Nella storia sacra entra in scena quello che sarà il grande gigante: Paolo di Tarso. L’abbiamo visto al momento del martirio di Stefano, lo vediamo poco dopo ancora nella veste del persecutore. Chi era questo giovanotto? Cosa voleva? Non era di Gerusalemme, ma era di Tarso, una città della Cilicia, dell’Asia Minore: era venuto a studiare a Gerusalemme, era venuto a studiare presso una grande scuola che resterà famosa, la scuola del maestro Gamaliele. Era un giovanotto ardente, fervido, con una mente molto sveglia, intelligentissimo, molto rigido e difensore delle tradizioni ebraiche, che non può vedere questa setta dei seguaci di Gesù di Nazaret crescere e minacciare l’unità delle credenze ebraiche. Allora si scaglia violentemente contro i cristiani e l’obiettivo lo coglie quando, non contento d’imperversare a Gerusalemme, vuole andare anche dove ha sentito che i cristiani crescono. Si fa dare delle lettere dalla somma autorità, che lo autorizza, e parte per Damasco. Dunque va al nord. Per quei tempi era una distanza notevole. Va verso Damasco e voi ricordate tutti cosa succede quando è vicino a Damasco: lì l’aspetta la grazia di Dio. E’ lui stesso che lo racconta, oltre che gli Atti degli Apostoli. Dice dunque che quando fu vicino una luce vivissimo l’abbagliò: è Gesù in persona che lo chiama. “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”: Saulo prenderà la grande lezione: perseguitare i cristiani è perseguitare Gesù, perché i cristiani sono membra di Gesù. La risposta segnerà tutta la sua vita: “Che cosa devo fare?”. “Entra in città e ti sarà detto cosa devi fare.”: era rimasto cieco, lo soccorrono e prendendolo per mano lo conducono in città e là resta ospite per tra giorni e tre notti. Non prende cibo né bevanda, è sotto shock: cos’è passato in quell’anima solo lui può dircelo. E’ restato così aspettando e in sogno il Signore chiama un sacerdote cristiano di Damasco, Anania, e gli dice: “Va’ da Saulo e battezzalo”. Anania fa la sua obiezione: “Ho sentito che Saulo è venuto qua per perseguitarci e io devo andare a battezzarlo?”. “Va’, perché sarà per me un vaso eletto per portare il mio nome a tutti i popoli”: c’è tutta la profezia. Anania va, Anania lo saluta: “Fratello Saulo il Signore Gesù mi ha mandato da te”. Anania era bravo, ma avrà avuto un brivido a salutare il “leone”, vero? Paolo è battezzato e crede, crede con tutta l’anima. Dopo essere battezzato riacquista la vista e si rifocilla. Poi si ritira in solitudine: non si sa esattamente quanto tempo, forse due anni, due anni in cui opera totalmente la sua ricostruzione. Lo vediamo, dopo questo periodo di preghiera e di riflessione, tornare a Damasco e cominciare a predicare Gesù: stupore, meraviglia, indignazione. “Ma non è quello che era venuto per perseguitarli?”: Paolo fa tanto scalpore che è su di lui che si attira la maggior parte delle ire e il re della città ordina d’arrestarlo. “Basta, bisogna farlo fuori quest’uomo”: Paolo si nasconde, ma le città d’allora avevano le mura e bisognava passare dalla porta delle mura per andare fuori e così lo aspettano al varco. Ma Paolo fugge facendosi calare in una sporta lungo le mura. Fugge e fugge a Gerusalemme, dove è presentato agli apostoli che si trovavano lì. Ce n’erano due. Subito la gente stava lontano da lui perché lo conoscevano per le persecuzioni di cui era stato artefice. Poi va a predicare e la persecuzione è così vivace che lui torna a Tarso, nella sua città natale: sarà lì che lo troverà Barnaba, lo ricondurrà ad Antiochia e ad Antiochia avrà, dopo un lasso di tempo notevole, l’ordinazione da vescovo e inizierà il suo viaggio apostolico per andare ai pagani. E’ un viaggio che durerà quattro anni: parte da Antiochia e va a Cipro, percorre Cipro e poi va in Asia Minore. La sua predicazione è travolgente: molte conversioni e anche molte avventure. Paolo sarà il più grande evangelizzatore; non mi fermo sui particolari perché bisognerebbe leggere tutti gli Atti degli Apostoli. Ricordiamo però che già in questo primo viaggio è lasciato morto sotto un cumulo di sassi: non è morto e ammaccato, com’è facile intuire, la mattina dopo parte e ritorna e potrà testimoniare tutto quello che il Signore ha fatto anche per i pagani. Il problema che allora era il più cruciale si poteva schematizzare così: il cristianesimo usciva dall’ebraismo e per diventare cristiani bisognava