lei, dopo che avevano già portato via il cadavere del marito per seppellirlo (facevano pochi complimenti, non aspettavano le quarantotto ore…). S. Pietro le dice: “Allora, avete venduto il campo?” e lei “sì, sì” e racconta con novizia di particolari quanto avevano preso, dicendo una bugia pure lei. S. Pietro dice: “Quelli che sono andati a portare a seppellire tuo marito stanno per tornare indietro e adesso seppelliranno anche te”. Anche lei un infarto. Erano argomenti molto persuasivi, per cui nella comunità cristiana di Gerusalemme restò un fatto memorabile. Nessuno è obbligato a vendere, S. Pietro lo dice rimproverando una donna, “ma se vendi non raccontare bugie alla comunità, perché è truffa”. Questo vuol dire che anche nel fervore pentecostale c’è sempre qualcuno che sgattaiola: la miseria umana è molta e noi nella Chiesa la toccheremo tante volte, ma non ci scandalizzeremo, perché prima di tutto i nostri interessi dicono che siamo i primi noi a mancare, che magari applicassimo tutto quello che sappiamo (voi sapete che io sono il primo che me ne devo vergognare: hanno calcolato quante prediche ho fatto solo quest’anno negli Esercizi e indubbiamente ho detto tante cose, ma quando comparirò davanti al Signore che cosa mi dirà?), e quindi non ci scandalizziamo dei difetti degli altri, sapendo che i difetti degli altri vanno visti proprio in una grande carità, in una grande carità, nella carità per cui non ci meravigliamo, ma diciamo: “Tutti siamo peccatori davanti a Dio: preghiamo gli uni per gli altri”. Comunque la comunità si accresce fervidamente. Però quelli del sinedrio erano stufi, incredibilmente stufi: credevano di aver chiuso tutto con la morte di Gesù e invece. Avranno detto: “Ma che tempi! Noi seppelliamo uno, i soldati scappano via, dicono che è risuscitato: mah, roba da matti! Bisogna pagare i soldati perché dicano che mentre loro dormivano lo hanno portati via i suoi discepoli: altri soldi, altri soldi! E poi questa genia che si moltiplica…”. Erano stufi. Intanto nella Chiesa c’era un’organizzazione che s’avanzava. Era tanta la gente e questi poveri dodici apostoli non avevano respiro, né di giorno né di notte. Allora pensarono (era lo Spirito Santo che dava loro questo da pensare) che non era giusto che si occupassero tanto di cose materiali come la distribuzione dei viveri, i sussidi alle vedove e agli orfani, le rivendicazioni sindacali, salariali… ecc., non era giusto e allora pensarono di eleggere sette amministratori, della gente in gamba, onesta a tutta prova, generosissima. Vedremo poi che ci fu uno che sballò anche lui, un certo Nicola che farà anche dei seguaci, i nicolaiti, che in ultima analisi era poco pulita, famosi per le loro scostumatezze morali, ma questo verrà in seguito. Perché poi un buon uomo diventa un cattivo uomo? Ma, ma! Dirà S. Paolo: “Chi sta in piedi stia attento a non cadere: non c’è un uomo buono che non possa diventare un uomo cattivo”. Risplendeva tra questi sette amministratori, o diaconi, un uomo forte, limpido, magnifico: si chiamava con un nome greco, Stefano, che vuol dire “corona”. Quando un padre chiama il figlio “mia corona”, gli dice di essere il motivo del suo gaudio, lo chiama dicendogli “sei il mio Stefano”. E Stefano non solo amministrava, ma predicava molto bene, in modo molto franco, molto deciso. E Stefano concentra contro di se’ le ire dei sinedriti: predicava bene, faceva miracoli e allora, a un certo momento, gli mettono le mani addosso e lo trascinano davanti a questo tribunale. Immaginate cosa gli avranno detto: “Basta, sei un delinquente” e avranno usato molti altri titoli, immaginandosi che lui stesse zitto. Ma non stava zitto: davanti a tutti fa un discorso con i fiocchi e fa un po’ la storia della salvezza e traccia le grandi linee della salvezza. E dice: “Vedete che noi siamo nella linea e voi ne siete fuori? Ma non capite che voi siete fuori dalla salvezza?”