26/02/1975 - Mercoledi II Quar

Sant’Ilario d’Enza, 26/02/1975
Omelia, Mercoledì II Settimana Tempo Quaresima

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Ger 18,18-20; Mt 20,17-28

Il Signore ha segnato la strada. Ha parlato di Lui, ed ha parlato della sua morte e della sua risurrezione. Poi ha parlato dei suoi, i due, la cui madre aveva domandato la gloria. Ha parlato degli altri e ha detto: “Potete bere il calice che io sono per bere?”. La parola “bere il calice” voleva dire partecipare a una profonda sofferenza. “Bere il calice” voleva dire essere insieme con lui in un mistero di grazia e di sofferenza. I figli di Zebedeo dicono di sì. E Gesù accetta. Era nella logica. Era giusto. Non promette loro però un particolare tipo di gloria. Devono essere con Lui nella croce e saranno con Lui nella Risurrezione, secondo il piano meraviglioso preparato dal Padre. E quello che il Signore ha chiesto a Giovanni e a Giacomo, ecco, che lo chiede ad ognuno di noi, proprio in forza del nostro battesimo col quale abbiamo aderito a Lui, in forza della nostra scelta responsabile, quando gli abbiamo detto di sceglierlo, quando abbiamo detto che Lui è il nostro Signore e il nostro amico, è Colui al quale noi affidiamo la vita. “Potete bere il calice?”. Si richiede allora nel cristiano una corrispondenza a questa, che noi potremmo chiamare, la vocazione della croce. È una vocazione della croce propria di ogni battezzato. Vocazione di croce per vocazione alla risurrezione e alla gloria. È la strada. È la strada che ognuno deve percorrere. Questa strada che noi chiamiamo di croce, di partecipazione è, come già dicevamo, in un ordine combattivo di superamento, è una accettazione della volontà di Dio, è l’accettazione del tipo di vita che il Signore ha disposto per ognuno di noi, un tipo di vita dove ci sono preparate delle prove, dove ci sono preparate delle cose veramente contrarie, dove ci sono preparati degli ostacoli, dove ognuno di noi deve dimostrare la sua fedeltà. Perché il partecipare al calice non è solo in un ordine penitenziale, non solo è in un ordine di partecipazione alla redenzione, è anche in un ordine di fedeltà. Noi possiamo dimostrare al Signore che gli vogliamo bene solo in questa strada, nel superamento, per suo amore, delle tentazioni, delle prove, e il dolore è una tentazione, e il male attorno a noi costituisce un ostacolo da superare. Abbracciare la croce del Signore cosa vuol dire allora? dimostrargli il nostro amore. Dimostrargli che veramente noi abbiamo vera fedeltà a Lui. Dimostrargli che lo preferiamo a tutte le altre cose. È dirgli: “Signore, noi siamo tuoi. E siamo tuoi sempre. Non siamo tuoi semplicemente per seguire un carro trionfale, non siamo con Te per un momento di gloria e di applausi. Siamo con Te sempre. E siamo allora con Te anche nei momenti difficili, anche nei momenti di tentazione, anche nei momenti in cui si esige una forte dimostrazione di testimonianza. Siamo tuoi nella lotta nostra intima, siamo tuoi di fronte a tutti. Di fronte particolarmente a chi ti osteggia, a chi non ti vuole. Noi siamo tuoi e il nostro amore è dimostrato così”. Guardiamo allora dentro di noi per vedere se veramente, fino adesso, abbiamo accettato la vita, la vita di ogni giorno, le cose di ogni giorno, come una prova di fedeltà. Perché lo ha detto Lui: “Sarà incoronato, sarà glorificato chi avrà perseverato fino alla fine”. Chiediamogli la grazia della perseveranza, nell’abbracciare la sua ignominia, nell’abbracciare la sua croce perché, se con Lui compiamo questa strada di impegno e di sforzo, ecco, saremo con Lui nella pace e nella gioia eterna.

CODICE 75BRQ01341N
LUOGO E DATA Sant’Ilario d’Enza, 26/02/1975
OCCASIONE Omelia, Mercoledì II Settimana Tempo Quaresima
DESTINATARIO Comunità parrocchiale
ORIGINE Registrazione
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