diventare ebrei? O si poteva dal paganesimo passare subito al cristianesimo? In realtà Gesù aveva fatto tutto quello che era richiesto dalla legge, tutte le prescrizioni, tutte: la preghiera nel tempio, le prescrizioni di carattere religioso-sociale. Gesù aveva fatto tutto e non aveva detto “non lo dovete fare” e gli apostoli avevano proseguito. Ora, gli ebrei avevano delle imposizioni ben precise: avevano la circoncisione e avevano le costumanze e le numerosissime leggi particolari. Pietro aveva per primo rotto il contatto stretto con l’ebraismo, quando aveva accettato nella Chiesa un pagano, un sottufficiale romano, ma era cruciale la questione. E se ne discuteva continuamente nella Chiesa. Si devono osservare le prescrizione che sono nella Bibbia che riguardano gli ebrei? Quella parte della Bibbia è decaduta? Non se ne deve tener conto? Anche qui c’era la destra, c’era la sinistra e quelli di centro: come sempre nel mondo. Soprattutto appartenevano alla destra i farisei convertiti che dicevano che a tutti i costi si doveva aderire a tutte le prescrizioni per potersi salvare. Allora Paolo guida una delegazione che va a Gerusalemme, perché la questione nella grande città di Antiochia era scottante. In quella città i seguaci di Gesù erano stati chiamati per la prima volta cristiani, c’era una comunità molto fiorente ma divisa da questo problema. Vanno a Gerusalemme e a Gerusalemme Pietro e Giacomo riuniscono i capi, i sacerdoti, gli anziani e si fa il congresso, il primo Concilio di Gerusalemme. Paolo è un sostenitore acceso, il più acceso, della decadenza dell’ebraismo e dice che “ai pagani è stato concesso dal Signore lo Spirito Santo come a noi, quindi non si devono costringere”. Al Concilio prende la parola Pietro e con la sua autorità dà il colpo di grazia e dice: “Sì, i pagani non si devono fare ebrei e si salvano ugualmente”. Il Concilio aderisce a lui. Poi salta su l’apostolo Giacomo, che attenua un po’ il discorso di Pietro e scendono a un compromesso e mandano una lettera nella quale vince Paolo, anche se vengono prescritte alcune cose per non scandalizzare gli ebrei convertiti. Poi Paolo inizierà il secondo viaggio che durerà tre anni. Visita e fonda nuove comunità cristiane in Asia Minore: è il più grande camminatore, sempre a piedi! E arriva fino in Macedonia, poi scende in Grecia, si ferma ad Atene; qui fa il famoso discorso all’areopago. Poi scende a Corinto dove fonderà una Chiesa che resterà famosa. Stabilita la Chiesa a Corinto, si ferma alcuni mesi e via nave ritorna da dove era partito. Poi ci sarà un terzo viaggio, in cui rifarà tanto del cammino fatto prima e anche questa volta tornerà in Palestina, a Gerusalemme. Lì sarà assediato dai fanatici che erano molto stufi di lui perché da tutte le parti del mondo giungevano lamenti su di Lui: “E’ venuto Paolo di Tarso e ha convertito…e ha fatto…”. Lo vogliono fare fuori. L’autorità romana lo imprigiona e le cose vanno per le lunghe, finché Paolo, che aveva la cittadinanza romana, non si appella all’imperatore, come era diritto di ogni cittadino romano. Si appella l’imperatore e allora di autorità è portato a Roma. Giunge a Roma, dopo avventure incredibili: vicino all’isola di Creta avrà un naufragio e si salverà miracolosamente. A Roma rimarrà per più di due anni in attesa d’essere ricevuto dall’imperatore: erano i primi anni dell’imperatore Nerone, Claudio Nerone. Era ancora in fase discreta l’imperatore e Paolo viene prosciolto. Allora pare, ma qua gli Atti degli Apostoli si fermano, che visitasse la Spagna. Poi torna in Oriente a rivedere le sue Chiesa, finché di chiesa in chiesa torna a Roma e arriva a Roma proprio quando scoppia la persecuzione di Nerone. Paolo è la vittima illustre insieme a Pietro: morirà decapitato lungo la via Ostiense, a tre chilometri circa da Roma, dove sorgerà poi la Basilica a suo nome. La figura di Paolo è la figura di un gigante: è stato un gigante come evangelizzatore, è stato un gigante incredibile come sintesi del cristianesimo, per la sua sintesi mirabile, ha lasciato scritto quattordici lettere e in queste quattordici lettere c’è un tesoro incredibile. Dirà S. Pietro nella sua seconda lettera: sono cose difficili quelle che scrive Paolo, ma secondo la grazia che ha ricevuto Paolo è strumento di Dio. Le sue lettere sono: ai Romani, le due ai Corinzi, ai Galati (regione all’interno