. Si entusiasma e parla guidato dallo Spirito Santo. A un certo momento va come in estasi, proclamando la grandezza e la gloria di Cristo dice: “Vedo i cieli aperti e Gesù che sta alla destra del Padre”. Per chi lo accusava sentire queste cose era il colmo: dire che erano fuori dalla storia, fuori dalla logica, che erano delle “teste di rapa”, che il cristianesimo era l’autentica interpretazione del vero giudaismo, che Gesù era nella gloria, che era alla destra di Dio, cioè che aveva tutto il potere di Dio era per loro il massimo affronto. Digrignarono i denti, si mettevano le dita nelle orecchie per non sentire le parole di Stefano: inferociti urlano la sua morte. E senza aspettare una sentenza regolare lo linciano: lo trascinano su uno spiazzo fuori dalla città (nelle città di allora le case erano tutte molto vicine per ragioni di difesa) e lo linciano, i sassi gli piovono addosso, rabbiosi, frenetici, scagliati con tutta la loro forza e la loro rabbia. E Stefano è là, ancora come in estasi; tra il crepitare dei sassi si sente solo la sua voce che dice: “Signore Gesù non imputare loro questo peccato”. Questo magnifico martire si gemella con Gesù sulla croce e diventa un’unica cosa con Gesù: è il primo martire del cristianesimo. Saranno milioni di martiri nella storia del cristianesimo e non sappiamo quanti ve ne saranno ancora in avvenire; mentre parliamo ora ci sono milioni di martiri nelle varie nazioni in cui c’è la persecuzione, milioni che patiscono freddo, fame, battiture, ingiustizie, che hanno dovuto abbandonare la famiglia, ecc. “Se hanno perseguitato me – aveva profetizzato Gesù – perseguiteranno anche voi” e Stefano è il primo tra i cristiani che al sangue di Gesù ha risposto col suo sangue. Ma non mi fermo sulla figura di Stefano, figura sottolineata da una felicissima impostazione liturgica: infatti S. Stefano si festeggia il giorno dopo il Natale a sottolineare l’azione di Dio e la risposta dell’uomo. Però la morte di Stefano segna l’inizio di una persecuzione violenta anche contro gli altri cristiani, una persecuzione così violenta che, per consiglio degli apostoli, i cristiani in molti abbandonano Gerusalemme per disperdersi un po’ nelle altre città della Palestina per far cessare un po’ questa frenesia e questo sempre secondo il comando di Gesù: “Se vi perseguitano in una città andate in un’altra”. Sottolineano gli Atti degli Apostoli che questa persecuzione fu provvidenziale, perché essendosi sparsi nelle città della Palestina allora ogni cristiano faceva proseliti: fecero così un mucchio di altri cristiani. E gli Atti degli apostoli fanno l’esempio di un altro diacono, esemplare e caro anche lui: Filippo. Filippo fece l’apostolato da quel bravo atleta che doveva essere, campione di corsa: vide passare un simpatizzante ebreo, ministro di una regina straniera (etiopi erano considerati tutti quelli con carnagione piuttosto scura), sul suo bel cocchio. Lo vede passare sul cocchio e l’ispirazione dello Spirito Santo lo colpisce subito: il cocchio andava forte (un ministro ha indubbiamente dei buoni cavalli) e Filippo lo seguiva di corsa e la corsa non gli impedì di dire: “Capisci quello che leggi?”. Aveva capito che il ministro stava leggendo un brano della Scrittura. Il ministro si volta e dice: “Non, sono un etiope e non capisco nulla di questo: me lo vuoi spiegare?”. Filippo gli evangelizzò Gesù e glielo evangelizzò così bene che (pensate la differenza che c’è tra noi e lui: a me non è mai capitato che uno si converta subito, neanche adagio…), dopo che il ministro si convertì e, avendo visto una fontana lungo la strada, chiede di essere battezzato: fermare il cocchio e battezzare è stato un attimo. Quando lapidarono Stefano nel libro degli Atti c’è una noticina, che vale un poema: i lapidatori fecero custodire i vestiti da un giovanotto, che evidentemente non aveva l’età (com’erano bravi ad osservare le leggi: ad ammazzare uno nemmeno uno scrupolo, ma visto che la legge prescriveva che per lapidare uno bisognava avere almeno trent’anni…perché uno acquistava i diritti civili a trent’anni. Allora si credeva che fino a trent’anni uno era un bamboccio, ma i tempi ora sono cambiati), che si chiamava Saulo; poi non dice più nulla. Ma cosa vuol dire questa noticina? Ora non ci dice nulla, ma ce ne accorgeremo quando ci accorgeremo che questo Saulo nel piano di Dio dovrà diventare un gigante nella storia della Chiesa, un gigante al quale noi dobbiamo tantissimo. Facilmente fin da allora si chiamava già Saulo Paolo: Saulo è un nome ebraico, Paolo un nome romano. Paolo viene proprio dalle lingue occidentali e vuol dire piccolo: quando uno era gracile e piccolino lo chiamavano Paolo. La storia di Paolo la faremo la prossima volta.

CODICE 81MLA103
LUOGO E DATA Sant’Ilario d’Enza 20/11/1981
OCCASIONE Adunanza
DESTINATARIO Gruppo S. Giovanni Bosco
ORIGINE Registrazione
ARGOMENTI Storia della Chiesa: dalla Pentecoste alla conversione del ministro etiope Dal primo discorso di Pietro nasce la prima comunità cristiana: carità e povertà sono le prime caratteristiche
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