dell’Asia Minore), le due ai Tessalonicesi, agli Efesini, ai Colossesi, ai Filippini, due lettere al discepoli Timoteo, una lettera a Tito, la lettera a Filemone e la lettera agli Ebrei. Quattordici lettere, un mirabile dono alla Chiesa. Noi abbiamo sempre in bocca l’apostolo Paolo, perché è stato un interprete assolutamente fuori misura del pensiero di Gesù; aveva un carattere fortissimo, schietto, pieno di amore di Dio. Noi vediamo in Paolo un grande santo, un grande martire, un grande esempio. Insofferente della mediocrità, Paolo sarà dato tutto al Vangelo, dopo che fu afferrato da Cristo non conobbe mai soste: non fermo davanti ai tormenti, alle persecuzioni, non fermo di fronte alle calunnie; dovrà tribolare molto anche all’interno della Chiesa: i giudaizzanti, cioè quelli che non mollavano ancora sull’interpretazione opposta alla sua,. Gli davano molto filo da torcere, ma Paolo sarà vittorioso nel nome di Cristo. Quello che dobbiamo ammirare in Paolo è per noi soprattutto il coraggio. Dobbiamo diventare dei cristiani responsabili e coraggiosi, il coraggio della verità, il coraggio dell’amore. La nostra verità non è nostra, ma è comunicazione di Cristo e il nostro amore non è nostro, ma è partecipazione all’amore del cuore di Cristo. Io non so quanti di voi hanno studiato le quattordici lettere, penso che siano in parecchi, perché nella liturgia della Messa ne leggiamo piccoli brani, ma ci dev’essere uno studio metodico. Dovremmo saperle gustare e prendere quella dottrina meravigliosa che ci forgerebbe anche noi in uomini coraggiosi, evangelici, donati al bene. Quindi se qualcuno di voi non l’ha fatto, quei due o tre che non l’avessero fatto…, è bene che lo facciano.
Ci vogliono degli uomini pronti a tutto e quand’è che uno è pronto a tutto? Quando uno ama Cristo davvero, ama Cristo totalmente, con tutte le forze. Paolo racconta di se stesso che dopo l’incontro con Cristo sulla via di Damasco, la sua vita è stata completamente trasformata, una cosa incredibile: non ha più deflettuto. Ed è sempre stato umile, perché diceva: “Non posso dire altro che questo di me: io sono stato un persecutore”. Umile e ha saputo portare una rivoluzione tale che non cessiamo di ammirarlo dopo tanti secoli.
Come si fa ad essere evangelizzatori? E’ necessaria una formazione della volontà: un dominio, una volontà d’acciaio. Come si può essere un uomo apostolico deciso, se non si ha una volontà d’acciaio? Poi serve la formazione del cuore, perché chi evangelizza ha bisogno soprattutto di amare: deve sapere e deve amare per adattarsi al colloquio con i suoi fratelli, per capirli, per comprenderli. Formazione quindi a quello spirito di sacrificio e di rinuncia che ognuno sa quanto ne può difettare. Perché Paolo non è uscito dal niente, non è bastata una apparizione: si è formato come uomo, si è formato come apostolo. Sono queste persone che lasciano i segni: Paolo lo lascerà per tutti i secoli, per tutti i secoli ci si ricorderà di Saulo di Tarso detto Paolo, perché ha beneficato l’umanità come solo rarissimi massimi benefattori, proprio perché ha conquistato per se’ e ha dato. Quindi non basta una certa impostazione devozionale per dire se sei valido, che hai personalità e puoi evangelizzare: si richiede una formazione completa, intellettuale, di volontà, di dominio di se’, di spirito di sacrificio, di carità e di comprensione. A me pare che questo sia importantissimo. E’ un discorso che dobbiamo sentire fino in fondo. Voi siete giovani e lascerete una traccia di bene nella vostra vita se vi formate e la rinuncia a formarsi nell’intelligenza o a formarsi nella volontà, ecc., è la rinuncia a rendere grande la vita e a fare del bene. Quindi certe pigrizie sono sempre confessate come peccati veniali, e lo saranno anche presa una per una: ma prese nel loro complesso costituiscono un tradimento se hanno impedito a uno l’acquisizione di quelle dimensioni a cui Dio lo ha chiamato. Se tu avessi saputo ordinare meglio il tuo tempo, se tu avessi saputo mettere in ordine meglio le tue cose, se tu avessi avuto più dominio di te quante cose belle sarebbero sbocciate!
CODICE | 81MSA103 |
LUOGO E DATA | Sant’Ilario d’Enza 27/11/1981 |
OCCASIONE | Adunanza |
DESTINATARIO | Gruppo S. Giovanni Bosco |
ORIGINE | Registrazione |
ARGOMENTI | Storia della Chiesa S. Paolo |
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